giovedì 27 agosto 2020

30 Agosto 2020 – XXII Domenica del Tempo Ordinario


“Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso…” (Mt 16, 21-27).

Ad un certo punto della sua vita Gesù affronta decisamente il suo destino. La sua condotta di vita, troppo aperta, troppo chiara e manifesta, per qualcuno era già diventata pericolosa. Quello che diceva e faceva era troppo provocante, troppo critico nei confronti della gente altolocata, dei ricchi del suo tempo, dei potenti, che di sicuro prima o poi gliel’avrebbero fatta pagare.

Gesù era “troppo” per tutti, in tutti i sensi: non era l’uomo del compromesso, delle mezze misure, degli accomodamenti, delle vie di mezzo. Il suo parlare era chiaro: “sì sì, no no!”.

Era inevitabile quindi che decidesse di completare la sua missione, affrontando quella che sarebbe stata la tappa conclusiva della sua vita terrena, la sua grande sfida col mondo: andare a Gerusalemme per sacrificarsi sulla croce.

Finché Egli viveva e predicava in Galilea tutto sommato non interferiva più di tanto con i grossi poteri. Ma andando a Gerusalemme si sarebbe scontrato inevitabilmente con gli interessi dei potenti, con le più alte autorità religiose. Prima di tutto con gli anziani: per loro Gesù era troppo infantile, troppo immaturo, troppo sognatore, un romantico idealista. Per il loro cuore di ghiaccio, razionale, rigido, un uomo così era pericoloso; un uomo che si estasiava di fronte al volo degli uccelli in cielo o alla fioritura dei gigli dei campi, un uomo che abbracciava i bambini portandoli come esempio, o che accoglieva e ascoltava le donne dando loro conforto e comprensione, cosa avrebbe potuto fare di buono? “Che sono queste smancerie? Che sono queste effusioni amorose? Romanticismo, cose da poeti, da visionari, da sognatori”. E, infatti, lo condanneranno a morte.

Poi si sarebbe scontrato con i sommi sacerdoti: per i loro cuori pieni zeppi di leggi, di tabù, di regole, di prescrizioni, di cose da osservare, Gesù era troppo libero, era un uomo che si credeva in contatto con Dio, uno che gli parlava apertamente. Il Dio che annunciava era poi un Dio troppo presente, un Dio che non incuteva terrore, che si chinava amorevolmente sull’uomo; un Dio troppo progressista, interessato alla liberazione dell’uomo; un Dio amico, vicino, che si preoccupava dei lebbrosi, dei pagani, degli esclusi; un Dio che metteva tutti sullo stesso piano: “ma che Dio è questo? Come si permette quest’uomo di insegnarci chi è Dio? Di Dio bisogna avere paura, bisogna temerlo, obbedirgli, non certo come fa quest’uomo che lo chiama addirittura papà!”. Gesù era per loro una rivoluzione. E, infatti, lo condanneranno a morte.

Infine con gli scribi: avrebbe avuto grossi problemi anche con loro, per i loro cuori arroganti, per il loro orgoglio (loro erano gli unici interpreti della Scrittura, loro sapevano tutto, cos’altro poteva essere annunciato di nuovo?). Gesù era una deflagrazione che sconvolgeva il loro mondo, la loro vita, tutto il loro sistema, il loro credo, le loro interpretazioni bibliche. Gesù era troppo pericoloso: “quest’uomo che parla della Bibbia in un modo totalmente distorto, chi si crede di essere? Non ascolta i padri, non segue la tradizione: come può pretendere di saperne più di noi, noi, gli unici custodi e interpreti della Parola e della tradizione?”. E, infatti, lo condanneranno a morte.

Gesù percepisce l’ostilità che sta montando intorno alla sua persona. Il suo modo di vivere tocca e mette in discussione troppe persone, troppi interessi e troppi cuori. Tutto quello che fa, viene osservato, sezionato; ogni pretesto è buono per metterlo in cattiva luce, per avere da ridire su di lui, per trovare malignità contro di lui, per accusarlo.

