
giovedì 26 marzo 2009
29 Marzo 2009 - V Domenica di Quaresima

giovedì 19 marzo 2009
22 Marzo 2009 - IV Domenica di Quaresima

"Bisogna che il Figlio dell'uomo sia innalzato (sulla croce), perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna". Chi crede in Cristo Crocifisso, ha la vita eterna.Il Crocifisso e la fede: nel cammino quaresimale volgiamo lo sguardo e l'orientamento della vita verso la passione e la morte di Gesù, verso Gesù che è stato sulla croce. Gli ebrei, in grave pericolo, se guardavano il serpente di bronzo, erano salvi. Noi cristiani, se guardiamo Cristo Crocifisso e crediamo che Lui è il Figlio di Dio, siamo salvi. Siamo salvi su questa terra; siamo salvi per l'eternità.Questo perché Cristo crocifisso vive ed esprime tutto l'amore infinito di Dio per l'umanità e per ciascuno. "Se Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi, come non ci donerà ogni cosa, assieme a Lui?" La liturgia ci offre oggi le espressioni più profonde e più luminose della nostra fede."Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna"."Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo. Per grazia e mediante la fede, siamo stati salvati".Pensiamo a quale totale differenza fra una persona morta e una viva!E chi non crede in Cristo? E chi è superficiale nella fede? "Io sono ateo - dice qualcuno - io non credo, io sono agnostico". Tanti giovani, visti esteriormente, sembra che vedano l'ora di allontanarsi da Dio, da Cristo, dalla Chiesa. Qualcuno si lascia condizionare o rovinare da compagnie, da cattivi insegnamenti, da letture o film o servizi internet, che sembrano opere del maligno.Ce lo richiamiamo perché c'è una grande responsabilità nel portare avanti la crescita nella fede. Non è la stessa cosa credere o non credere in Cristo. Non è come fare il tifo per una squadra o l'altra o coltivare o meno un qualunque interesse: uno alla fine rimane sempre uguale. Credere o non credere in Cristo è questione di vita o di morte per sempre.Quand'ero ragazzo, mi facevano molto bene, specie negli esercizi spirituali, le meditazioni e le riflessioni, sulla morte, sull'eternità, sull'inferno e il paradiso. Mi veniva insegnato fin da ragazzo che era necessario costruire bene la vita, evitare il male e il peccato per non correre il pericolo dell'inferno, fare il bene il più possibile e chiedere il perdono di Dio nella confessione di tutti i peccati, per vivere nella fiducia che il Signore ci vorrà accogliere in Paradiso. S. Giovanni Bosco affermava che molte volte nell'età dell'adolescienza si decidono le sorti del tempo e dell'eternità.Lo sappiamo che siamo deboli, che tante volte soffriamo tentazione e cadiamo nel peccato: ma il Signore è venuto proprio perché potessimo essere perdonati e santificati. Per questo dobbiamo accogliere, desiderare, implorare il perdono; metterci davanti a Dio perché possiamo essere perdonati e salvati.Qui è la nostra gioia. Questa domenica di metà quaresima è la domenica della gioia. Gioia perché siamo davanti a Dio, perché Dio ci ama e ci salva, perché viviamo con il Signore e per il Signore. "Il ricordo di te, Signore, è la nostra gioia".Dice ancora il vangelo: "Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui". Abituati ad immaginarci un Dio esigente, che formula continue richieste e domanda sacrifici, gli uomini faticano ad accettare un Dio che non domanda, ma dona, che non esige, ma offre, che non esercita il suo potere per giudicare e condannare, ma per salvare e liberare dal male. Eppure le cose stanno proprio così. Difficilmente si sarebbe prevista una simile realtà, ma in Gesù è proprio questo che si è manifestato. Perché la logica di Dio non è quella del potere, della forza, della superiorità, ma dell'amore. "Dio ha tanto amato il mondo"!Che differenza dal nostro atteggiamento! Noi continuamente giudichiamo, puntiamo il dito, ci lamentiamo di tutto il male che c'è e che ci viene continuamente buttato il faccia. Gesù ha fatto così? Fa così? Gesù conosce molto bene tutto il male e ogni debolezza; ma Gesù ama, si appassiona di questo mondo cattivo, non ha paura