“Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso…” (Mt 16, 21-27).
Ad un
certo punto della sua vita Gesù affronta decisamente il suo destino. La sua
condotta di vita, troppo aperta, troppo chiara e manifesta, per qualcuno era
già diventata pericolosa. Quello che diceva e faceva era troppo provocante,
troppo critico nei confronti della gente altolocata, dei ricchi del suo tempo, dei
potenti, che di sicuro prima o poi gliel’avrebbero fatta pagare.
Gesù
era “troppo” per tutti, in tutti i sensi: non era l’uomo del compromesso, delle
mezze misure, degli accomodamenti, delle vie di mezzo. Il suo parlare era
chiaro: “sì sì, no no!”.
Era
inevitabile quindi che decidesse di completare la sua missione, affrontando
quella che sarebbe stata la tappa conclusiva della sua vita terrena, la sua grande
sfida col mondo: andare a Gerusalemme per sacrificarsi sulla croce.
Finché Egli
viveva e predicava in Galilea tutto sommato non interferiva più di tanto con i
grossi poteri. Ma andando a Gerusalemme si sarebbe scontrato inevitabilmente
con gli interessi dei potenti, con le più alte autorità religiose. Prima di
tutto con gli anziani: per loro Gesù era troppo infantile, troppo immaturo,
troppo sognatore, un romantico idealista. Per il loro cuore di ghiaccio,
razionale, rigido, un uomo così era pericoloso; un uomo che si estasiava di
fronte al volo degli uccelli in cielo o alla fioritura dei gigli dei campi, un
uomo che abbracciava i bambini portandoli come esempio, o che accoglieva e
ascoltava le donne dando loro conforto e comprensione, cosa avrebbe potuto fare
di buono? “Che sono queste smancerie? Che sono queste effusioni amorose?
Romanticismo, cose da poeti, da visionari, da sognatori”. E, infatti, lo
condanneranno a morte.
Poi si
sarebbe scontrato con i sommi sacerdoti: per i loro cuori pieni zeppi di leggi,
di tabù, di regole, di prescrizioni, di cose da osservare, Gesù era troppo
libero, era un uomo che si credeva in contatto con Dio, uno che gli parlava
apertamente. Il Dio che annunciava era poi un Dio troppo presente, un Dio che
non incuteva terrore, che si chinava amorevolmente sull’uomo; un Dio troppo
progressista, interessato alla liberazione dell’uomo; un Dio amico, vicino, che
si preoccupava dei lebbrosi, dei pagani, degli esclusi; un Dio che metteva
tutti sullo stesso piano: “ma che Dio è questo? Come si permette quest’uomo di insegnarci
chi è Dio? Di Dio bisogna avere paura, bisogna temerlo, obbedirgli, non certo come
fa quest’uomo che lo chiama addirittura papà!”. Gesù era per loro una
rivoluzione. E, infatti, lo condanneranno a morte.
Infine con
gli scribi: avrebbe avuto grossi problemi anche con loro, per i loro cuori
arroganti, per il loro orgoglio (loro erano gli unici interpreti della
Scrittura, loro sapevano tutto, cos’altro poteva essere annunciato di nuovo?).
Gesù era una deflagrazione che sconvolgeva il loro mondo, la loro vita, tutto
il loro sistema, il loro credo, le loro interpretazioni bibliche. Gesù era
troppo pericoloso: “quest’uomo che parla della Bibbia in un modo totalmente
distorto, chi si crede di essere? Non ascolta i padri, non segue la tradizione:
come può pretendere di saperne più di noi, noi, gli unici custodi e interpreti
della Parola e della tradizione?”. E, infatti, lo condanneranno a morte.
Gesù
percepisce l’ostilità che sta montando intorno alla sua persona. Il suo modo di
vivere tocca e mette in discussione troppe persone, troppi interessi e troppi
cuori. Tutto quello che fa, viene osservato, sezionato; ogni pretesto è buono per
metterlo in cattiva luce, per avere da ridire su di lui, per trovare malignità
contro di lui, per accusarlo.
