giovedì 25 agosto 2022

28 Agosto 2022 – XXII Domenica del Tempo Ordinario


Lc 14,1.7-14

Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cedigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».

Non è la prima volta che Gesù va a pranzo da scribi e farisei. Sa perfettamente di essere oggetto di attenta osservazione e di andare incontro a inevitabili critiche e maldicenze: ma Egli è un uomo libero e non ha nulla da nascondere. Non si lascia condizionare dai pregiudizi e da quel clima chiaramente ostile, perché sa che la sua missione è di dover insegnare sempre a tutti qualcosa di nuovo: in particolare proprio a quelli che si considerano, come i suoi commensali, i più bravi, i più buoni, i più giusti, che credono di avere un posto garantito fin d’ora nel Regno dei cieli. Il suo andare a “pranzo” da questa gente, quindi, soddisfa sì la necessità materiale di nutrirsi, ma gli offre soprattutto l’occasione di servire a sua volta quel cibo spirituale della sua Parola, sano e incorruttibile, ben più necessario di quello materiale.  
Qui siamo di sabato; è quindi verosimile che Luca si riferisca ad un fatto realmente accaduto: in quel giorno, infatti, al termine della riunione di preghiera nella sinagoga, tutti i partecipanti si intrattenevano per un “pranzo”, al quale partecipava anche il rabbi o il predicatore di turno, insieme ai personaggi più importanti e degni del luogo. È naturale quindi che in quel sabato, Gesù abbia notato, all’apertura delle porte, la corsa disordinata della gente per accaparrarsi i primi posti, quelli cioè più vicini all’invitato d’onore: nulla di strano, è cosa che di solito succede anche ai nostri giorni. “Notando come sceglievano i primi posti”, commenta infatti Luca.
Un particolare comunque che gli offre lo spunto per offrire in proposito una sua catechesi.
Gesù dunque non si indigna tanto per il fatto materiale in sé; è invece il “perché” ciò avviene, che lo infastidisce, è il motivo irrazionale per cui le persone sistematicamente si comportano sempre in questo modo: in altre parole Egli stigmatizza quella voglia innata, irrefrenabile degli uomini, di auto-esibirsi, di apparire ad ogni costo, di stare in alto, sempre ai primi posti, pur non meritandolo, non avendone alcun titolo, ricorrendo se necessario anche ad espedienti poco signorili.
Ecco allora che Egli pone un principio fondamentale: non è importante ottenere quello che ti qualifica esteriormente davanti agli uomini - sappiamo che tutto è apparenza - ma quello che ti qualifica davanti a Dio, come tu ti poni davanti a Lui. Sembra infatti dire: “Non ti accorgi che questa tua ansia di apparire ti rende completamente cieco, ingiusto, illogico, finendo col non apprezzare nessuno, neppure le persone che ami? Perché fai passare per insignificante, per una nullità, chiunque altro sia più meritevole, più degno di te ad occupare il posto d’onore?”.
Pertanto: “Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non ti mettere a tavola al primo posto, perché può darsi che sia stato invitato da lui qualcuno più importante di te, e chi ha invitato te e lui, venga a dirti: Cedi il posto a questo. E tu debba con tua vergogna andare allora ad occupare l’ultimo posto”
È chiaro che qui Gesù vuol colpire soprattutto quel “modus operandi”, quel comportamento tipico della cultura farisaica, classista e individualistica, per il quale la priorità nel sociale, il primo posto occupato nelle sinagoghe, nei pranzi, nelle occasioni pubbliche, significava un tributo onorifico esclusivo e irrinunciabile.