È la sorte dei grandi uomini: siccome non li si può attaccare nella verità, li si attacca con le menzogne. Gesù lo sente, sa tutto questo, lo intuisce; percepisce che si sta organizzando il pretesto per imbavagliarlo, per contenerlo, per metterlo a tacere, per tendergli inganni: Egli sa di essere un uomo scomodo e poiché non sarebbero mai riusciti a imbavagliarlo, a farlo stare zitto, prima o poi avrebbero trovato l’occasione per zittirlo definitivamente, uccidendolo. Come puntualmente avvenne.

E avverte anticipatamente i discepoli: “Guardate, mi potrebbero uccidere. Potrebbe capitare: preparatevi. Andare a Gerusalemme sarà molto pericoloso. Ho paura, ma devo andarvi lo stesso; non posso tirarmi indietro, non posso abbandonare la mia missione. Non posso tradire il mio cuore, il mio mandato, il mio Dio, tutto quello che sento e provo. Io devo andare”.

Questo è il messaggio che Gesù si preoccupa di trasmettere ai suoi; ma gli apostoli sono scettici, fanno fatica a credere, ad accettare la cosa. Non può essere. Come si può perseguitare un uomo come Gesù? Come si fa ad odiare un uomo così? Come si può anche solo pensare di togliere la vita ad uno che è in grado di ridare la vita ai morti?

E Pietro, impulsivo come al solito, sbotta improvvisamente: “Signore, questo non ti accadrà mai!”.

Pietro qui fa da maestro a Gesù; i ruoli si capovolgono, gli si “mette davanti”.

Il vangelo dice che “trasse in disparte” un Gesù, deciso più che mai di seguire la sua strada, di compiere fino in fondo la sua missione. Pietro vorrebbe distoglierlo da questi propositi, cerca di “trarlo” fuori, lontano dalla sua determinazione.

Ma Gesù, che poco prima gli aveva detto “Tu sei la pietra su cui fonderò la mia chiesa”, lo redarguisce, gli risponde severamente: “Lungi da me, satana”; letteralmente: “Dietro di me, satana”. Che, in altre parole, significa: “Io vado dove devo andare: non distrarmi; non cercare di intralciarmi il passo, togliti da mezzo, mettiti dietro a me!”.

E qui c’è un primo importante messaggio per noi. “Non fermiamoci, non arrendiamoci, soprattutto non lasciamoci fuorviare! Dopo ogni sconfitta, dopo ogni fallimento, dopo ogni caduta, quando non sappiamo dove andare, quando la voglia di rinunciare ci assale, rialziamoci prontamente e continuiamo ad andare avanti per la retta strada; non permettiamo mai che il satana di turno ci ostacoli nel compiere il bene!”.

Satana infatti, che cerca sempre di pararsi davanti a noi, deve stare dietro, non ci deve infastidire, non deve pretendere di guidarci, di portarci dove vuole lui: siamo noi che decidiamo dove andare e come andare.

Ma chi è quel Satana, sempre pronto a mettersi di traverso sul nostro cammino? Qui, come abbiamo visto, è Pietro, l’amico di Gesù. Sicuramente Pietro non voleva far del male a Gesù, pretendeva solo di fargli cambiare idea, di ricredersi su quanto aveva loro prospettato, e lo faceva proprio perché lo amava.

Satana, quindi, non si presenta sempre come il nemico che ci odia, il demonio terrificante con le corna e il tridente, per difenderci dal quale dobbiamo correre dall’esorcista.

Succede spesso invece che Satana indossi i panni proprio di chi ci vuol bene: sono i nostri “cari”, le persone amiche, chi ci è vicino. Satana è colui che si insinua nei nostri momenti di difficoltà pretendendo di consigliarci la strada “giusta” da seguire: strada che coincide sempre con il suo modo di vedere le cose.

Satana possiamo esserlo anche noi, contro noi stessi, quando per pigrizia, per non faticare, per non accettare la responsabilità di agire in autonomia, da adulti razionali, ci mettiamo comodamente a traino di qualche “santone”, di qualche “guru” invasato: lo seguiamo passo dopo passo, adeguandoci passivamente e stupidamente alle idiozie che egli ci propina.

Satana è colui che ci prospetta sempre le soluzioni facili, le risposte di comodo, le scorciatoie, sempre però in contrasto con i suggerimenti della nostra coscienza.

Satana sono tutte quelle persone che con la loro posizione, con la loro autorità, con la loro influenza, tentano di gestirci, di manovrarci, di manipolarci.