È la
sorte dei grandi uomini: siccome non li si può attaccare nella verità, li si
attacca con le menzogne. Gesù lo sente, sa tutto questo, lo intuisce;
percepisce che si sta organizzando il pretesto per imbavagliarlo, per
contenerlo, per metterlo a tacere, per tendergli inganni: Egli sa di essere un
uomo scomodo e poiché non sarebbero mai riusciti a imbavagliarlo, a farlo stare
zitto, prima o poi avrebbero trovato l’occasione per zittirlo definitivamente,
uccidendolo. Come puntualmente avvenne.
E avverte
anticipatamente i discepoli: “Guardate, mi potrebbero uccidere. Potrebbe capitare:
preparatevi. Andare a Gerusalemme sarà molto pericoloso. Ho paura, ma devo
andarvi lo stesso; non posso tirarmi indietro, non posso abbandonare la mia
missione. Non posso tradire il mio cuore, il mio mandato, il mio Dio, tutto
quello che sento e provo. Io devo andare”.
Questo
è il messaggio che Gesù si preoccupa di trasmettere ai suoi; ma gli apostoli
sono scettici, fanno fatica a credere, ad accettare la cosa. Non può essere.
Come si può perseguitare un uomo come Gesù? Come si fa ad odiare un uomo così?
Come si può anche solo pensare di togliere la vita ad uno che è in grado di
ridare la vita ai morti?
E
Pietro, impulsivo come al solito, sbotta improvvisamente: “Signore, questo non
ti accadrà mai!”.
Pietro
qui fa da maestro a Gesù; i ruoli si capovolgono, gli si “mette davanti”.
Il
vangelo dice che “trasse in disparte” un Gesù, deciso più che mai di
seguire la sua strada, di compiere fino in fondo la sua missione. Pietro
vorrebbe distoglierlo da questi propositi, cerca di “trarlo” fuori, lontano
dalla sua determinazione.
Ma
Gesù, che poco prima gli aveva detto “Tu sei la pietra su cui fonderò la mia
chiesa”, lo redarguisce, gli risponde severamente: “Lungi da me, satana”;
letteralmente: “Dietro di me, satana”. Che, in altre parole, significa: “Io
vado dove devo andare: non distrarmi; non cercare di intralciarmi il passo,
togliti da mezzo, mettiti dietro a me!”.
E qui
c’è un primo importante messaggio per noi. “Non fermiamoci, non arrendiamoci,
soprattutto non lasciamoci fuorviare! Dopo ogni sconfitta, dopo ogni
fallimento, dopo ogni caduta, quando non sappiamo dove andare, quando la voglia
di rinunciare ci assale, rialziamoci prontamente e continuiamo ad andare avanti
per la retta strada; non permettiamo mai che il satana di turno ci ostacoli nel
compiere il bene!”.
Satana
infatti, che cerca sempre di pararsi davanti a noi, deve stare dietro, non ci
deve infastidire, non deve pretendere di guidarci, di portarci dove vuole lui:
siamo noi che decidiamo dove andare e come andare.
Ma chi è
quel Satana, sempre pronto a mettersi di traverso sul nostro cammino? Qui, come
abbiamo visto, è Pietro, l’amico di Gesù. Sicuramente Pietro non voleva far del
male a Gesù, pretendeva solo di fargli cambiare idea, di ricredersi su quanto
aveva loro prospettato, e lo faceva proprio perché lo amava.
Satana,
quindi, non si presenta sempre come il nemico che ci odia, il demonio
terrificante con le corna e il tridente, per difenderci dal quale dobbiamo
correre dall’esorcista.
Satana è colui che ci prospetta sempre
le soluzioni facili, le risposte di comodo, le scorciatoie, sempre però in contrasto
con i suggerimenti della nostra coscienza.
Satana sono tutte quelle persone che
con la loro posizione, con la loro autorità, con la loro influenza, tentano di
gestirci, di manovrarci, di manipolarci.
Satana infine è questa nostra società,
dominata dai poteri finanziari mondiali che, grazie a delle nullità che si
fregiano del titolo di “influencer”, decidono come dobbiamo vestirci, cosa
dobbiamo comprare, cosa mangiare, dove andare in vacanza, quali programmi
guardare in tv, cosa fa tendenza (cioè cosa scegliere per essere alla moda),
arrivando a rincretinire completamente la gente, condizionandola
nell’intelligenza, nella discrezionalità, nell’autonomia razionale, nei gusti e
nelle scelte personali.