Quello che Gesù rimproverava allora, e continua a rimproverare anche a noi oggi, sono quei comportamenti “maniacali”, ossessivi, con cui alimentiamo il nostro smisurato orgoglio; sono quelle rozze “sgomitate”, quegli accorgimenti insensati, grazie ai quali riusciamo puntualmente a presentarci tra i primi, a mischiarci tra i personaggi più importanti, tra quelli cioè che nella società contano molto; è quella eccessiva ricerca di onori, di riconoscimenti, di gratificazioni, con cui alimentiamo la nostra “fame” di protagonismo esibizionista. Gesù qui non condanna il dovuto e corretto riconoscimento dei meriti di una persona: tant’è che, subito dopo, proseguendo nella parabola, fa dire al padron di casa, che esorta l’invitato messosi umilmente all’ultimo posto: “Amico, vieni più avanti!”; e commenta: “Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali”.
Tuttavia il senso della parabola non si ferma qui: Gesù infatti intende condannare indirettamente anche un altro atteggiamento, altrettanto negativo, ma ancor più subdolo, più untuoso: si tratta cioè di quella falsa “modestia”, di quell’umiltà ipocrita con cui, purtroppo in tanti, si mettono di proposito all’ultimo posto, per sfoggiare in questo modo una carità, una sensibilità per gli umili, per i poveretti, che in realtà non hanno; il loro unico scopo, anche in questo caso, è quello di esaltare solo se stessi: è questa “farsa” a beneficio esclusivo della stampa e dei media che Gesù condanna vigorosamente. La differenza, per chi guarda dall’esterno, è minima, inesistente, ma all’interno, è stridente: perché pensare che la felicità risieda nell’essere considerati superiori agli altri, più importanti, più ricchi, più potenti, è solo una deformazione mentale, un inutile narcisismo, un turpe desiderio di auto-esibizione; significa in pratica accontentarsi di interpretare nella vita un inutile surrogato di sé stessi, anche se dentro di noi, nella solitudine, nel profondo dell’anima, sappiamo molto bene di essere delle autentiche nullità “Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”
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Nessun travestimento, nessun protagonismo, nessuna nostra immagine esteriore, falsa e auto-costruita, per quanto grandiosa, per quanto perfetta, sarà mai in grado di renderci felici: non lo può per definizione! La felicità nasce solo da un vissuto reale, concreto, dalla sensazione meravigliosa di essere vivi, di essere utili; dal comunicare questa nostra vitalità agli altri, dal percepire nel nostro cuore tutti quei sentimenti, quelle emozioni che solo l’amore sa trasmettere. Al contrario, più l'immagine che inseguiamo è grande, falsa e ambiziosa, più ci allontaniamo intimamente dalla nostra vita spirituale, più i nostri sentimenti ci appariranno sfocati, scontornati, indistinti, distrutti. E allora capiremo che la nostra vita è destinata inesorabilmente ad un completo fallimento.
Le parole di Gesù ci propongono giustamente di reagire: in questa nostra vita dobbiamo imparare a capire, a distinguere, a seguire, la giusta via, quella corretta, fondamentale; quella “strada” interiore che Egli ci ha tracciato, e che ci consentirà di raggiungere la nostra ricompensa, l’autentico nostro reale “riconoscimento”, quando, “alla risurrezione dei giusti”, Egli ci inviterà ad entrare in quel “Regno dei cieli”, promesso ai “retti di cuore”.
Dobbiamo insomma, nel nostro breve “oggi”, creare relazioni, rapporti, amicizie, basati esclusivamente sull’amore, sulla carità, sulla bontà del cuore: dobbiamo cioè amare i fratelli umilmente e sinceramente, non per ostentazione, non per interesse, non per orgoglio, non per un malsano egoismo: soprattutto non sulla base di un vantaggio che ne potremmo ricavare, perché, come ci assicura Gesù, “sarai beato poiché non hanno nulla da ricambiarti”. Amen.

