“Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo...” (Mt 25,1-13).
Abbiamo
ricordato, alcuni giorni fa, i nostri defunti, che ci hanno già preceduto là
dove anche noi prima o poi dovremo andare. Sì, perché la vita è un passaggio: è
il percorso da un punto di partenza ad uno di arrivo, dalla nascita alla morte;
una realtà che vale indistintamente per tutti, nessuno escluso: giorno dopo giorno,
il nostro nome sale inesorabilmente al primo posto sulla lista di quelli che
vengono chiamati; siamo tutti in attesa del nostro turno per l’incontro finale
con lo Sposo, il nostro Creatore e Signore.
“Attesa”
e “Passaggio”: sono proprio queste due parole importanti che ci vengono
proposte alla meditazione dal Vangelo di oggi.
“Vigilate,
tenetevi pronti, perché non sapete quando il vostro Signore verrà”.
La
nostra vita è dunque prima di tutto “attesa”. Una dichiarazione che apre
a diversi interrogativi: attesa di chi? di che cosa? per quale motivo dobbiamo condizionarci
la vita nell’attesa di qualcuno che arriva quando vuole lui? Certo, tra le tante
nostre preoccupazioni quotidiane, quella di aspettare l’incontro finale con Dio
non rientra certo tra le più urgenti. Anche se “attendere”, “aspettare”, rientra
tra le categorie mentali più frequenti e comuni della nostra vita: tutti, in
qualche modo, siamo in costante “attesa” che prima o poi si realizzi qualcosa
che ci riguarda: un buon lavoro, una famiglia, la sistemazione dei figli, una
vita serena. Per questo elaboriamo sempre nuove possibilità, ricaviamo esperienze,
proviamo emozioni, superiamo difficoltà, addirittura ci struggiamo, pur di ottenere
sempre il massimo, in vista di un domani migliore. Tutti ci aspettiamo un
futuro in cui essere finalmente felici, soddisfatti, ricompensati per tutti i
nostri sacrifici. È una cosa naturale, normalissima per chiunque.
Salvo
poi, arrivati ad un certo punto, dover ammettere a noi stessi di aver fallito,
di non aver ottenuto la completa realizzazione dei nostri sogni.
La
delusione più amara arriva in particolare per chi ha investito la propria “attesa”
soprattutto sull’apparire, sulla realizzazione della propria immagine, sul
potere, sulla gloria, sul possedere. Ci accorgiamo di aver miseramente mancato il
nostro obiettivo, di essere rimasti vittime delle gaudenti prospettive del
mondo, delle sue continue trovate consumistiche, che con le loro lusinghe, ci hanno
spinto in una obnubilante follia. E il rimorso per tale fallimento ci angoscia
l’anima.
Noi cercatori
di Dio, ancorché tiepidi, conosciamo bene la vera natura di quel malessere:
sappiamo che non c’è nulla di più deprimente nella vita dell’uomo che la
constatazione di essere rimasti sempre sordi alla “voce” di Dio, di aver
tradito la sua fiducia, il suo amore, di aver trasformato l’attesa della sua
venuta in totale “disattesa”. Per non aver saputo o voluto “aspettare”, come
meritava, l’arrivo dello Sposo.
Abbiamo
sbagliato, ce ne rendiamo conto: forse continueremo ancora a sbagliare, perché
dimentichiamo facilmente che non è il “fuori”, il transitorio, il volubile, che
può riempire la nostra anima, che può appagarla, saziarla. È il “dentro” che
conta, è con la fede, con la generosità del nostro cuore, con la carità, con le
opere buone, che possiamo riempire di “olio” il vaso di scorta del nostro
cuore, assicurandoci un incontro con Dio luminoso e sereno.
Certo,
la morte è per molti un pensiero lugubre e fastidioso. “Gli uomini, non potendo
evitare la morte, hanno deciso di non pensarci. Ma è un rimedio ben misero!”,
scriveva Pascal.
Per il
pensiero edonistico moderno, infatti, la morte è tabù: meno se ne parla, meglio
è.
E
invece no; il Vangelo ci insegna che Dio ci ha creati e ci ha inviati nel mondo
per contribuire a perfezionare questa sua meravigliosa creazione, con l’impegno
di tornare, ultimato il nostro mandato, nella nostra Casa d’origine. L’importante
è non farsi cogliere impreparati, ma in vigile attesa, indossando la “veste
nuziale”, muniti di una buona scorta di “olio”, prodotto lungo il nostro “percorso”
terreno.
Non consideriamo
una sciagura l’arrivo dello Sposo! Prendiamolo invece con la gioia di un evento
importante e decisivo, di un ritorno tra le braccia del Padre, sempre amorose e
spalancate, consapevoli in cuor nostro di non aver sprecato questa “attesa” con
un “percorso” scellerato.
A
volte, purtroppo, pensiamo scioccamente di essere immortali: siamo convinti che,
dopo i 60-70 anni, raggiunta la famosa e sudata “pensione”,
saremo
finalmente liberi di starcene tranquilli, di dare una svolta significativa alla
nostra esistenza, di iniziare cose più piacevoli, più distensive, più
divertenti. E in cuor nostro ci perdiamo in mille progetti. Ma siamo degli illusi!
Per quante persone, purtroppo, questi progetti rimangono soltanto un miraggio,
una fantasia! Null’altro che un sogno, cancellato dall’arrivo imprevisto e
imprevedibile dello “Sposo”.
Non
dobbiamo mai abbassare la guardia: perché il lavoro, le responsabilità, l’impegno,
per raggiungere il Regno dei cieli non finiscono mai; in questo non c’è “pensione”
che tenga!
Anzi,
più gli anni passano, più dobbiamo impegnare seriamente il nostro tempo, consapevoli
che l’arrivo dello Sposo si fa ogni ora più vicino.
Non
serve più produrre per questo mondo, dobbiamo invece raccogliere per l’altro,
per il Cielo; dobbiamo approfittare di questi giorni che il Signore ancora ci
concede, per fare qualcosa di più importante, più decisivo perché il nostro
incontro con Lui sia veramente meritorio. È vietato scommettere sul domani!
Potrebbe non esserci un domani.
Ricordate
come sono i giorni che precedono una partenza importante, un avvenimento da
lungo atteso? L’eccitazione che cresce, la mente impegnata a ricordare le
ultime cose da fare, le ore che scorrono freneticamente. Ecco, la nostra vita
dovrebbe essere sempre così, carica di tensione, perché la nostra “partenza” finale
da questo mondo, arriva improvvisamente, quando meno ce l’aspettiamo: “raptim”,
scrive sant’Agostino, rapidamente, precipitosamente.
Prestiamo allora la massima
attenzione a questi inviti, non sottovalutiamoli, per non trovarci all’improvviso,
proprio per la nostra superficialità, nella condizione di trovare la porta
chiusa, di non venire riconosciuti dallo Sposo, e di rimanere chiusi fuori,
lontani dallo splendore delle nozze e dalla calda Luce dell’Amore divino: una possibilità
purtroppo concreta e reale. Amen.