giovedì 29 dicembre 2022

1° Gennaio 2023 – MARIA SS.MA MADRE DI DIO – REGINA DELL PACE


Lc 2,16-21 
In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

Un nuovo anno inizia oggi, un evento tutto sommato banale, che il disperato bisogno di certezze degli uomini ha riempito di una ritualità laica, fatta di fuochi d'artificio, di tavole opulente, di bevute e di brindisi stimolanti, nel tentativo pagano di esorcizzare il tempo affinché nei giorni futuri assicuri gioia e serenità. Ubriacatura del non senso, dimenticanza voluta del vero senso del tempo e della vita. Tutto ciò perché l’uomo continua a sperare per il suo domani in qualcosa di nuovo, di più soddisfacente: qualunque cosa, purché sia in grado di colmare il vuoto della sua assenza di valori. 
Per noi cristiani, invece, da quando Dio lo inabita, il tempo è sacro. Per noi il tempo, la storia, la nostra storia, non è una squallida serie di avvenimenti che si susseguono senza senso, davanti a noi, ma al contrario, è quello “spazio” esistenziale che ci viene donato per realizzare il progetto che Dio ha su di noi, un breve frammento di infinito, in cui realizzare di essere sue creature.
Nella nostra vita ci sono spazi di tempo felici, positivi, come l’innamoramento giovanile, la nascita di un figlio, il raggiungimento di un traguardo; momenti alternati da altri più difficili, più dolorosi, più strazianti come una grave malattia, un fallimento affettivo, la perdita di una persona cara. Noi sappiamo però che ogni istante della nostra vita è abitato dalla tenerezza di Dio. Certo, salute, pace, benessere, sono tutte cose importantissime, ma non sono “la vita”: non possiamo monopolizzarle, non sono una nostra esclusiva, non ci sono dovute. Non possiamo pretendere che Dio risolva i nostri problemi, né che continuamente debba facilitarci, appianarci l’esistenza. La vita è un mistero e come tale va accolta, capita, usata, rispettata. Perché la vita non è nostra: è solo in prestito d’uso. Prima o poi va restituita, e dobbiamo rendere conto di come l’abbiamo gestita. Da qui l’importanza delle periodiche revisioni, di osservare scrupolosamente le istruzioni di Colui che la presiede, dobbiamo assolutamente fidarci di Lui.
È quanto ha fatto scupolosamente la giovane Maria di Nazareth.
Quella Maria che oggi festeggiamo con il titolo di "Madre di Dio", di “Regina della pace”: quella Maria che oggi scopriamo turbata, impaurita, preoccupata; troppe cose le sono successe in pochi giorni: dover partorire da sola, confinata in un ricovero per animali, lontana da casa sua, senza alcuna sistemazione, con rozzi e poco raccomandabili personaggi che improvvisamente le sono comparsi davanti, eccitati e vocianti, che parlano, parlano, sostenendo di aver miracolosamente saputo di lei e del bambino, nei confronti del quale si stanno comportando in modo così strano. E lei che fa? Nulla, rimane in silenzio: è inquieta per tutti questi eventi che le sono piombati addosso; e raccolta in sé stessa li rivive uno per uno. Anzi, come scrive letteralmente Luca, “sunetèrei tà rèmata tàuta, sumbàllusa en tè kardìa autès”, ossia: serbava questi eventi in cuor suo “mettendoli insieme”, “ricomponendoli nel loro ordine”, raccogliendo insieme tutti questi “pezzi” di vita. Semplicemente. Non reagisce, non si ribella, non inveisce: perché lei si fida ciecamente del suo Dio.
Ecco, nella nostra vita manca molto spesso proprio questo “entrare” nel nostro cuore, “in noi stessi”, per esaminare, valutare, ricomporre la nostra vita; ci lasciamo purtroppo travolgere da una vita frenetica, incalzante, che ci sbatte in ogni dove; non sappiamo dare un ordine, un senso compiuto agli eventi; non sappiamo trovare un loro “filo” conduttore: assomigliamo un po’ a quel bucato lavato, strizzato e ammucchiato in una bacinella, a cui serve un filo “teso in alto” su cui stendere ogni cosa ad asciugare. Ecco, a noi serve proprio questo “elemento unificatore”, prezioso, insostituibile, unico: la fede. Non ci fidiamo di Dio! Vorremmo che Dio pensasse come noi, che volesse soltanto ciò che vogliamo noi. Ma i criteri di Dio non sono quelli nostri; lo afferma Lui stesso: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie(Is 55,8); perché: “Io non guardo ciò che guarda l’uomo: l’uomo guarda l’apparenza, Io guardo il cuore!” (1Sam 16,7).
È stato così per Maria, è stato così per Giuseppe, è stato così per i pastori e per i Magi; continua ad essere così anche per noi: e sarà per sempre così, ogni qualvolta Dio deciderà di servirsi della collaborazione degli uomini: egli in ciò non guarderà mai al potere, alla ricchezza, alla scienza, ai primati personali: il suo metodo è e sarà sempre lo stesso: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo” (Mt 21,42); Dio, cioè, continuerà a mettere come “base” portante, come riferimento nei suoi progetti, proprio quella pietra di “scarto”, quella “pietra” cioè che i “costruttori” (il mondo) considera inadatta, inservibile.
