giovedì 15 dicembre 2022

18 Dicembre 2022 - IV DOMENICA DI AVVENTO



Mt 1, 18-24 
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”. Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Quella notte per Giuseppe non fu certamente facile! Lui i suoi progetti li aveva, eccome. Progetti modesti, da giovane artigiano: la bottega andava bene, merito della sua bravura e della sua affabilità con i clienti. Certo, non era una gran piazza, Nazareth, ma col tempo, chissà, avrebbe potuto ingrandirsi e, addirittura, trasferirsi nella vicina Sefforis. Da lì a poco avrebbe preso in casa la sua promessa sposa Maria, che tutti gli invidiavano per la bellezza e la sua naturale modestia. Insomma, per Giuseppe, il pensiero di una famiglia con quella ragazza che gli aveva rapito il cuore, era fonte di gioia incontenibile.
Improvvisamente però, tutti i progetti di Giuseppe vengono frantumati da un evento incredibile, impensabile: la gravidanza di Maria; lui sa di non esserne il responsabile, e questa certezza lo getta in una tremenda angoscia. Ma come: Maria? Proprio lei? Com’è potuto succedere? 
Ovviamente soltanto lui è a conoscenza di quel figlio non suo. E allora, cosa deve fare? Non è questo, però, il tempo per covare rabbia, né per autocommiserarsi; deve solo agire: ma come? Seguire la prassi, denunciandola alle autorità, e abbandonarla al suo destino? Lui sa bene che il destino delle donne adultere, in Israele, è la morte per pubblica lapidazione. No, non può fare questo a Maria. 
È ormai molto tardi; la notte lo attende con le sue ansie tremende; è ancora completamente sveglio, e nel suo continuo rigirarsi nel pagliericcio, orribili visioni del domani continuano a gettarlo nella disperazione più cupa. Ha sempre davanti agli occhi il volto sorridente di Maria: non riesce a capacitarsi, non vuole arrendersi all'evidenza, alla realtà. Il suo orgoglio di maschio è sicuramente ferito, ma nulla può demolire l’amore granitico che egli nutre per la sua giovane sposa. La sua mente, ora, è tesa, concentrata nel valutare ogni possibile alternativa. Finalmente una soluzione gli sembra meno traumatica: al rabbino avrebbe dichiarato di essersi stancato di Maria, di non amarla più, per cui intendeva annullare il contratto matrimoniale. Maria ne sarebbe uscita con l'onore compromesso, è vero, ma avrebbe avuto salva la vita. Ecco, sì, questa è l’unica strada percorribile. 
Sul fare del mattino, sfinito dai dubbi, dal dolore e dall’angoscia, Giuseppe cade in un sonno profondo. Ed è qui che Dio irrompe nella sua vita: un angelo improvvisamente si materializza nel sonno, e gli parla di una missione che lui doveva necessariamente compiere, di un figlio di Maria che doveva nascere per salvare il mondo, che pertanto egli doveva accogliere Maria come sua legittima sposa, per proteggere lei e quel bimbo che portava in grembo, perché questa era la volontà di Dio, l’Altissimo. Certo, Maria era già la sua sposa, ma Dio dall’eternità si era innamorato di lei, e aveva scelto il suo grembo verginale per la nascita del Verbo, suo Figlio. 
Giuseppe, di fronte a quella figura autorevole, tace; rimane in ascolto, sbalordito, senza parole; non reagisce, non discute, non chiede neppure qualche spiegazione o altre informazioni. Ascolta e basta: ma nello stesso istante, ancora nel sonno, Giuseppe abbraccia e fa suo quel “progetto eterno di Dio”, anche se non era quello il “suo” progetto, anche se non lo riguardava, se non gli apparteneva: ma questo lo ha reso grande agli occhi di Dio, e agli occhi degli uomini, l’uomo esemplare dell'ascolto e dell’obbedienza a Dio! 
A questo punto, in un sussulto, si sveglia: è sereno; i pensieri tenebrosi sono scomparsi, dissolti dalla luce del mattino: ora Giuseppe ha riacquistato tutta la sua lucidità, la sua forza, il suo entusiasmo, la sua fede: se Maria ha accettato di prestare il grembo a Dio, lui, Giuseppe, è pronto a fare da padre a quel Dio che nascerà uomo da lei. Non gli servono altre spiegazioni; ha capito che Dio vuole entrare nella storia umana, e che per farlo, ha scelto di servirsi della sua giovane sposa come madre, e di lui, come solerte figura paterna, nonché “garante” del progetto divino. 
Matteo, ottimo conoscitore dell’animo umano, ci tiene a sottolineare che Giuseppe è un uomo “giusto”: è cioè corretto, autentico, di grande onestà morale; uno che non giudica dalle apparenze; uno che accetta all’istante, senza recriminazioni, il disegno salvifico del suo Dio; è un “giusto” perché, nella generosità del suo cuore, accetta di condividere con Lui la sua sposa immacolata; è “giusto” perché, scrupoloso “custode” di quel progetto soprannaturale, si oppone alla follia umana dominante, al giudizio di morte della gente “ignorante”; è “giusto” perché aderisce responsabilmente, con entusiasmo, alla prospettiva di assumere, di fronte all’intera umanità, il ruolo apparente di “padre” per un nascituro divino, per un “debole” e “indifeso” Dio bambino. Per questo egli è l’uomo “giusto”, l’icona perfetta della santità per quanti, in ogni tempo, tenteranno di seguire umilmente, tra infinite difficoltà, le istruzioni di quel “suo” Figlio divino, che ha insegnato ad amare tutti nello stesso modo con cui Lui stesso ha amato. 
Purtroppo, però, ci sono uomini che, diversamente da Giuseppe, polemizzano, discutono, contestano, bestemmiano il loro Dio; nel loro farneticante delirio rifiutano il suo amore, disconoscono la sua grazia, rifiutano la sua rassicurante presenza, il suo aiuto misericordioso; inebriati di falsa onnipotenza, di illusoria autosufficienza, si prostituiscono alle stolte divinità di questo mondo, sperperando la loro breve e instabile vita. 
Non solo: ma quante volte anche noi “cristiani”, rispondiamo svogliatamente alla chiamata di Dio: prendiamo tempo, puntualizziamo, rimandiamo, dimentichiamo. In pratica non lo “ascoltiamo”: e se anche al momento sembriamo disponibili, poi continuiamo a comportarci comunque a modo nostro. “Ascoltare”, invece, significa accettare, significa agire di conseguenza, eseguire con molta umiltà quanto ci viene suggerito: significa accettare la volontà di Dio, farla immediatamente nostra, senza porre condizioni o “distinguo” personali. 
Per professarci buoni cristiani infatti non basta evitare di compiere il male; non basta nemmeno essere caratterialmente giusti, onesti, ma dobbiamo saper accettare, volere, amare, fare nostri, quei consigli, quelle indicazioni che Dio suggerisce alla nostra coscienza. Perché ciò richiede sempre un amore vero, concreto, vissuto: un amore che non sboccia a cose fatte, quando tutto ci appare chiaro, quando tutto è pianificato e sicuro: ma un amore preventivo, un amore che cresce, si sviluppa, si perfeziona in corso d’opera, quando ancora non vediamo alcun risultato certo, un amore che nasce dalla piena fiducia in Lui. Questo è il miracolo che dobbiamo chiedere a Dio nel suo Natale: un miracolo d’amore, che faccia sbocciare nel mondo e nel nostro cuore un amore veramente nuovo, impegnato, operante, positivo. Amen.

 

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