 

  

giovedì 18 agosto 2022

21 Agosto 2022 – XXI Domenica del Tempo Ordinario


Lc 13,22-30 
In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi». (Lc 13,22-30).

Gesù continua il suo cammino verso Gerusalemme. Una annotazione, questa del camminare di Gesù, che ci viene sottolineata, non a caso, con una certa insistenza. Ciò che ci deve far meditare non è tanto il fatto materiale del muoversi, quanto il riferimento ad un continuo, necessario e irrinunciabile andare incontro al compimento della missione salvifica assegnatagli dal Padre. Una progressione continua e ascendente che dovrebbe animare anche il nostro percorso di perfezione spirituale, segnato invece da eccessive e interminabili soste inutili. Se spiritualmente non ci muoviamo, se non siamo in costante cammino continueremo a rimanere nella mediocrità, non andremo mai da nessuna parte, poiché nell’anima rimaniamo spiritualmente “morti”.
Ci siamo mai chiesto perché il Signore dice ai suoi: “Seguimi”? Perché “seguire” presuppone appunto un “avanzare” continuo e progressivo. Non si può seguire il Signore rimanendo fermi, rimanendo sempre gli stessi, fossilizzati sulle stesse idee, sugli stessi schemi mentali, sugli stessi punti di vista.
Chi si giustifica dicendo: “Ma tutti hanno sempre fatto così!”, vuol dire che nella sua vita non si è mai posto alcuna domanda, non ha mai cercato soluzioni alternative, più appropriate, più attinenti al suo personale stato di vita, più convenienti al suo particolare percorso di cristiano.
Un vuoto immobilismo: è questo il motivo per cui la gente è triste, insoddisfatta: perché è ripiegata su sé stessa, non ha idee; perché ripete continuamente senza alcun entusiasmo, passivamente, le stesse cose; non si rinnova, non aggiorna il suo percorso, si rifiuta di accelerare traendo il meglio da se stessa: il suo massimo impegno è quello di adeguarsi alla mediocrità altrui.
Vogliamo fare una piccola verifica su come noi ci comportiamo a questo riguardo? Vogliamo sapere se siamo veri discepoli del Signore, in continua “tensione”? È molto semplice: è sufficiente verificare se le nostre preghiere, la nostra fede, il nostro modo di credere, il nostro atteggiamento nei confronti di Dio e del prossimo, sono gli stessi, identici, di quando eravamo bambini: se è così, vuol dire che il nostro cammino cristiano è rimasto allo stadio infantile; non siamo cresciuti, siamo rimasti fermi ai primi passi; vuol dire che gran parte della nostra vita è passata inutilmente. Se a quarant'anni la nostra coscienza continua a rimproverarci su “bugie... parolacce... preghiere dimenticate... doveri non mantenuti”, vuol dire che siamo ancora ai nostri otto anni, alla prima comunione! Dal punto di vista spirituale siamo rimasti immobili, immaturi; non siamo cresciuti per nulla.
Seguire il Signore vuol dire invece immettersi in un processo di continua crescita, di continua trasformazione, di continua conversione; di rovinose cadute, è vero, ma anche di eroici risollevarci. L’anima è dinamica: la caratteristica essenziale della vita spirituale, come di quella biologica, è appunto crescere, cambiare, evolvere, andare avanti, portare frutti.
Mentre dunque Gesù percorre la sua strada, un uomo gli pone una domanda: «Sono pochi quelli che si salvano?». Una domanda chiaramente superficiale, da curioso, di uno che parla tanto per dire qualcosa, per far notare la sua presenza: Gesù giustamente non gli risponde, non gli interessa soddisfare questo tipo di curiosità. Non è questo il punto! A Lui preme sottolineare invece l’impegno che tutti devono mettere per raggiungere la propria di salvezza: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti non ci riusciranno; allora comincerete a bussare... Signore aprici! Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete!». Eccoci serviti; non serve a nulla conoscere in quanti si salvano: l’unica cosa che ci deve interessare è sapere se noi abbiamo i requisiti per rientrare tra quelli!
E allora non perdiamo tempo, pensiamo a noi stessi, concentriamoci sul nostro cammino.