A questo proposito, nell’occasione del Natale, ci siamo mai chiesto che fine hanno fatto i capi religiosi, i dirigenti del Tempio, gli “esperti” di religione? Perché l’Angelo del Signore non ha portato la bella notizia (euanghelìzomai) a nessuno della Gerusalemme “bene”, quella dei nobili, dei ricchi, della gente che conta, dei “giusti”, degli osservanti scrupolosi della Legge? Perché al contrario lo ha fatto capire soltanto ai pastori e ai magi lontani, che all’epoca erano visti i primi come truffatori, gente di malaffare, i secondi come gente sognatrice, inaffidabile? Sempre per lo stesso motivo: perché Dio da che mondo è mondo non seguirà mai i nostri criteri, né quelli che la civiltà moderna, la civiltà contemporanea dei consumi, giudica come fondamentali, prioritari: “Che patrimonio possiedi? Sei abbastanza potente? Sei ricco? Fino a che punto puoi spingerti con la tua autorità?”. I criteri di Dio sono infatti completamente diversi: “Sei disponibile? Saprai accettare il mio amore? Ti lascerai condurre dove voglio io? Collaborerai con me anche quando ciò che ti chiedo ti sembrerà irrazionale, inutile?”.
Dio pensa e usa metodi completamente diversi: Egli, per ciascuno di noi, ha programmato un incredibile viaggio nel tempo, un viaggio straordinario, eccezionale, meraviglioso: ma non può attuarlo se noi non ci fidiamo di Lui, se gli resistiamo, se continuiamo ad opporci, a voler fare sempre di testa nostra, a stabilire ciò che è bene o male per noi. Ecco perché Dio sceglie soltanto coloro che sono disponibili, che si abbandonano a Lui, alla sua volontà, che rispondono, come Maria: “Va bene, Signore, non so dove mi vuoi portare, ma mi fido di te. Sia fatta la tua volontà! Guida tu la mia vita, a me sta bene così!”.
Non è meraviglioso, questo modo di relazionarsi con Dio? Abbandonarsi completamente alla sua volontà? Lasciare che sia Lui a provvedere ad ogni cosa? Questa sì che è “fede”, amici! 
Allora all’inizio di questo anno nuovo, guardiamo a Maria, imitiamola, cerchiamo di vivere ogni giorno come lei, chiediamole aiuto, seguiamo i suoi consigli di mamma, e diciamo anche noi: “Signore, io mi fido di te; Prendimi per mano e portami dove vuoi Tu. Non ti importunerò più con i mei risentimenti; non ti chiederò più perché certe cose succedono solo a me, e che male ho fatto per meritarle ecc. Smetterò di ostacolarti, di tirarmi indietro. Qualunque cosa accada, so con certezza che Tu mi aspetti là, in fondo a quella strada, a quel tunnel: guidami e io ti seguirò; tu davanti e io, dietro, calcherò le tue orme! “Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me! (Sal 23, 4).
Che bello sarebbe poter vivere con questo spirito ogni singolo giorno di quest’anno! Le nostre ansie, i nostri dubbi, le nostre insicurezze svanirebbero completamente e dentro di noi regnerebbe una pace infinita. Quella pace interiore che Maria, “Regina della pace”, ha vissuto durante tutta la sua vita.
E allora che questa pace scenda anche in noi e nel mondo: sia Pace nelle nostre case, nelle comunità in cui viviamo; sia Pace dove lavoriamo e dove ci divertiamo; ma sia soprattutto Pace in quei paesi, in cui imperversa ancora una inutile guerra fratricida, fomentata solo dall’odio, dal delirio di onnipotenza, da un egoismo dispotico e spietato.
Augurare la Pace è augurare l’incontro con Dio: possa allora l’umanità intera incontrare e conoscere Dio non solo nelle Chiese cristiane, nelle Sinagoghe o nelle Moschee, ma possa conoscerLo soprattutto nell’incontro con i fratelli, nell’ascolto reciproco, nell’aiuto a chi è in difficoltà, nel perdono dopo qualunque scontro, nell’amore che, sempre e in ogni occasione, tutti possono donare a tutti.
Voglio pertanto contestualizzare questo mio augurio, con quella meravigliosa espressione tratta dal Libro dei Numeri: “Il Signore Dio faccia risplendere per noi il suo volto, e ci faccia grazia, ci conceda pace!” (Nm 6,22)Far risplendere il volto”, splendido semitismo per indicare il sorriso di una persona. Dio, nostro Padre, è un Dio che ci “sorride”; un Dio che pensando a noi, illumina il suo volto: non un Dio corrucciato, impenetrabile, scostante, irritato: ma un Dio sorridente, innamorato, sempre attento e pronto a correre in nostro aiuto.
Buon anno allora a voi tutti amici, conosciuti e sconosciuti, ma comunque fratelli tutti in Cristo. Il Dio, che “fa nuove tutte le cose” (Ap 21,5), quest’anno vuol “rinnovare” anche noi, vuole conoscerci meglio: e ce lo chiede sorridendo, amandoci profondamente!
Perché non rispondergli anche noi con un sorriso? Amen.