dei peccati, delle cose più terribili: si incarna, si fa uomo, si fa peccato, muore come un delinquente davanti a Dio e davanti alla società di allora. Ma in questa maniera salva e trasforma il mondo e nel mondo possono trovarsi i terreni più buoni, i fiori belli, i frutti più sani.Com'è il nostro rapporto col mondo? Come ci troviamo in esso? Siamo innamorati del nostro mondo, proprio così com'è, per assumerlo, per vivere una solidarietà nel male, che diventa salvezza dal male. Non devo continuare a puntare il dito, a giudicare gli altri, come se il male fosse solo degli altri, di quelli che fanno così terribili, e io sentirmi a posto, anche se la mia vita è insulsa ed egoista."Chi crede in Cristo non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nell'unigenito Figlio di Dio". Questo avviene per il mistero del contrasto della luce e delle tenebre. Dice il vangelo: La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito letenebre. Nella luce si fa il bene, nelle tenebre si fa il male. Ecco un programma semplice, ma fruttuoso: Credere nel Figlio, muoversi nella luce, fare opere buone. Credere all'amore di Dio, accoglierlo; ripetere, commossi, con S. Giovanni: "Noi abbiamo creduto all'amore che Dio ha per noi!"Possiamo in questo imitare i bambini. Essi non hanno paura di lasciarsi amare; più amore si dà loro, più ne prendono, come se fosse la cosa più naturale del mondo. L'amore umano diventa simbolo dell'amore di Dio, l'amore di Dio serve da modello all'amore umano. In altre parole, da Dio impariamo come anche noi dobbiamo amare.Alcuni esempi: Dio non ha avuto paura di peccare di debolezza, ripetendo spesso nella Bibbia all'uomo: "Io ti amo", "tu sei prezioso ai miei occhi".Perché ci sono papà e forse anche mamme che non lo dicono quasi mai ai figli? Mariti che non lo dicono alla moglie? Molti giovani soffrono per tutta la vita per non essersi mai sentiti rivolgere, semplici e chiare, parole come queste dalle persone dalle quali di più le attendevano.Pur amandoci tanto, Dio ci lascia liberi. Esprime la qualità paterna del suo amore, proprio dandoci la libertà. E non si può dubitare che Dio non sia un buon educatore. Non si tratta nelle nostre responsabilità, semplicemente di dare libertà ad esempio ai figli, ma di educarli alla libertà. Dare la libertà può diventare permissivismo. Educare alla libertà significa aiutarli a non essere succubi delle mode, della pubblicità, di quello che fanno gli altri; a non avere paura di essere diversi, di andare, quando è necessario, controcorrente, ad avere il coraggio delle proprie convinzioni e decisioni.Il Signore si aspetta da noi una risposta di amore libera, gioiosa, consapevole, perché affascinati dal suo amore infinito e tenerissimo.
giovedì 12 marzo 2009
15 Marzo 2009 - III Domenica di Quaresima

Mi si permetta una fantasticheria: chissà come avrà reagito quel giorno il sommo sacerdote Caifa quando gli devono aver raccontato di quello scandalo inaudito, che si era verificato al tempio nell’atrio dei gentili, a firma del solito Gesù di Nazareth, mai visto “infuriato pazzo” così, contro mercanti e cambiavalute? Non ha risposto proprio a questa domanda, ma ci è andato molto vicino lo scrittore torinese, S. Jacomuzzi con il suo romanzo audace e avvincente, Cominciò in Galilea, una sorta di quinto vangelo, messo in bocca all’apostolo Andrea. Ecco come il “primo chiamato”, il fratello di Simon Pietro, ricostruisce il “fattaccio”: “Fu d’improvviso, in modo del tutto inaspettato. Mi ero appena accorto che Gesù aveva alzato gli occhi in alto, verso i fastigi del tempio, per poi rivolgerli tutto attorno a ciò che lo circondava, e lo vidi muoversi di scatto. Da una bancarella vicino afferrò delle cordicelle, ne fece una fune e con quella si abbatté addosso ai mercanti, rovesciò i banchi delle monete, cercò di spingere fuori pecore e buoi. Restammo allibiti, senza neppure il tempo di intervenire e di metterci accanto a lui. Si alzò un volo di colombe spaventate e Gesù gridò ai loro venditori: “Andatevene di qui! Avete mutato la mia casa in una spelonca di ladri!”.