Più parliamo a vuoto, più spettegoliamo sulla vita altrui, meno riusciremo a concentrarci su come vivere correttamente la nostra, perché, quello di salvarci, è un problema serio, impegnativo: il quadro che Gesù oggi ci presenta è a tinte molto cupe, dure, tragiche. Non sono ammessi sconti, non vengono fatte preferenze. Il Dio che ci viene presentato è un Dio completamente diverso dal buon samaritano, dal buon pastore, dal padre buono e misericordioso che ama alla follia i figli ribelli; il padre che attende fiducioso il loro ritorno, che perdona ogni cosa, che accoglie sempre tutti e comunque a braccia aperte. Qui è un Dio “intransigente”, un Dio da temere e da rispettare. Quando i ritardatari rimasti “fuori”, distratti e inconcludenti, gli chiedono di aprire la porta, Egli non ha dubbi o ripensamenti: “Non vi conosco, non so di dove siete…”.
Siamo di fronte ad una situazione veramente terribile: una situazione però che non dipende da Dio: non è Dio che ci rifiuta, che ci condanna, che non ci riconosce: Egli sa bene chi siamo; Egli stesso ci ha creati a sua immagine e somiglianza, un’immagine che doveva essere il nostro personale documento di identità. Ma se noi, strada facendo, abbiamo deturpato i nostri lineamenti originali, sovrapponendo tutta una serie di maschere inguardabili: quella dell’orgoglio, del potere, dell’arroganza; del superuomo che calpesta i deboli, i miseri, i poveri; se insomma abbiamo preferito deformare le nostre sembianze divine, luminose, splendide, rendendoci irriconoscibili perfino a Colui che ci aveva plasmato, è naturale che nel presentarci all’ingresso del suo Regno, Egli ci dica, lasciandoci confusi, completamente sbigottiti: “Non vi conosco. Allontanatevi da me voi tutti operatori di ingiustizia!”. “Ma come Signore? Io un “operatore di ingiustizia”? Impossibile! Tu sai bene che sono un “cristiano adulto”: io prego, vado in chiesa tutte le domeniche, non ho mai fatto male a nessuno, mi sono sempre comportato bene, non rubo a nessuno, faccio le mie elemosine, non sono mai stato un disonesto. Ho “mangiato e bevuto in tua presenza”, sono rimasto nelle tue chiese con te, ho ascoltato le prediche dei tuoi preti, ho mangiato il Pane Eucaristico insieme a tutti gli altri. Come fai a non riconoscermi?”. Il nostro sfogo difensivo però è insufficiente: inutile a quel punto vantare curricula immacolati! Anche perché, in fondo, il motivo di tale rifiuto lo conosciamo molto bene: solo che nella nostra ottusità di egocentrici, ci siamo guardati bene dal prenderlo in considerazione quando avevamo ancora tempo!
Abbiamo fatto tante cose costruttive, buone, ammirevoli, è vero: ma “farle” soltanto non basta: abbiamo agito, rimanendo “fuori”, ci siamo accontentati della visibilità esteriore, dell’apparire, del consenso mondano; non siamo cioè “entrati dentro” di noi, nella nostra anima; abbiamo agito non seguendo la mentalità di Dio, ma quella del mondo, abbiamo preferito lavorare per il piacere immediato, per la soddisfazione momentanea, piuttosto che per amore di Dio, quell’amore che ci proietta nell’infinito: rimanendo “fuori”, infatti, non abbiamo potuto udire la voce di Colui che ci aspettava all’interno, nella nostra coscienza, non abbiamo percepito i suoi richiami, i suoi consigli, le sue direttive sicure, la sua voce paterna; abbiamo rifiutato l’offerta collaborativa della sua amicizia, gli abbiamo preferito le false prospettive del mondo, lasciandolo nella più completa solitudine.
Ecco allora che il vangelo di oggi, nonostante tutto, ci offre l’opportunità di rimediare, di riprogrammare la nostra vita, prima che sia troppo tardi, facendoci entrare finalmente nell’esatta prospettiva evangelica, lavorando, sudando, sforzandoci a superare le inevitabili difficoltà del nostro percorso.
La porta d’ingresso al Regno di Dio è stretta: se pensiamo di passare rimanendo nella nostra tracotante e mostruosa obesità, dovuta alle stratificazioni di infedeltà, di menefreghismo, di falsità, ci sbagliamo di grosso: in tali condizioni non potremo mai superare nulla, tanto meno la strettoia che introduce nel Regno.
Sforzarsi”, in greco “agonizomai”, significa letteralmente “lottare, combattere, gareggiare”.
“Agon” era il luogo della lotta, dei combattimenti, delle gare; “Agonia” è l’ultima estrema terribile lotta che ognuno deve affrontare uscendo da questa vita.
Nessuno ha mai detto che crescere spiritualmente sia semplice, che vivere seriamente da cristiani autentici sia un gioco da ragazzi; le difficoltà che incontreremo ci faranno talvolta paura; forse ci faranno anche piangere, ci creeranno tensioni, vere lacerazioni interiori. Ma se le ignoriamo, se le lasciamo lì, se le evitiamo facendo finta di nulla, quando verrà all’improvviso il momento della nostra inevitabile “agonia” non potremo fare più nulla, e sarà troppo tardi. Amen.