 

  

giovedì 22 dicembre 2022

25 Dicembre 2022 - DOMENICA DI NATALE DEL SIGNORE


Lc 2,1-14 
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nazareth, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

Gesù è la più grande dimostrazione d'amore che Dio, nostro Padre, ci abbia mai donato. Il suo Natale è la festa dell'amore gratuito, profondo, sincero, puro. Il Natale è la più bella notizia che si possa ancora raccontare a tutti gli uomini di questo mondo tristi, sofferenti, confusi, feriti: Dio, l'infinito, si è fatto “finito”, umano, legandosi a noi in maniera indissolubile per puro amore, per la sua irresistibile esigenza di amarci, di consolarci, di lenire le nostre sofferenze, i nostri dolori, con la sua costante, misericordiosa, presenza: una realtà che deve assolutamente rassicurarci, farci amare la vita, ricolmarci di ottimismo. 
Noi oggi non ce ne rendiamo conto, ma siamo coinvolti in mille altre cose, siamo completamente presi da mille stupidaggini inutili, quando un evento simile dovrebbe invece scuoterci profondamente, dovrebbe commuoverci, intenerirci, colmarci di gioia! 
È infatti impossibile non avvertire che qualcosa di grande è veramente accaduto nel mondo. Oggi siamo illuminati da una stella che è penetrata nel nostro buio, rischiarandolo per sempre: accorgiamoci di Gesù; accogliamolo nella nostra vita, lasciamo germogliare e crescere in noi quella novità, quella santità, quell’amore che con Lui sono sbocciati a Betlemme. 
Dio si è fatto uomo! L'Infinito, l'Eterno, l'Onnipotente, continua a preoccuparsi di noi, ad avere cura di noi, a dimostrarci amore, misericordia. Dio l'infinto ci ama da sempre: ci ama al punto da mandare suo Figlio in questa nostra storia così dura, ingrata, sterile. Dio Padre non ha avuto esitazioni nell’inviare suo Figlio in mezzo a noi, che non eravamo più figli; e continua sempre a farlo ogni anno, perché ci ama; perché vuole caparbiamente trasformarci, vuole darci un cuore nuovo, un cuore innamorato, di figli autentici. 
Purtroppo, quanta pena, quanta sofferenza, quanto dolore c’è oggi nel cuore degli uomini! Quanto desiderio di felicità, quanto bisogno di consolazione, di sollievo, di bontà.
Ebbene: oggi, tutta l’umanità, il mondo intero, è a conoscenza che la felicità esiste veramente, ha un suo preciso riferimento: l'Emmanuele, Gesù, Dio. 
Occorre uscire dalla prigione del nostro egoismo, dalla freddezza dell’orgoglio e dell'indifferenza. Facciamoci piccoli e umili: andiamo a Betlemme, cioè a Cristo Gesù; apriamo il cuore ai fratelli, tendiamo la mano a chi ci sta accanto, rendiamo ospitale il nostro cuore, la nostra casa, il nostro lavoro, il nostro paese, il nostro mondo. Perché è soltanto sulla via dell'amore che potremo fare esperienza di Dio. Ed è soltanto in Lui che troveremo quella pace, quella fiducia, quella serenità, quell’amore che tanto ci mancano. 
Se facciamo attenzione, noteremo che sono quattro le parole guida che la Liturgia di Natale ci propone con insistenza: sono “luce, gioia, bontà, pace”.
Sono parole che illustrano perfettamente l’immagine di Gesù, parole che rappresentano in sintesi tutto ciò di cui abbiamo bisogno estremo, che ogni uomo desidera ardentemente.
In questi giorni particolari, sentiamo di frequente ripetere, che il Natale è bello come un sogno: ed è vero; perché ogni uomo di questo mondo sogna in cuor suo luce, gioia, bontà, pace. È quel classico clima “da sogno” che questa ricorrenza riesce ogni anno a creare con le sue luci, con i presepi, con gli alberi, le strade e le vetrine illuminate, con le musiche semplici e nostalgiche, lo scambio di doni e di auguri, la riscoperta della famiglia, con il ricordo degli amici lontani, dei parenti scomparsi, di quanti si trovano nella sofferenza, nell’angoscia, nel dolore...
Lasciamoci prendere allora, cari amici, da questo sogno! È Dio che in Gesù vuole farci sognare una vita con Lui, piena di luce, di gioia, di bontà, di pace: esattamente come lui l'ha pensata per l’intera umanità, perché Lui ama tutti. 
Lasciamoci penetrare da questo sogno, sempre più in profondità, in modo che diventi desiderio concreto, nostro progetto, nostro impegno, nostra vita reale.
Come? Ce lo suggerisce Gesù stesso: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Abbiamo ricevuto da Dio luce, gioia, bontà, pace? Doniamo a tutti, anche noi, luce, gioia, bontà, pace.
Spesso sentiamo dire: “Non ci sono più i valori di una volta! Non c'è più vero cristianesimo”. Ebbene, che aspettiamo? Diffondiamoli noi i valori inalienabili! Viviamolo noi il vero cristianesimo! In questo consista il nostro Natale! Perché se riuscirà a far emergere il meglio di noi stessi, sicuramente renderà la nostra vita più sensibile, più responsabile, più bella: sensibilità, responsabilità, bellezza, che possiamo condividere ogni giorno con i nostri fratelli.
Chiediamoci allora a questo proposito: io cosa faccio di particolarmente valido per incontrare Gesù? Che posizione occupa nella graduatoria dei miei interessi, nella mia vita concreta? Come posso accoglierlo perché sia realmente luce, pace, forza, salvezza nella mia vita, nella vita dei fratelli, nel mondo, nella società attuale? Semplice: dobbiamo vivere ogni giorno il nostro Natale; dobbiamo cercare di incontrare ogni giorno Gesù, il Dio Bambino, il nostro Salvatore.
Dio non è mai lontano, è sempre con noi: anche oggi, anche domani: lo possiamo incontrare nella vita della Chiesa, nella Parola di Dio, nella preghiera, nei Sacramenti, negli uomini nostri fratelli: è la Chiesa infatti che continua la presenza e l'opera di Gesù. Quando ascoltiamo o leggiamo la Bibbia, il Vangelo, è Cristo che parla al nostro cuore, al cuore della Chiesa. Così pure quando ci accostiamo ai Sacramenti, quando ci confessiamo, quando ci comunichiamo, quando incontriamo il prossimo, è Gesù che noi incontriamo, è a Gesù che noi chiediamo perdono, è Gesù che si offre a noi in cibo, in nutrimento, in sostegno e forza.
È in questo modo che Dio è veramente con noi, sempre: e noi possiamo essere sempre con Lui, possiamo vivere in Lui, accogliere e rendere viva la sua grazia in tutte le nostre azioni.
Dipende solo da noi: perché siamo noi che possiamo trasformare con la luce, con la grazia del Natale, ogni nostra giornata, ogni istante della nostra vita. Amen.