Ebbene:
“Davanti a te nessuno”, ci dice perentoriamente Gesù. Perché accettare che
qualcuno si sostituisca a noi, si metta “davanti a noi”, equivale ad
acconsentire di stargli dietro, vuol dire cioè che approviamo le sue decisioni,
assumendoci la responsabilità di abbandonare la strada “giusta”, quella che
Gesù ha pensato per noi.
Gesù nella
sua vita terrena non fu certo succube di qualcuno, vittima di una qualche cieca
fatalità, ma affrontò ad occhi aperti e con grande volontà la sua missione di
amore e di risurrezione attraverso il dolore e una morte straziante. Egli era
perfettamente consapevole di quello a cui andava incontro: sapeva perfettamente
che non era venuto per caso tra gli uomini, che la sua sofferenza aveva uno
scopo vitale ben preciso. Non voleva la sofferenza, ma per tutti gioia, amore,
felicità, amicizia, libertà; non predicava la morte, ma la vita.
“Se
qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi
segua”. Gesù è sempre
chiaro: le sue parole ci devono portare alla logica conseguenza del “pensare
secondo Dio” e non secondo gli uomini.
“Rinnegare”, in greco, significa “dire di no”.
Non nel senso che dobbiamo sistematicamente rifiutare tutto, ma nel senso che
dobbiamo imporre dei “no” a certe illusioni di vita, traducendoli in
altrettanti “sì” alla Vita. Dobbiamo rinnegare noi stessi, cioè dire di no alle
nostre fantasie, a quelle maschere dietro le quali volentieri ci nascondiamo,
per aderire generosamente a quelle situazioni in cui la Vita ci chiama.
Dobbiamo,
dice il vangelo, “dire di no” a tutto ciò che non siamo, dobbiamo
prendere la vita nelle nostre mani e viverla con maturità e sincerità. Perché
la vita che abbiamo è unica, ed è un dono impareggiabile: dobbiamo prenderla e
amarla così com’è. C’è un proverbio russo che dice: “Con le bugie giri tutto il
mondo, ma non arrivi mai a casa”. In altre parole, chi mente a sé stesso, chi
si mostra all’esterno diverso da quello che è nel suo intimo, si allontanerà
sempre di più da sé stesso, dal suo bene.
“Chi
vuol salvare la propria vita la perderà”: cioè, chi non vuole osare, chi non vuole rischiare di
vivere in prima persona la sua vita, con tutto ciò che comporta, gioie, dolori,
affanni, la perde.
Solo
chi è disposto a perdere le proprie convinzioni, le proprie idee, i propri
egoismi, a mettersi in gioco, la trova. Perché per vivere autenticamente,
dobbiamo in qualche modo “morire”. Chi vuol rimanere così com’è, perirà. Chi
vuol fermare il tempo per non progredire, morirà; perché il tempo non si può
fermare.
A che
serve all’uomo vivere e fare un sacco di cose se poi perde la sua anima, la sua
strada, sé stesso? A che ci serve indossare una maschera e vivere una vita non
nostra? A che ci serve ciò che vogliamo, se poi non viviamo? Se poi non siamo
felici? Se poi perdiamo Dio, la Speranza? Se poi perdiamo il dialogo con le
persone che amiamo? Se poi non riusciamo a esprimerci? Non è forse da sciocchi,
da insensati? Lo sappiamo tutti che non funziona: nessuna maschera, nessuna
vita non nostra, ci farà mai felici! Cosa vogliamo in cambio della nostra
anima, della nostra vita? Quando abbiamo perso ciò che abbiamo dentro, abbiamo
perso tutto. Ci siamo mai chiesti perché molte persone sono vuote, tristi,
prive di vita? perché hanno perso l’unica cosa che non dovevano perdere,
l’unica cosa che avevano: la loro anima, se stesse, la loro unicità. Se dentro
siamo vuoti, tutto ciò che ci circonda sarà sempre vuoto. Amen.