 

mercoledì 10 agosto 2022

14 Agosto 2022 – XX Domenica del Tempo Ordinario


Lc 12,49-53 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

 Il vangelo di Luca attribuisce oggi a Gesù delle espressioni particolarmente dure. Lo fa con un linguaggio drastico, estremo, denso di previsioni drammatiche: decisamente, concetti come “fuoco”, “divisione”, “tutti contro tutti!” non sembrano appartenere al suo stile. Cosa significa tutto questo? Gesù, come al solito, è chiaro: chi lo vuol seguire deve sottoporsi a scelte radicali, risolutive, contrastanti: scelte che comportano una vita completamente “nuova”, diversa da quella di prima; la sua sequela richiede la morte dell'uomo vecchio, quello incentrato su sé stessi, e la nascita dell’uomo nuovo, quello che finalmente ci fa vivere da figli di Dio. 
Un cambiamento che, prima per i discepoli, e poi a seguire per tutta la Chiesa, è stato sempre motivo di una profonda discriminazione da parte del mondo. I cristiani di ogni tempo sono sempre stati considerati all’opposizione, “dall’altra parte”, incompresi, osteggiati... Anche oggi, coloro che fanno scelte radicali per il Vangelo, continuano ad essere apertamente derisi; il mondo, con la sua logica edonistica, si diverte a dimostrare in tutti i modi l’insensatezza delle loro scelte, anche se talvolta sono eroiche: le svilisce, le disprezza, le ridicolizza. Un comportamento, questo del mondo, che non ci deve né meravigliare né abbattere: Gesù l’aveva previsto; e le parole del vangelo di oggi anticipano proprio questa situazione di ostracismo e di divisione. 
Scegliere di vivere coerentemente il vangelo non è mai stata, e non lo sarà mai, una decisione facile, capita e condivisa dai più; lo abbiamo già visto: quando infatti Gesù ha cominciato a parlare chiaro, quando ha cominciato a fare sul serio, tutti sono scappati; le folle, così numerose nello sfamarsi gratuitamente, improvvisamente si sono diradate. Non dobbiamo quindi meravigliarci se anche noi, quando facciamo sul serio, quando vogliamo seguire letteralmente i suoi insegnamenti, intorno a noi si crea terra bruciata: diventiamo automaticamente “pietra d’inciampo”, segno di “contraddizione”; in una società completamente a servizio dell'immagine e del consumismo come quella in cui viviamo, il Vangelo con i suoi precetti non può che essere ostico, difficile da seguire, in quanto frantuma sul nascere ogni logica di profitto, di successo personale, di carrierismo; è insomma decisamente “scandaloso”!

Le parole di Gesù sono esplicite, solari: “non sono venuto a portare la pace, ma la divisione”. Egli non è venuto a portare il quieto vivere, il sonno tranquillo delle coscienze; non è venuto a giustificare una storia umana che continua a rotolarsi nelle ingiustizie e nelle ignobili perversioni; Egli al contrario è venuto a portare “guerra”, “divisione”, un “distacco” obbligato dal male; ha praticamente introdotto un “conflitto” interiore; una chiara presa di coscienza di tutto ciò che non va bene, di ciò che ferisce l'uomo, la sua anima, il suo cuore; ha reso cioè obbligatoria una “scelta” tra ciò che dobbiamo mettere al primo posto (Dio) e ciò che, per quanto importante possa sembrare, deve in ogni caso rimanere secondario (tutti gli altri valori).
Le persecuzioni subite dai profeti (come Geremia), ci insegnano soprattutto questo; questo ci insegna la lettera agli Ebrei, quando dice: “Pensate attentamente a Cristo che ha sopportato da parte dei peccatori una così grande ostilità contro la sua persona, proprio perché voi non vi stanchiate perdendovi d'animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella vostra lotta contro il peccato…”. È chiaro? “Resistere fino al sangue”, fino al martirio: questo praticavano i primi cristiani, altro che stancarsi e buttarsi tutto alle spalle, come facciamo noi! 

La Parola di oggi, insomma, ci pone di fronte ad una prospettiva decisamente lontana dal nostro stile di vita: noi, con tutta la nostra cultura, non siamo ancora in grado di stabilire ciò che in assoluto è bene o male; ciò che è giusto o ingiusto: oppure lo sappiamo anche ma, per quieto vivere, ci comportiamo come se non lo sapessimo, non ci esprimiamo. Preferiamo stare dietro le quinte. Abbiamo timore di quello che potrebbe pensare la gente! Lasciamo volentieri che siano altri, ma non noi, a far capire alle persone cosa sia la “salvezza ultima”, la “testimonianza religiosa”, la “fede in Dio e nella Chiesa”, in cosa consistano nella vita i “principi morali inalienabili”. Ci nascondiamo: un po’ come vediamo fare certi preti, certi frati, certi religiosi che si “mimetizzano” tra la folla, vergognandosi addirittura di indossare quella veste, quella sacra “divisa”, che li distingue da tutti gli altri, li identifica, costringendoli a mantenere di fronte al mondo intero, un comportamento “superiore”, “convinto”, da “consacrati”, luminosamente “coerente” con la fede che predicano: anche per loro, meglio l’anonimato, più comodo e meno impegnativo.