Satana infine è questa nostra società, dominata dai poteri finanziari mondiali che, grazie a delle nullità che si fregiano del titolo di “influencer”, decidono come dobbiamo vestirci, cosa dobbiamo comprare, cosa mangiare, dove andare in vacanza, quali programmi guardare in tv, cosa fa tendenza (cioè cosa scegliere per essere alla moda), arrivando a rincretinire completamente la gente, condizionandola nell’intelligenza, nella discrezionalità, nell’autonomia razionale, nei gusti e nelle scelte personali.

Ebbene: “Davanti a te nessuno”, ci dice perentoriamente Gesù. Perché accettare che qualcuno si sostituisca a noi, si metta “davanti a noi”, equivale ad acconsentire di stargli dietro, vuol dire cioè che approviamo le sue decisioni, assumendoci la responsabilità di abbandonare la strada “giusta”, quella che Gesù ha pensato per noi.

Gesù nella sua vita terrena non fu certo succube di qualcuno, vittima di una qualche cieca fatalità, ma affrontò ad occhi aperti e con grande volontà la sua missione di amore e di risurrezione attraverso il dolore e una morte straziante. Egli era perfettamente consapevole di quello a cui andava incontro: sapeva perfettamente che non era venuto per caso tra gli uomini, che la sua sofferenza aveva uno scopo vitale ben preciso. Non voleva la sofferenza, ma per tutti gioia, amore, felicità, amicizia, libertà; non predicava la morte, ma la vita.

“Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Gesù è sempre chiaro: le sue parole ci devono portare alla logica conseguenza del “pensare secondo Dio” e non secondo gli uomini.

“Rinnegare”, in greco, significa “dire di no”. Non nel senso che dobbiamo sistematicamente rifiutare tutto, ma nel senso che dobbiamo imporre dei “no” a certe illusioni di vita, traducendoli in altrettanti “sì” alla Vita. Dobbiamo rinnegare noi stessi, cioè dire di no alle nostre fantasie, a quelle maschere dietro le quali volentieri ci nascondiamo, per aderire generosamente a quelle situazioni in cui la Vita ci chiama.

Dobbiamo, dice il vangelo, “dire di no” a tutto ciò che non siamo, dobbiamo prendere la vita nelle nostre mani e viverla con maturità e sincerità. Perché la vita che abbiamo è unica, ed è un dono impareggiabile: dobbiamo prenderla e amarla così com’è. C’è un proverbio russo che dice: “Con le bugie giri tutto il mondo, ma non arrivi mai a casa”. In altre parole, chi mente a sé stesso, chi si mostra all’esterno diverso da quello che è nel suo intimo, si allontanerà sempre di più da sé stesso, dal suo bene.

“Chi vuol salvare la propria vita la perderà”: cioè, chi non vuole osare, chi non vuole rischiare di vivere in prima persona la sua vita, con tutto ciò che comporta, gioie, dolori, affanni, la perde.

Solo chi è disposto a perdere le proprie convinzioni, le proprie idee, i propri egoismi, a mettersi in gioco, la trova. Perché per vivere autenticamente, dobbiamo in qualche modo “morire”. Chi vuol rimanere così com’è, perirà. Chi vuol fermare il tempo per non progredire, morirà; perché il tempo non si può fermare.

A che serve all’uomo vivere e fare un sacco di cose se poi perde la sua anima, la sua strada, sé stesso? A che ci serve indossare una maschera e vivere una vita non nostra? A che ci serve ciò che vogliamo, se poi non viviamo? Se poi non siamo felici? Se poi perdiamo Dio, la Speranza? Se poi perdiamo il dialogo con le persone che amiamo? Se poi non riusciamo a esprimerci? Non è forse da sciocchi, da insensati? Lo sappiamo tutti che non funziona: nessuna maschera, nessuna vita non nostra, ci farà mai felici! Cosa vogliamo in cambio della nostra anima, della nostra vita? Quando abbiamo perso ciò che abbiamo dentro, abbiamo perso tutto. Ci siamo mai chiesti perché molte persone sono vuote, tristi, prive di vita? perché hanno perso l’unica cosa che non dovevano perdere, l’unica cosa che avevano: la loro anima, se stesse, la loro unicità. Se dentro siamo vuoti, tutto ciò che ci circonda sarà sempre vuoto. Amen.

 

 

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