BUON NATALE, AMICI, A VOI E A TUTTI I VOSTRI CARI!

 

giovedì 15 dicembre 2022

18 Dicembre 2022 - IV DOMENICA DI AVVENTO



Mt 1, 18-24 
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”. Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Quella notte per Giuseppe non fu certamente facile! Lui i suoi progetti li aveva, eccome. Progetti modesti, da giovane artigiano: la bottega andava bene, merito della sua bravura e della sua affabilità con i clienti. Certo, non era una gran piazza, Nazareth, ma col tempo, chissà, avrebbe potuto ingrandirsi e, addirittura, trasferirsi nella vicina Sefforis. Da lì a poco avrebbe preso in casa la sua promessa sposa Maria, che tutti gli invidiavano per la bellezza e la sua naturale modestia. Insomma, per Giuseppe, il pensiero di una famiglia con quella ragazza che gli aveva rapito il cuore, era fonte di gioia incontenibile.
Improvvisamente però, tutti i progetti di Giuseppe vengono frantumati da un evento incredibile, impensabile: la gravidanza di Maria; lui sa di non esserne il responsabile, e questa certezza lo getta in una tremenda angoscia. Ma come: Maria? Proprio lei? Com’è potuto succedere? 
Ovviamente soltanto lui è a conoscenza di quel figlio non suo. E allora, cosa deve fare? Non è questo, però, il tempo per covare rabbia, né per autocommiserarsi; deve solo agire: ma come? Seguire la prassi, denunciandola alle autorità, e abbandonarla al suo destino? Lui sa bene che il destino delle donne adultere, in Israele, è la morte per pubblica lapidazione. No, non può fare questo a Maria. 
È ormai molto tardi; la notte lo attende con le sue ansie tremende; è ancora completamente sveglio, e nel suo continuo rigirarsi nel pagliericcio, orribili visioni del domani continuano a gettarlo nella disperazione più cupa. Ha sempre davanti agli occhi il volto sorridente di Maria: non riesce a capacitarsi, non vuole arrendersi all'evidenza, alla realtà. Il suo orgoglio di maschio è sicuramente ferito, ma nulla può demolire l’amore granitico che egli nutre per la sua giovane sposa. La sua mente, ora, è tesa, concentrata nel valutare ogni possibile alternativa. Finalmente una soluzione gli sembra meno traumatica: al rabbino avrebbe dichiarato di essersi stancato di Maria, di non amarla più, per cui intendeva annullare il contratto matrimoniale. Maria ne sarebbe uscita con l'onore compromesso, è vero, ma avrebbe avuto salva la vita. Ecco, sì, questa è l’unica strada percorribile. 
Sul fare del mattino, sfinito dai dubbi, dal dolore e dall’angoscia, Giuseppe cade in un sonno profondo. Ed è qui che Dio irrompe nella sua vita: un angelo improvvisamente si materializza nel sonno, e gli parla di una missione che lui doveva necessariamente compiere, di un figlio di Maria che doveva nascere per salvare il mondo, che pertanto egli doveva accogliere Maria come sua legittima sposa, per proteggere lei e quel bimbo che portava in grembo, perché questa era la volontà di Dio, l’Altissimo. Certo, Maria era già la sua sposa, ma Dio dall’eternità si era innamorato di lei, e aveva scelto il suo grembo verginale per la nascita del Verbo, suo Figlio. 
Giuseppe, di fronte a quella figura autorevole, tace; rimane in ascolto, sbalordito, senza parole; non reagisce, non discute, non chiede neppure qualche spiegazione o altre informazioni. Ascolta e basta: ma nello stesso istante, ancora nel sonno, Giuseppe abbraccia e fa suo quel “progetto eterno di Dio”, anche se non era quello il “suo” progetto, anche se non lo riguardava, se non gli apparteneva: ma questo lo ha reso grande agli occhi di Dio, e agli occhi degli uomini, l’uomo esemplare dell'ascolto e dell’obbedienza a Dio! 