Ma non è questo che Gesù vuole da noi: perché noi, come tutti gli uomini, siamo “chiamati” ad essere suoi testimoni. Ciascuno di noi, singolarmente, deve impegnarsi in prima persona; ciascuno deve trasformarsi in “scandalo” di fronte alla gente, per difendere la Verità: proprio quella “Verità” che non piace al mondo, che viene considerata inopportuna, imbarazzante, indigesta.
Ci sono verità, lo sappiamo bene, che la nostra società contemporanea definisce, con acredine e arroganza, “retrograde”, senza senso, incivili. Ebbene, non lasciamoci imbavagliare! Dimostriamo di conoscere queste verità: professiamole apertamente, convintamente, con quella semplicità, con quella fedeltà, che Cristo, Verità assoluta, ci ha insegnato. Proclamiamole tutti insieme, difendiamole, annunciamole coraggiosamente in pubblico e in privato, ognuno nel suo ambito: vescovi, sacerdoti, educatori, catechisti, teologi, padri di famiglia. Lavoriamo in profondità, “scandalizziamo” questa nostra società così distratta e superficiale, vivendo per primi le verità fondamentali della fede e della morale cattolica! Perché solo in questo modo, la Verità “ci farà liberi”.
L'uomo, infatti, facendo tutto “ciò che vuole”, non è libero; è libero solo operando in forza di quella Verità, essenza unica del suo esistere come persona. La libertà non è un principio assoluto: esiste solo in riferimento alla Verità, che di per sé stessa attrae e affascina l’uomo. Dove c'è Verità c'è libertà, e dove non c'è Verità, inevitabilmente sussiste qualche forma di schiavitù. Pertanto, solo se cerchiamo la Verità, se la viviamo, se l’amiamo, potremo sentirci completamente liberi: anche se rinchiusi tra quattro mura, o considerati dalla società come inutile “spazzatura”.
In un mondo come il nostro, dominato da un relativismo globale, imperante e ossessivo, le verità universali del Vangelo fanno paura, sono di intralcio, rappresentano un grave ostacolo all’attuale pensiero fluido: nostro compito di cristiani è fare in modo che questo relativismo, questa schiavitù irrazionale, cessi di valere come principio assoluto: aver paura della Verità, significa infatti aver paura di essere sé stessi, di essere coerenti, di essere auto pensanti; significa lasciarsi dominare dalla legge del più forte, dalle ideologie di massa, significa perdere la propria dignità intellettuale, la propria esistenza spirituale.

Il Vangelo è nato, cresciuto, si è diffuso, fin dall’inizio, tra uomini dominati dalla contraddizione: è stato il dramma dell'alleanza fra Dio e il suo popolo, dramma che continua a riproporsi anche nella nostra storia contemporanea: Dio si racconta, si svela, si avvicina all'uomo, si offre di aiutarlo: ma l'uomo sistematicamente gli risponde “no, grazie”. I testimoni della “Buona notizia”, sono discepoli di un Dio che crea divisione, che non ammette uomini tranquilli, adagiati nell’indifferenza, nelle loro pseudo certezze, trincerati dietro tiepide e comode religioni passeggere. Sono discepoli di un Dio che scuote, che infiamma, che brucia dentro, che li spinge nel mondo, tra la gente, perché tutti gli uomini lo riconoscano come Padre.

Rispondiamo allora anche noi a questa chiamata di Dio, accettiamo con slancio questa sfida divina: viviamo, annunciamo, comunichiamo, spieghiamo al mondo intero le Verità di questo Dio che brucia il nostro cuore, la nostra anima. Difendiamole coraggiosamente contro quanti le negano, le irridono! Non accontentiamoci di vivere da cristiani remissivi, concilianti, segregati in un limbo virtuale, tagliati fuori, avulsi dalla realtà contemporanea: non permettiamo che la nostra testimonianza sia insignificante, banale: così priva di mordente, da renderci invisibili, inutili, di nessun interesse. Non viviamo insomma da “tiepidi”: perché, come scrive l’Apocalisse, per il nostro essere “né caldi né freddi”, rischiamo di venire “vomitati” da Dio.
Noi dobbiamo essere autentici discepoli di Cristo: non dimentichiamolo mai! E come tali, siamo chiamati ad essere dei rivoluzionari, dei battaglieri, degli incendiari: gente che combatte, che crea soqquadro in quell’immobilismo, in quella inefficienza piatta di una società spiritualmente amorfa, indifferente, asfittica; dobbiamo essere gente che predica e professa apertamente l’Amore che Dio nutre indistintamente per tutti gli uomini; gente che opera con coraggio e continuità, perché la Sua pace trionfi nel mondo; gente insomma che vuole realizzare in esso gli ideali di Dio nostro Padre, battendosi per quell’unica Verità, che Egli ha immesso nel cuore e nella mente di ogni sua creatura! Amen.