Il primo giorno della
settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora
buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da
Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro:
«Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!»
(Gv 20,1-9)
Gesù è
risorto. Nessuno ha trafugato il suo corpo, cara Maddalena. Egli ha semplicemente
e definitivamente sconfitto la morte! Come?Cerchiamo di rivivere con la memoria gli eventi tumultuosi di questi ultimi giorni.
Quando Gesù viene arrestato, una cocente delusione assale tutti quelli che lo hanno seguito fin là. I più fuggono, si disperdono; tornano alle loro case, in Galilea. Pensano: “È tutto finito! È stato bello, meraviglioso, ma adesso… che fallimento!”. Si sentono a pezzi, morti dentro. Solo alcune donne trovano il coraggio di seguirlo, anche se da lontano, fin lassù sul Golgota, per assistere alla sua straziante morte. Compiuto l’irreparabile, insieme a Giuseppe d’Arimatea, curano la deposizione nel sepolcro di quel corpo così barbaramente martoriato. Devono fare in fretta: l’indomani infatti è già la Parasceve, giorno dedicato ai preparativi per la festa del Sabato.
Giunta poi la domenica, al mattino presto, vogliono completare con calma il rito della sepoltura, e si avviano al sepolcro portando oli profumati e unguenti.
Ma si trovano improvvisamente di fronte all’impensabile, all’imprevedibile: il sepolcro è vuoto! La pesante pietra posta a chiusura dell’ingresso - che così tanto le preoccupava - è rimossa; la tomba è vuota. Qualcuno ha sicuramente rubato il corpo di Gesù! Corrono allora ad avvisare Pietro e gli altri, i quali, giunti affannosamente sul luogo, non possono far altro che constatare la realtà. Ma non è così, non è questa la realtà. E nel loro cuore se ne rendono poi conto, perché quel Gesù che credevano morto, davvero finito, davvero sepolto, improvvisamente lo sentono vivo: la sua è una presenza così potente, così inequivocabile, così indiscutibile, da escludere ogni possibilità di errore. E non è finita: a questo miracolo se ne aggiunge un altro, un miracolo ancora più sensazionale; questa volta constatabile da tutti, visibile a tutti: quegli stessi discepoli, cioè, che il venerdì erano disperati ed erano fuggiti in preda alla paura e al terrore, alcune settimane dopo, a Pentecoste, annunciano senza più paure, che quel Gesù dato per morto, è effettivamente e realmente risorto.
E per lui vanno in prigione, per lui accettano derisioni, umiliazioni, percosse; ma nulla riesce a fermarli più. Per Lui possono anche morire, e molti di loro vengono davvero giustiziati: ma nulla li ferma. C'è in loro un fuoco che non si spegne mai.
Ebbene, fratelli, tutto questo è successo e ne siamo certi; anche se umanamente non riusciamo a spiegare come abbia potuto succedere in loro - in un tempo tanto breve - un cambiamento così radicale, così profondo, così decisivo; ora sono esattamente l’opposto di come erano prima, sono completamente cambiati, non sono più loro, dimostrano di essere guidati interiormente da una forza divina inarrestabile, dirompente, e sono convintissimi di quel che dicono: “Il Signore è risorto, noi lo abbiamo visto! Il Signore è vivo, lo sentiamo, è dentro di noi, vive in noi e con noi”.
Ecco, la “resurrezione” degli apostoli è tutta qui: è questa esperienza inaspettata e incredibile che essi hanno fatto proprio quella domenica mattina, esattamente come ce la descrive il vangelo di Giovanni.
Lui, molto più giovane, e Pietro, si fanno una bella corsa. Giovanni descrive nei minimi particolari il fatto: chi arriva prima e non entra, e chi arriva dopo ed entra. E dice anche che il primo, in questo caso lui stesso, vede e crede; mentre il secondo, Pietro, no.
Pietro, infatti, (Cefa, significa appunto “pietra”, duro, ostinato), nel vangelo è colui che vuol capire con la testa, è solo razionalità. Giovanni, che nel suo vangelo si definisce semplicemente “quello che Gesù amava” è, come dice il nome, amore, intuizione, sentimento, interiorità, vibrazione.
La mente razionale controlla il sentimento, cerca di contenerlo, perché il sentimento è come un'onda d'urto molto forte. La mente serve per capire (è Pietro che entra per primo!), per spiegare, per interpretare. Ma l'organo della vita è il cuore, è l’anima; se la mente arriva a percepire la vitalità, lo stupore, la fede, la conoscenza di Dio, ciò che fa “capire” è il cuore; serve l’anima.
Gesù risorto, Cristo resurrezione, Fede, Vita, Amore, è una persona di cui inebriarsi, appassionarsi, innamorarsi. Appartiene al cuore.
Così Pietro, la mente, la durezza, quando non vuol far spazio alla vita che c'è in lui, non vede nulla. E anche se vede, quello che vede non provoca niente in lui.
Giovanni al contrario, Giovanni l'amore, l'interiorità, il sentimento profondo, non solo vede ma immediatamente capisce tutto.