A questo punto, in un sussulto, si sveglia: è sereno; i pensieri tenebrosi sono scomparsi, dissolti dalla luce del mattino: ora Giuseppe ha riacquistato tutta la sua lucidità, la sua forza, il suo entusiasmo, la sua fede: se Maria ha accettato di prestare il grembo a Dio, lui, Giuseppe, è pronto a fare da padre a quel Dio che nascerà uomo da lei. Non gli servono altre spiegazioni; ha capito che Dio vuole entrare nella storia umana, e che per farlo, ha scelto di servirsi della sua giovane sposa come madre, e di lui, come solerte figura paterna, nonché “garante” del progetto divino. 
Matteo, ottimo conoscitore dell’animo umano, ci tiene a sottolineare che Giuseppe è un uomo “giusto”: è cioè corretto, autentico, di grande onestà morale; uno che non giudica dalle apparenze; uno che accetta all’istante, senza recriminazioni, il disegno salvifico del suo Dio; è un “giusto” perché, nella generosità del suo cuore, accetta di condividere con Lui la sua sposa immacolata; è “giusto” perché, scrupoloso “custode” di quel progetto soprannaturale, si oppone alla follia umana dominante, al giudizio di morte della gente “ignorante”; è “giusto” perché aderisce responsabilmente, con entusiasmo, alla prospettiva di assumere, di fronte all’intera umanità, il ruolo apparente di “padre” per un nascituro divino, per un “debole” e “indifeso” Dio bambino. Per questo egli è l’uomo “giusto”, l’icona perfetta della santità per quanti, in ogni tempo, tenteranno di seguire umilmente, tra infinite difficoltà, le istruzioni di quel “suo” Figlio divino, che ha insegnato ad amare tutti nello stesso modo con cui Lui stesso ha amato. 
Purtroppo, però, ci sono uomini che, diversamente da Giuseppe, polemizzano, discutono, contestano, bestemmiano il loro Dio; nel loro farneticante delirio rifiutano il suo amore, disconoscono la sua grazia, rifiutano la sua rassicurante presenza, il suo aiuto misericordioso; inebriati di falsa onnipotenza, di illusoria autosufficienza, si prostituiscono alle stolte divinità di questo mondo, sperperando la loro breve e instabile vita. 
Non solo: ma quante volte anche noi “cristiani”, rispondiamo svogliatamente alla chiamata di Dio: prendiamo tempo, puntualizziamo, rimandiamo, dimentichiamo. In pratica non lo “ascoltiamo”: e se anche al momento sembriamo disponibili, poi continuiamo a comportarci comunque a modo nostro. “Ascoltare”, invece, significa accettare, significa agire di conseguenza, eseguire con molta umiltà quanto ci viene suggerito: significa accettare la volontà di Dio, farla immediatamente nostra, senza porre condizioni o “distinguo” personali. 
Per professarci buoni cristiani infatti non basta evitare di compiere il male; non basta nemmeno essere caratterialmente giusti, onesti, ma dobbiamo saper accettare, volere, amare, fare nostri, quei consigli, quelle indicazioni che Dio suggerisce alla nostra coscienza. Perché ciò richiede sempre un amore vero, concreto, vissuto: un amore che non sboccia a cose fatte, quando tutto ci appare chiaro, quando tutto è pianificato e sicuro: ma un amore preventivo, un amore che cresce, si sviluppa, si perfeziona in corso d’opera, quando ancora non vediamo alcun risultato certo, un amore che nasce dalla piena fiducia in Lui. Questo è il miracolo che dobbiamo chiedere a Dio nel suo Natale: un miracolo d’amore, che faccia sbocciare nel mondo e nel nostro cuore un amore veramente nuovo, impegnato, operante, positivo. Amen.