1. Per comprendere adeguatamente da una parte la carica “rivoluzionaria” del gesto compiuto da Gesù e, dall’altra, la sua valenza simbolica, bisogna ricordare cosa rappresentasse il santo tempio di Gerusalemme per il giudaismo contemporaneo. Secondo la fede d’Israele, il tempio era la dimora di Dio in mezzo al suo popolo: là si operava la remissione dei peccati; solo là veniva pronunciato il santissimo nome di YHWH, altrimenti assolutamente impronunciabile. In sostanza il tempio era il segno concreto e tangibile sia della unicità di Dio sia della unità e unicità di Israele: lo ricordava una iscrizione su una lastra di pietra messa a confine tra i due piazzali, quello riservato ai giudei e quello dei pagani: comminava la pena di morte all’incirconciso che avesse osato oltrepassare il limite. Del gesto compiuto da Gesù sono state date due interpretazioni, una che potremmo chiamare “devota”, e l’altra “zelota”. Secondo la prima, si sarebbe trattato di una purificazione del tempio: come gli antichi profeti, Gesù avrebbe compiuto un gesto di violenta denuncia di abusi intollerabili e si sarebbe scagliato contro quella sacrilega profanazione che aveva ridotto il tempio a un centro commerciale. Bisogna però ricordare che in fondo la presenza di venditori e di cambiavalute non solo non era illegale - oltretutto il mercato si svolgeva nell’atrio dei pagani - ma era anzi necessaria per offrire sacrifici e cambiare le monete straniere, ritenute impure, in monete ebraiche. Di fatto Gesù non se la prende direttamente con il traffico del tempio, fonte di lauti guadagni per il sommo sacerdote e le grandi famiglie sacerdotali che si spartivano il controllo delle finanze. Secondo l’altra interpretazione, quella “zelota”, il gesto compiuto da Gesù sarebbe stato un atto squisitamente politico: un tentativo di occupazione del tempio, contro gli invasori romani e quindi un affronto oltraggioso all’alta aristocrazia sacerdotale, imparentata con la classe dei sadducei e connivente con il potere occupante. Di fatto il gesto in se stesso è stato un “gesto profetico” - come i gesti compiuti dagli antichi profeti per lanciare dei messaggi particolarmente importanti - insomma un’azione dimostrativa, simbolica. Più che una “purificazione” dell’area del tempio, quello che fa Gesù annuncia l’abolizione di ogni barriera: perfino l’atrio consentito ai pagani doveva essere considerato sacro, tanto quanto lo spazio riservato agli ebrei. In fondo Gesù non vuole la restaurazione del vecchio mondo, ma l’instaurazione di un nuovo mondo religioso, senza più tabù né odiose segregazioni.