È questo che dobbiamo imparare, fratelli. Quando parliamo con una persona che amiamo, guardiamola negli occhi, entriamole dentro. Ascoltiamo non tanto cosa ci dice ma le vibrazioni del suo cuore; cogliamo la sua tristezza, la sua gioia, il suo slancio, la sua meraviglia, il suo amore. Così quando cantiamo o preghiamo, fermiamoci, e ascoltiamo il nostro cuore dentro di noi: le sue vibrazioni provocano emozioni profonde, fanno risuonare le corde della nostra anima. Quando siamo in chiesa, facciamo silenzio, mettiamo da parte ogni pensiero e ascoltiamoci. Allora potremo percepire forte e chiara la presenza di Qualcun altro dentro di noi. Impariamo a farlo spesso: ogni tanto fermiamoci e ascoltiamoci. All'inizio magari, dal nostro cuore usciranno demoni e mostri. Ma se avremo pazienza, con calma, nel silenzio, nel tempo, scopriremo dentro di noi una musica celestiale, una sorgente inesauribile di vita e di luce.
La nostra “Resurrezione” è infatti questo poter cogliere l'invisibile nel visibile. Il soprannaturale nel naturale, nella vita di ogni giorno.
Ma ci servono degli “occhi speciali”, gli occhi della fede, quegli occhi che oltrepassano la soglia della materia, che colgono la vera realtà delle cose. Con la resurrezione di Gesù di Nazaret, noi “risorti” possiamo affermare: “Dio è qui”. L'Invisibile è entrato nel visibile. Dobbiamo solo cercarlo, dobbiamo solo conoscerlo, dobbiamo solo scovarlo.
Il vangelo ci dice che Maria di Magdala si reca di buon mattino quand'è ancora buio. Sono due situazioni opposte: “di buon mattino” vuol dire “luce”; “quand'era ancora buio” vuol dire invece “notte”. Apparentemente sono una contraddizione, ma in realtà esprimono due aspetti di uno stesso, unico evento: nel cuore di quella donna e dei discepoli, tutto è finito, tutto è ancora buio, notte. Ma sta per accadere qualcosa di unico: la luce, la Vita, la vitalità, sta per sorgere.
Ogni volta che diciamo: “È tutto finito”, dobbiamo essere convinti invece che sta nascendo qualcosa. Un qualcosa però che si pone su un altro livello, più in alto. Un qualcosa che ci chiede di fare un salto di qualità, un salto di fede, un salto evolutivo.
La fede infatti significa potersi fidare, perché in tutto ciò che succede, noi siamo sempre sostenuti; in tutto ciò che ci succede, c'è Dio che tenta di plasmarci, di forgiarci, di purificarci, di migliorarci. Tutto ciò che ci succede è un bene per noi. Certo, a volte è doloroso, a volte è duro, a volte non è piacevole, ma è comunque necessario, perché ogni cosa che ci succede, ogni evento della nostra vita, tutto tenta di farci andare proprio dove dobbiamo andare.
Se rimaniamo a livello di storia, come è successo per gli apostoli, diciamo: “Che disastro! Tutto è finito! Gesù è morto”. Ma se riusciamo a compiere il “salto” di fede esclamiamo: “Che bello! Gesù è risorto, tutto ha un senso! Grazie!”.
Ogni fatto grave, per quanto grave sia, se noi riusciamo a fare questo salto di fede, di evoluzione, da buio pesto diventa “luce” sfolgorante; diventa vita, resurrezione.
L’ostrica contiene la perla: ma per prenderla dobbiamo aprirla. Ogni scrigno può racchiudere un tesoro, ma dobbiamo guardare bene dentro. Così ogni morte racchiude una vita, e ogni notte è preludio di un’alba.
Se quindi noi rimaniamo allo stesso livello e non facciamo il salto, tutto ciò che succede è buio, notte, morte. Al contrario se facciamo quel salto, tutto diventa prezioso, grazia, benedizione, gratitudine. Ma quel salto, fratelli miei, non lo può fare nessuno al posto nostro, dobbiamo farlo noi stessi!
Noi spesso ci arrabbiamo perché succede quello o quell'altro, perché il collega, l’amico ci ha fatto questo, la moglie, il marito, il confratello, quello; ci irritiamo perché i figli non fanno quello che vogliamo noi, perché il mondo non va come vorremmo. Ma vivere così non serve. Dobbiamo fare il salto di resurrezione, il salto che ci trasporta dalla materia allo spirito.
Qual è il tesoro racchiuso in questa situazione? Qual è la perla per noi? Che cosa ci spinge a migliorare? Qual è il valore che dobbiamo imparare?
Facciamolo questo nostro salto; non rimandiamo, non ragioniamo, non sottilizziamo sempre e tutto. Non accusiamo il mondo, non accusiamo sempre gli altri. Il mondo non ha nulla di male e gli altri non sono noi. Troviamo la perla, il tesoro, il dono per noi. Allora tutto è accettabile; magari difficile, ma con un nuovo significato.
Poi, un giorno, la morte ci comparirà improvvisamente davanti e noi diremo: “Oddio! È già ora?”. Magari urleremo: “No, non vogliamo. No, non è giusto!”. Certo, avremo tanta paura. Ma se saremo allenati a guardare con gli occhi della fede, allora potremo serenamente dire: “Suvvia, torniamo a Casa! Andiamo incontro alla Vita!”. Ebbene: anche quella sarà la nostra resurrezione. Amen