 

giovedì 8 dicembre 2022

11 Dicembre 2022 - III DOMENICA DI AVVENTO


Mt 11, 2-11 
In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

Oggi, la Parola ci fa incontrare ancora una volta Giovanni: questa volta però è un uomo ben diverso dall’esaltato e scontroso urlatore del deserto: è in carcere e sa che sta per essere giustiziato a causa della sorda rabbia covata nei suoi confronti da una isterica cortigiana che manovrava la debolezza di un re-fantoccio. 
Giovanni ha vissuto tutta la sua vita di predicatore scomodo solo per preparare la strada al Messia, senza alcun riguardo verso coloro che vivevano nel peccato e nel vizio; e quando lo ha finalmente riconosciuto, il Messia, nascosto tra la folla dei penitenti che giungevano a farsi battezzare, lo ha accolto schernendosi, riconoscendo in lui il “potente” che dopo di lui avrebbe battezzato non con l’acqua ma con lo Spirito santo e fuoco; in cuor suo però era rimasto stupito, confuso per l'atteggiamento riservato e umile, con cui si era presentato colui che doveva essere il Salvatore del mondo.
Ora, nella solitudine del carcere, Giovanni è perplesso; pensa, è dubbioso. Le notizie che i suoi inviati gli riportano non fanno che accrescere le sue perplessità, lasciandolo costernato: il Messia non si sta comportando come un condottiero, un capo del popolo, non incita con veemenza la gente, non è rivoluzionario né tantomeno catastrofico, non annuncia l’imminente giudizio di Dio, non minaccia la sua vendetta con il fuoco divorante. Gesù, al contrario, continuando nel suo profilo basso, semplice, suadente: offre perdono incondizionato a tutti, rimette le colpe, non minaccia né attua vendette, dice che quel “fuoco divorante” Lui lo vuole accendere, certo, ma partendo dall'amore, non dal terrore. È insomma un Messia troppo dissimile da quello che Giovanni e Israele si aspettavano, è un personaggio completamente fuori schema, fuori da ogni loro sospirata previsione.
Del resto Dio spiazza sempre tutti: anche quelle persone che, come Giovanni, vivono la radicalità della fede, rischiando di costruirsi un Dio a propria immagine e somiglianza. La venuta di Dio che Giovanni si aspetta, è una venuta plateale, una irruzione nella storia con un frastuono assordante, accompagnata da schiere di angeli trionfanti. Gesù, invece, è solo; ci svela il volto di un Dio riservato, quasi nascosto: evidente, certo, ma pieno di ogni tenerezza e sensibilità, in ogni caso mai in maniera banale.
Gesù praticamente ci svela un Dio che divide il mondo in chi ama, o cerca di amare, o almeno si lascia amare, e chi no, in chi cioè gli volta le spalle. L'amore è una possibilità immensa, è l'unica cosa che ci lega tutti. Non i risultati, non gli sforzi, non le buone azioni ci salvano, ma la volontà di amare, nella fragilità di ciò che siamo o che ci impegniamo di essere.
Ma noi, dal canto nostro, siamo certi di Dio? Riprendiamo allora in mano il Vangelo e chiediamo a Dio, nella preghiera, di condurci sempre per mano nella nostra autenticità. Siamo sempre pieni di dubbi? Consoliamoci, non siamo i soli: anche il più grande degli uomini, l'ultimo dei profeti, è stato assalito dai dubbi.
“Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete…” replica Gesù ai discepoli che il Battista aveva inviato per informarsi sulla sua identità; non dà loro una risposta esauriente. Devono trarla da soli. La fede non richiede l’evidenza, non necessita di “prove certe”, Dio non è il risultato di un teorema scientifico, con buona pace di quei simpaticoni, che pretendono di vedere l’anima nelle radiografie! Ci vengono offerti degli indizi, solo deboli indizi che lasciano intatta l'ambiguità del segno. Non è Dio che deve dimostrare qualcosa, siamo noi che dobbiamo trovarlo, accantonando le nostre ideologie, prendendo coscienza e conoscenza di noi stessi e del Dio che abita in noi. 
