
La montagna della trasfigurazione, che la tradizione successiva identificherà con il Tabor, si pone come termine di questo viaggio, il viaggio di ogni settimana e dell'intera vita. Il Signore ci prende e ci conduce con sé sul monte, così come fece con i tre più amici perché vivessero con lui l'esperienza della comunione intima con il Padre; un'esperienza così profonda da trasfigurare il volto, il corpo e persino i vestiti; tutto, dentro e fuori. C'è chi suggerisce che il nucleo storico del racconto si basa su un'esperienza che ha colpito anzitutto Gesù: una visione celeste che ha prodotto una trasfigurazione in lui. E' un'ipotesi verosimile e comunque suggestiva perché ci permette di cogliere più al fondo la vita spirituale di Gesù. Talora si dimentica che anche Gesù ha avuto un suo itinerario spirituale, come il Vangelo suggerisce: Gesù "cresceva in sapienza, età e grazia". Senza dubbio non mancarono in lui le gioie per i frutti del suo ministero pastorale, come pure non furono assenti le ansie e le angosce (il Getsemani e la croce ne sono i momenti più drammatici). La salita sul monte ci fu anche per Gesù, come già per Abramo eppoi per Mosé, per Elia e per ogni credente. Gesù sentì il bisogno di salire sul monte; era il bisogno di incontrarsi con il Padre. E' vero che la comunione con il Padre era tutta la sua vita, il pane delle sue giornate, la sostanza della sua missione, il cuore di tutto ciò che era e che faceva; ma Gesù aveva bisogno di momenti in cui questo rapporto intimo emergesse nella sua pienezza. E' un esempio che interroga profondamente i credenti di oggi. Se ne ha avuto bisogno Gesù, quanto più noi! Il Tabor fu uno di questi momenti singolarissimi di comunione, che il Vangelo estende a tutta la vicenda storica del popolo d'Israele, come testimonia la presenza di Mosé ed Elia che "discorrevano con lui". Gesù, però, non visse da solo questa esperienza; volle coinvolgere anche i suoi tre amici più intimi. Fu un momento tra i più significativi per la vita personale di Gesù, e lo divenne anche per i tre discepoli e per tutti coloro che si lasciano coinvolgere in questa stessa salita.
Nella tradizione della Chiesa molte sono state le interpretazioni di questo brano evangelico. Tra le più costanti c'è quella che scorge nella vita monastica il riflesso della Trasfigurazione, a motivo della radicalità della scelta che comporta. E senza dubbio è necessario che nella vita della Chiesa di oggi si sottolinei con maggior coraggio la radicalità di questa scelta che mostra il primato assoluto di Dio sulla nostra vita. Penso però che si possa vedere nel monte della Trasfigurazione anche la Liturgia domenicale alla quale tutti siamo chiamati a partecipare per vivere, uniti a Gesù, il momento più alto della comunione con Dio. Ed è proprio durante la Santa Liturgia che potremmo anche noi ripetere le stesse parole di Pietro: "Maestro, è bello per noi stare qui, facciamo tre tende...". Da questo santo monte ch'è la Liturgia domenicale, nella quale ci troviamo in compagnia dei patriarchi e dei santi del Primo e del Nuovo Testamento, anche noi sentiamo risuonare la stessa voce di allora: "Questi è il figlio mio prediletto, ascoltatelo!" Immediatamente i tre discepoli si ritrovarono con "Gesù solo". Si guardano attorno stupiti, forse con un senso di smarrimento per essere tornati alla "normalità", e non videro nessun altro se non il solo Gesù. Iniziano di qui i giorni feriali che seguono la domenica; o, se si vuole, la discesa dal monte. I discepoli non erano più come prima. Tornarono nella vita quotidiana non più ricchi di se stessi, delle proprie idee, dei propri progetti, dei propri sogni o di altro ancora. Essi avevano davanti agli occhi la visione di Gesù trasfigurato, e questo gli bastava. Sì, alla comunità cristiana, ad ogni credente, non è dato altro che Gesù; solo Lui è il tesoro, la ricchezza, la ragione della vita personale e della vita della Chiesa. Quella tenda che Pietro voleva costruire con le sue mani, in realtà l'aveva costruita Dio stesso quando "il Verbo si fece carne e venne a porre la sua tenda in mezzo a noi" (Gv 1,14). E con l'apostolo Paolo siamo lieti di poter ripetere che nessuno, né il dolore né la fatica né la morte ci separeranno da Cristo e dal suo amore.
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