giovedì 5 novembre 2020

8 Novembre 2020 – XXXII Domenica del Tempo Ordinario

 

“Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo...” (Mt 25,1-13).

 La parabola delle dieci vergini che aspettano lo sposo, ci invita a meditare sulle ultime ore della nostra vita, sulle realtà ultime veramente importanti, su quei doveri che sistematicamente tralasciamo. Dovremmo invece pensare più spesso e più seriamente che la vita presente un giorno finirà, che non viviamo su questa terra in pianta stabile, che la nostra è soltanto una presenza provvisoria.

Abbiamo ricordato, alcuni giorni fa, i nostri defunti, che ci hanno già preceduto là dove anche noi prima o poi dovremo andare. Sì, perché la vita è un passaggio: è il percorso da un punto di partenza ad uno di arrivo, dalla nascita alla morte; una realtà che vale indistintamente per tutti, nessuno escluso: giorno dopo giorno, il nostro nome sale inesorabilmente al primo posto sulla lista di quelli che vengono chiamati; siamo tutti in attesa del nostro turno per l’incontro finale con lo Sposo, il nostro Creatore e Signore.

“Attesa” e “Passaggio”: sono proprio queste due parole importanti che ci vengono proposte alla meditazione dal Vangelo di oggi.

“Vigilate, tenetevi pronti, perché non sapete quando il vostro Signore verrà”.

La nostra vita è dunque prima di tutto “attesa”. Una dichiarazione che apre a diversi interrogativi: attesa di chi? di che cosa? per quale motivo dobbiamo condizionarci la vita nell’attesa di qualcuno che arriva quando vuole lui? Certo, tra le tante nostre preoccupazioni quotidiane, quella di aspettare l’incontro finale con Dio non rientra certo tra le più urgenti. Anche se “attendere”, “aspettare”, rientra tra le categorie mentali più frequenti e comuni della nostra vita: tutti, in qualche modo, siamo in costante “attesa” che prima o poi si realizzi qualcosa che ci riguarda: un buon lavoro, una famiglia, la sistemazione dei figli, una vita serena. Per questo elaboriamo sempre nuove possibilità, ricaviamo esperienze, proviamo emozioni, superiamo difficoltà, addirittura ci struggiamo, pur di ottenere sempre il massimo, in vista di un domani migliore. Tutti ci aspettiamo un futuro in cui essere finalmente felici, soddisfatti, ricompensati per tutti i nostri sacrifici. È una cosa naturale, normalissima per chiunque.

Salvo poi, arrivati ad un certo punto, dover ammettere a noi stessi di aver fallito, di non aver ottenuto la completa realizzazione dei nostri sogni.

La delusione più amara arriva in particolare per chi ha investito la propria “attesa” soprattutto sull’apparire, sulla realizzazione della propria immagine, sul potere, sulla gloria, sul possedere. Ci accorgiamo di aver miseramente mancato il nostro obiettivo, di essere rimasti vittime delle gaudenti prospettive del mondo, delle sue continue trovate consumistiche, che con le loro lusinghe, ci hanno spinto in una obnubilante follia. E il rimorso per tale fallimento ci angoscia l’anima.

Noi cercatori di Dio, ancorché tiepidi, conosciamo bene la vera natura di quel malessere: sappiamo che non c’è nulla di più deprimente nella vita dell’uomo che la constatazione di essere rimasti sempre sordi alla “voce” di Dio, di aver tradito la sua fiducia, il suo amore, di aver trasformato l’attesa della sua venuta in totale “disattesa”. Per non aver saputo o voluto “aspettare”, come meritava, l’arrivo dello Sposo.

Abbiamo sbagliato, ce ne rendiamo conto: forse continueremo ancora a sbagliare, perché dimentichiamo facilmente che non è il “fuori”, il transitorio, il volubile, che può riempire la nostra anima, che può appagarla, saziarla. È il “dentro” che conta, è con la fede, con la generosità del nostro cuore, con la carità, con le opere buone, che possiamo riempire di “olio” il vaso di scorta del nostro cuore, assicurandoci un incontro con Dio luminoso e sereno.

Certo, la morte è per molti un pensiero lugubre e fastidioso. “Gli uomini, non potendo evitare la morte, hanno deciso di non pensarci. Ma è un rimedio ben misero!”, scriveva Pascal.

Per il pensiero edonistico moderno, infatti, la morte è tabù: meno se ne parla, meglio è.

E invece no; il Vangelo ci insegna che Dio ci ha creati e ci ha inviati nel mondo per contribuire a perfezionare questa sua meravigliosa creazione, con l’impegno di tornare, ultimato il nostro mandato, nella nostra Casa d’origine. L’importante è non farsi cogliere impreparati, ma in vigile attesa, indossando la “veste nuziale”, muniti di una buona scorta di “olio”, prodotto lungo il nostro “percorso” terreno.

Non consideriamo una sciagura l’arrivo dello Sposo! Prendiamolo invece con la gioia di un evento importante e decisivo, di un ritorno tra le braccia del Padre, sempre amorose e spalancate, consapevoli in cuor nostro di non aver sprecato questa “attesa” con un “percorso” scellerato.

A volte, purtroppo, pensiamo scioccamente di essere immortali: siamo convinti che, dopo i 60-70 anni, raggiunta la famosa e sudata “pensione”, saremo finalmente liberi di starcene tranquilli, di dare una svolta significativa alla nostra esistenza, di iniziare cose più piacevoli, più distensive, più divertenti. E in cuor nostro ci perdiamo in mille progetti. Ma siamo degli illusi! Per quante persone, purtroppo, questi progetti rimangono soltanto un miraggio, una fantasia! Null’altro che un sogno, cancellato dall’arrivo imprevisto e imprevedibile dello “Sposo”.

Non dobbiamo mai abbassare la guardia: perché il lavoro, le responsabilità, l’impegno, per raggiungere il Regno dei cieli non finiscono mai; in questo non c’è “pensione” che tenga!

Anzi, più gli anni passano, più dobbiamo impegnare seriamente il nostro tempo, consapevoli che l’arrivo dello Sposo si fa ogni ora più vicino.

Non serve più produrre per questo mondo, dobbiamo invece raccogliere per l’altro, per il Cielo; dobbiamo approfittare di questi giorni che il Signore ancora ci concede, per fare qualcosa di più importante, più decisivo perché il nostro incontro con Lui sia veramente meritorio. È vietato scommettere sul domani! Potrebbe non esserci un domani.

Ricordate come sono i giorni che precedono una partenza importante, un avvenimento da lungo atteso? L’eccitazione che cresce, la mente impegnata a ricordare le ultime cose da fare, le ore che scorrono freneticamente. Ecco, la nostra vita dovrebbe essere sempre così, carica di tensione, perché la nostra “partenza” finale da questo mondo, arriva improvvisamente, quando meno ce l’aspettiamo: “raptim”, scrive sant’Agostino, rapidamente, precipitosamente.

Non a caso il vangelo di oggi termina con la raccomandazione: “Vegliate”, “State svegli!”; a cui fa eco Luca, nel suo brano parallelo: “Estote parati!”, “Siate pronti!”.

Prestiamo allora la massima attenzione a questi inviti, non sottovalutiamoli, per non trovarci all’improvviso, proprio per la nostra superficialità, nella condizione di trovare la porta chiusa, di non venire riconosciuti dallo Sposo, e di rimanere chiusi fuori, lontani dallo splendore delle nozze e dalla calda Luce dell’Amore divino: una possibilità purtroppo concreta e reale. Amen.

 

 

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