“Guardati intorno, Giovanni”, è in pratica l’incoraggiamento di Gesù a suo cugino, dopo avergli elencato i grandi segni messianici profetizzati al popolo da Isaia. 
Ecco, questo è il punto: per riconoscere i segni della presenza di Dio, dobbiamo anche noi “guardarci intorno”: renderci conto di quante persone nel mondo hanno già incontrato Dio, e continuano ad incontrarlo: magari gente disperata, che trovandolo, ha dato un senso alla loro vita, convertendo il proprio cuore; persone straziate dal dolore, arrabbiate con Dio, che hanno imparato grazie a Lui, a perdonare; persone accecate dall'invidia o dalla cupidigia che con Lui hanno messo le ali, trasformandosi in gioia, in bontà, in amore quotidiano, in donazione di sé stessi! Dobbiamo guardare anche noi, come Giovanni, quelli che sono i segni della vittoria silenziosa del Messia, la forza dirompente del Vangelo sulle persone che cambiano, che guariscono, che scoprono Dio, potendo così ammirare, nelle pieghe del nostro mondo corrotto e inquieto, gesti di totale gratuità, vite consumate nel dono e nella speranza, squarci di fraternità in deserti di solitudine e di egoismo.
Dobbiamo guardare e riconoscere in questi segni la presenza del Regno di Dio.
Purtroppo spesso non li vediamo, non ce ne rendiamo conto, non li vogliamo vedere, non li possiamo vedere, perché il problema tragico del nostro tempo è proprio quella cecità interiore che impedisce di vedere, di toccare con mano la presenza di Dio, nascosta, silenziosa, ma decisamente reale e concreta, in tutto ciò che ci circonda.
Quante sfumature, nella natura e nelle persone, i nostri occhi, ispessiti dall’egoismo, non riescono a cogliere! Meraviglie che ci lasciano indifferenti, che non ci colpiscono, non ci stupiscono! Se la folgorante luce di Cristo non ci illumina l’anima e il cuore, nulla purtroppo di ciò che vediamo potrà mai estasiarci. Senza di Lui rimaniamo solo dei biechi famelici. Qualunque cosa tocchiamo, la sviliamo, la insudiciamo; la osserviamo, ma solo per desiderarla, per prenderla, per possederla. Guardiamo tutto ma non “vediamo” nulla, perché siamo completamente “ciechi”. 
Vivere l’Avvento significa, allora, modificare il nostro sguardo, far constatare ai tanti distratti, ovviamente a noi per primi, che il Regno avanza, è presente, che tutti noi possiamo renderlo visibile, contribuendo a realizzarlo. Impariamo tutti a riconoscere i segni della presenza di Dio, alziamo lo sguardo dalla nostra indifferenza, dal nostro dolore, per accorgerci della presenza e della salvezza di Dio, che si attua continuamente nelle nostre soffocate città.
In questa manciata di giorni che mancano al Natale, diventiamo anche noi segno di speranza per quanti a Natale si sentono abbandonati, soli, dimenticati! Pochi giorni, per assicurare a chi ancora non ha trovato Dio, che Dio c'è, che è amore: diciamo loro come Dio abbia cambiato la nostra vita, come ci abbia soccorso nel dolore e nelle prove della vita. Perché Dio c’è veramente, e ci segue sempre da vicino, passo dopo passo! Ecco, sia questa la nostra prospettiva, in un mondo che si dibatte tra problemi irrisolti, ipotesi strampalate, dubbi laceranti, dilaganti incertezze. Domandiamoci, come singoli credenti e come Chiesa, se siamo la risposta vivente alle domande profonde e incalzanti di tante persone che si dibattono nel buio; domandiamoci se siamo veramente quella risposta, che si trasforma in offerta di solidarietà, in atteggiamento di ascolto, in annuncio di speranza. Amen.