2. Ma c’è ancora altro. È soprattutto il detto riportato da Giovanni, rispetto ai sinottici - “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere” - a illuminarci sul senso attribuito da Gesù stesso al suo gesto eclatante. È da rimarcare qui la forte sottolineatura del soggetto che compie l’azione - che nella versione di Marco è ancora più accentuata: “Io distruggerò questo tempio, fatto da mani d’uomo e in tre giorni ne edificherò un altro non fatto da mani d’uomo” (14,58). Il tempio non è più riformabile, perché decaduto: va sostituito, non perché profanato, ma perché il Messia è ormai venuto, e Gesù è insieme il soggetto e l’oggetto della sostituzione del vecchio santuario di Gerusalemme: è il ricostruttore del tempio e il tempio ricostruito. Nella precedente attesa giudaica, riguardante il rinnovamento del tempio negli ultimi tempi, è sempre e solo Dio che agisce; di norma, non ci si attendeva che un uomo, re o profeta che fosse, si arrogasse la prerogativa della riedificazione futura del tempio. Qui invece abbiamo proprio un uomo, il rabbi Gesù di Nazaret, che si accredita come dotato di una autorità divina. Infatti l’accusa che gli verrà mossa pochi giorni dopo in sede di processo dal tribunale del sinedrio, riguarda proprio questo capo: la funzione di Gesù, come il ricostruttore promesso del tempio, indirettamente comportava la sua piena e totale equiparazione con Dio. Il gesto simbolico compiuto dal Maestro di Nazareth e il suo messaggio profetico si possono capire solo alla luce della Pasqua: “egli parlava del tempio del suo corpo”. Abbiamo qui il primo annuncio della morte e risurrezione di Cristo: la sua umanità è il luogo della presenza e della manifestazione di Dio in mezzo agli uomini. Il Signore Gesù dunque è il vero tempio, l’unico luogo di incontro con Dio. Il suo corpo, distrutto da mani d’uomo - dal peccato - sulla croce, diventerà nella risurrezione il luogo dell’appuntamento universale tra Dio e gli uomini tutti. Questo significa che i veri adoratori di Dio non sono i guardiani del tempio materiale, i sommi sacerdoti garanti del sistema o gli scribi detentori del sapere, ma tutti coloro che adorano Dio “in spirito e verità” (Gv 4,23). La nota conclusiva di Giovanni - Gesù “non si fidava di loro... perché sapeva quello che c’è nel cuore dell’uomo” - sposta il luogo del vero incontro con Dio: dal recinto sacro all’intimo della coscienza, lì dove ogni uomo non si decide per qualcosa, ma per Qualcuno.
3. Ci stiamo preparando alla grande veglia pasquale, quando rinnoveremo le promesse del nostro battesimo, il sacramento-base con cui Cristo ci ha “incorporati” a sé, facendo di noi le pietre viventi del nuovo tempio: noi siamo il vero santuario, abitato dallo Spirito di Dio (cfr. 1Pt 2,4-5; 1Cor 3,16; 6,19). Ci stiamo preparando a rinnovare la promessa di fare di tutta la nostra vita “un sacrificio vivente, santo, gradito a Dio” (Rm 12,1). Camminando nel mondo come Gesù, facendo di tutta la nostra esistenza un segno del suo amore per il mondo, noi costruiamo a Dio un tempio nella nostra vita. E così lo rendiamo incontrabile per quanti si imbattono nel nostro cammino. Ma il Signore si sente veramente a casa nella nostra vita? O anche per noi deve prendere la frusta per “fare le pulizie pasquali” negli atri del nostro cuore adultero e mercenario, e per scacciare gli idoli che vi si sono prepotentemente e comodamente installati? L’eucaristia che celebriamo ci mette in comunione con il tempio vero e vivo del Signore: il suo corpo crocifisso e risorto. Gesù sa bene quello che c’è in ognuno di noi, ma conosce pure il nostro più intimo e ardente desiderio: quello di essere abitati da Lui, solo da Lui.