 

venerdì 2 dicembre 2022

04 Dicembre 2022 - II DOMENICA DI AVVENTO


Mt 3,1-12
In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!». E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

 Il vangelo di oggi ci presenta la figura di Giovanni Battista: uno che non aveva paura dell’opinione della gente, che lottava per ciò in cui credeva, che aveva il coraggio di esporsi e di pagare di persona per le proprie scelte. Per Gesù, fu una persona di sicuro riferimento.
Anche noi, abbiamo tanti punti di riferimento, modelli esemplari da seguire, da imitare; abbiamo a disposizione, insomma, persone che, guardandole, conoscendole, ascoltandole, ci prendono il cuore; persone sante che meritano la nostra stima, per la loro forza d’animo, la tenerezza, l’amore, il coraggio di osare: persone, insomma, franche, vere, che non si sono mai svendute al sistema, all’opinione pubblica, al “così fan tutti”. Ma non ci bastano.
Infatti, nel dilagante materialismo della nostra società, possiamo constatare amaramente come troppa gente preferisca idealizzare, mitizzare, innalzare ad idoli, personaggi decisamente discutibili, personaggi “costruiti”, lanciati da pubblicità insulse, da trasmissioni mediatiche “spazzatura”, prive di ogni dignità; sono gli “eroici” predicatori del nostro tempo, pronti a svendere la faccia, la personalità, la dignità, pur di ottenere un fugace lampo di notorietà, destinato a dissolversi già sul nascere.
Ecco allora che la Liturgia corre in nostro aiuto per offrirci concretamente la possibilità di scelta, di ricorrere, in questo tempo di preparazione al Natale, agli esempi biblici di santità, di dedicarci alla nostra “conversione”, di “tornare indietro”, di mettere un punto fermo alla nostra corsa alienante: in pratica ci dice: “Non svendere la tua dignità per gli scarti, scegli il meglio, vai all’origine, guarda e segui il Battista”.  
In effetti, scegliere il Battista come esempio da “vivere”, piuttosto che una influencer stupidotta o un tarantolato da quattro soldi, significa porsi decisamente su un altro piano, significa distaccarsi dalla mentalità corrente, raggiungere un’altra maturità, inseguire altri ideali!
Gesù stesso ce lo indica: lui stesso fu suo discepolo, lo seguì, si fece battezzare da lui: che sublime meraviglia: un Dio che ìmita una creatura; una creatura che diventa guida, “maestro”, dell’unico Maestro, degno di questo nome.
È proprio questa creatura, questo maestro, che Matteo ci presenta nel vangelo di oggi: un Giovanni Battista che “predica” nel deserto: ma perché proprio nel deserto? Chi è quel predicatore che oggi va a cercare la “sua” folla di ascoltatori nel deserto? Ovviamente nessuno. E allora, perché Giovanni se ne sta nel deserto?
Semplice: perché il deserto, il “proprio deserto”, è il luogo obbligato in cui tutti devono ritirarsi se vogliono riappropriarsi sul serio della loro autenticità, della loro dignità.
Nel nostro “deserto” siamo infatti assolutamente soli: noi, con noi, e nessun altro; siamo degli invisibili anacoreti. È qui che impariamo a stare con noi stessi, a non dipendere dal giudizio della gente, a non farci contaminare dalle mode, dalle idee, dai luoghi comuni. È qui che possiamo stare, noi e Dio, in completa solitudine, in silenzioso amichevole colloquio: è il luogo ideale in cui metterci di fronte a Lui, specchiarci in Lui, e capire di quanto ci siamo allontanati da quella sua immagine che originariamente ha impresso in noi. È qui, nel deserto, che abbiamo pertanto la possibilità di modificare radicalmente le nostre scelte di vita.
Giovanni Battista, a differenza di Gesù, vive stabilmente del deserto.
È un uomo selvatico, uno che non teme di guardarti in faccia, uno integro, tutto d’un pezzo: non veste riccamente come i “cittadini” di Gerusalemme, la gente bene, i “vip”, i sacerdoti del tempio: ha un vestito grossolano, fatto di pelli di cammello, apertamente in contrasto con le prescrizioni di purezza giudaiche. Ma a Giovanni non interessano le leggi religiose sull’aspetto esteriore. A lui interessa la vita interiore, la coscienza, la Verità. Non mangia i cibi della società ma cavallette e miele selvatico, il nutrimento degli esclusi, degli emarginati. Non ha bisogno di maschere esterne, né di lifting, né di mantenersi giovane, né di mostrarsi “macho”, né di esibire il suo potere o i suoi soldi: perché è un uomo libero, coerente con sé stesso, trasparente, che trova in sé e in Dio la sua unica ragione di vita.
Egli è consapevole della sua missione. È “voce di uno che grida nel deserto: preparate le vie del Signore”. Sa che non sarà ascoltato, sa che lo derideranno, sa che rischia grosso, perché insiste nel gridare a tutti: “Amico mio, se non cambi vita, finisci male!”.
ciono; eppure ne abbiamo tutti un grande bisogno: abbiamo veramente bisogno non soltanto di persone semplicemente buone, ma di profeti che ci sveglino in maniera rude dal nostro torpore, che ci diano uno scossone, che ci facciano sussultare, che ci stampino in faccia quattro sberle, prima che sia troppo tardi. Abbiamo bisogno di “profeti” veri, autentici, innamorati di Dio; di “profeti” che leggano dentro di noi, che ci scrutino l’anima, che ci dicano chiaramente, in nome di Dio: “Ricordati che se continui così perderai la tua anima. Se non ti apri agli altri, se non perdoni, se non ami, finirai per vivere nell’odio, nell’avversione. Se non smetti di illuderti, di raccontarti “balle”, non ne uscirai più. Se non piangi le tue infedeltà, non proverai mai l’emozione risanatrice del sentirti amato e perdonato. Se non ti prendi cura dell’anima, ti condannerai all’infelicità eterna”.
A volte la loro rude franchezza di santi potrebbe anche ferirci, indispettirci, perché ci rinfaccia apertamente la verità, ci pone davanti a ciò che non vorremmo né vedere né sentire, né condividere. Noi infatti dall’alto del nostro ego, proviamo rabbia, stiamo male, quando qualcuno rimprovera con franchezza le nostre ipocrisie, le nostre miserie, le nostre falsità.
Ma questo è l’amore “duro”, l’amore “vero”, l’amore del vero profeta che ci chiama a tornare nella Verità. È lo stile del “deserto”. Lo stile che rinnova, che fa rinascere, che ci ridona vita vera.
E allora, perché ostinarsi a vivere in “città”, nella Gerusalemme del mondo, tutta lustrini e falsità, rifiutando categoricamente l’esperienza del “deserto”?
«Il regno dei cieli è vicino!» ci urla il Battista. Il tempo è breve: decidiamoci! Amen.