venerdì 6 marzo 2009
8 Marzo 2009 - II Domenica di Quaresima

La montagna della trasfigurazione, che la tradizione successiva identificherà con il Tabor, si pone come termine di questo viaggio, il viaggio di ogni settimana e dell'intera vita. Il Signore ci prende e ci conduce con sé sul monte, così come fece con i tre più amici perché vivessero con lui l'esperienza della comunione intima con il Padre; un'esperienza così profonda da trasfigurare il volto, il corpo e persino i vestiti; tutto, dentro e fuori. C'è chi suggerisce che il nucleo storico del racconto si basa su un'esperienza che ha colpito anzitutto Gesù: una visione celeste che ha prodotto una trasfigurazione in lui. E' un'ipotesi verosimile e comunque suggestiva perché ci permette di cogliere più al fondo la vita spirituale di Gesù. Talora si dimentica che anche Gesù ha avuto un suo itinerario spirituale, come il Vangelo suggerisce: Gesù "cresceva in sapienza, età e grazia". Senza dubbio non mancarono in lui le gioie per i frutti del suo ministero pastorale, come pure non furono assenti le ansie e le angosce (il Getsemani e la croce ne sono i momenti più drammatici). La salita sul monte ci fu anche per Gesù, come già per Abramo eppoi per Mosé, per Elia e per ogni credente. Gesù sentì il bisogno di salire sul monte; era il bisogno di incontrarsi con il Padre. E' vero che la comunione con il Padre era tutta la sua vita, il pane delle sue giornate, la sostanza della sua missione, il cuore di tutto ciò che era e che faceva; ma Gesù aveva bisogno di momenti in cui questo rapporto intimo emergesse nella sua pienezza. E' un esempio che interroga profondamente i credenti di oggi. Se ne ha avuto bisogno Gesù, quanto più noi! Il Tabor fu uno di questi momenti singolarissimi di comunione, che il Vangelo estende a tutta la vicenda storica del popolo d'Israele, come testimonia la presenza di Mosé ed Elia che "discorrevano con lui". Gesù, però, non visse da solo questa esperienza; volle coinvolgere anche i suoi tre amici più intimi. Fu un momento tra i più significativi per la vita personale di Gesù, e lo divenne anche per i tre discepoli e per tutti coloro che si lasciano coinvolgere in questa stessa salita.
Nella tradizione della Chiesa molte sono state le interpretazioni di questo brano evangelico. Tra le più costanti c'è quella che scorge nella vita monastica il riflesso della Trasfigurazione, a motivo della radicalità della scelta che comporta. E senza dubbio è necessario che nella vita della Chiesa di oggi si sottolinei con maggior coraggio la radicalità di questa scelta che mostra il primato assoluto di Dio sulla nostra vita. Penso però che si possa vedere nel monte della Trasfigurazione anche la Liturgia domenicale alla quale tutti siamo chiamati a partecipare per vivere, uniti a Gesù, il momento più alto della comunione con Dio. Ed è proprio durante la Santa Liturgia che potremmo anche noi ripetere le stesse parole di Pietro: "Maestro, è bello per noi stare qui, facciamo tre tende...". Da questo santo monte ch'è la Liturgia domenicale, nella quale ci troviamo in compagnia dei patriarchi e dei santi del Primo e del Nuovo Testamento, anche noi sentiamo risuonare la stessa voce di allora: "Questi è il figlio mio prediletto, ascoltatelo!" Immediatamente i tre discepoli si ritrovarono con "Gesù solo". Si guardano attorno stupiti, forse con un senso di smarrimento per essere tornati alla "normalità", e non videro nessun altro se non il solo Gesù. Iniziano di qui i giorni feriali che seguono la domenica; o, se si vuole, la discesa dal monte. I discepoli non erano più come prima. Tornarono nella vita quotidiana non più ricchi di se stessi, delle proprie idee, dei propri progetti, dei propri sogni o di altro ancora. Essi avevano davanti agli occhi la visione di Gesù trasfigurato, e questo gli bastava. Sì, alla comunità cristiana, ad ogni credente, non è dato altro che Gesù; solo Lui è il tesoro, la ricchezza, la ragione della vita personale e della vita della Chiesa. Quella tenda che Pietro voleva costruire con le sue mani, in realtà l'aveva costruita Dio stesso quando "il Verbo si fece carne e venne a porre la sua tenda in mezzo a noi" (Gv 1,14). E con l'apostolo Paolo siamo lieti di poter ripetere che nessuno, né il dolore né la fatica né la morte ci separeranno da Cristo e dal suo amore.
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