giovedì 29 ottobre 2020

1° Novembre 2020 – Tutti i Santi

“Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli” (Mt 5,1-12).

 Gesù non allontana le folle; Egli le ama, le richiama, e, in questo caso, addirittura le attira sul “monte” perché possano ascoltare, tranquillamente sedute, il suo messaggio.

Matteo non ci dice quale fosse questo monte: di certo non era un monte qualsiasi, ma “quel” monte, il Sinai, che tutti conoscevano anche senza nominarlo, perché su di esso Mosè aveva incontrato Dio ed aveva ricevuto da Lui il patto di Alleanza per il “suo” popolo.

Anche Gesù, come Mosè, sale su questo monte per dare a tutti i popoli la sua Nuova Alleanza.

Per gli antichi, i monti erano la dimora degli dei (pensiamo all’Olimpo): luogo sacro, luogo di terrore, di rispetto, di paura; con Gesù, al contrario, i “monti” diventano motivo di vita, di gioia, di trasfigurazione, luogo riservato all’incontro col Padre.

Gesù dunque sale su questo monte, e si siede: in greco è “kathìsantos”: più che sedersi, Gesù si “installa”, cioè si “mette nel suo posto esclusivo”, “prende possesso” della postazione riservata a Dio: Gesù, suo figlio, si siede quindi sul quel “trono divino” che gli compete, che gli spetta di diritto: è il suo “ambone” da cui proclamare la Parola, è la “cattedra” da cui impartire la sua lezione di “Maestro” divino.

“Gli si avvicinarono i suoi discepoli”: dopo averli “attirati”, perché è Gesù che “attira” anche loro, come fa con la folla. Il Dio di Gesù non è più un Dio scontroso, terribile e temibile, ma un Dio affabile che “attrae” tutti. Non è più un Dio da evitare, da allontanare, ma un Dio da incontrare, da avvicinare. Non un Dio vendicativo che punisce, ma un Dio che come una madre, ama tutte le sue creature. È un Dio che non pretende nulla di impossibile da noi, un Dio che al contrario è sempre pronto a dare Lui qualcosa a noi. Se pensiamo ad un Dio diverso, non stiamo seguendo il Dio del Vangelo!

Nella religione ebraica, prima della venuta di Gesù, le cose non stavano affatto così: per incontrare Jahweh nel suo Tempio, gli uomini potevano arrivare soltanto fino ad un certo punto: solo il sommo sacerdote poteva avvicinarlo, entrando, una volta all’anno, nella “sancta sanctorum”, la zona più interna e sacra vietata al popolo, in cui oltre a venir conservata l’Arca dell’alleanza, si riteneva che Dio fosse presente. Quindi tra Dio e il suo popolo c’era un “muro”, una netta separazione. Con Gesù, invece, tutto cambia, tutti possono avvicinarsi a Dio, confrontarsi con Lui, intrattenere con Lui un rapporto diretto. Per incontrarlo non esistono più impedimenti, non ci sono più prescrizioni o particolari condizioni (meriti; purità; peccato; sacralità, ecc.), non esistono più barriere.  

“Prendendo allora la parola li ammaestrava dicendo”.

Una volta sistemati i presenti, Gesù prende la parola e proclama otto “beatitudini”: perché otto? Perché nella simbologia del cristianesimo primitivo, il numero otto indicava la “risurrezione” (“l’ottavo giorno”): Gesù infatti è resuscitato il “primo giorno dopo la settimana” (una settimana di 7 giorni + 1-il giorno dopo = 8). Matteo, che scrive per la gente di origine ebraica, molto attenta alla simbologia, vuol far capire che chi vive le “otto” beatitudini, vivrà da “risorto”, vivrà per sempre col “Risorto”, vivrà cioè una vita che non potrà mai essere interrotta dalla “morte”; a differenza di coloro che, osservando fedelmente i comandamenti di Mosè, avevano sì assicurata in premio una “lunga vita” su questa terra, ma anch’essi dovevano poi morire come tutti, e scendere nello Sheol. La pratica delle beatitudini di Gesù assicura pertanto, a quanti la seguono, una vita che va oltre la morte: quella vita nuova e gloriosa dei “risorti” in Gesù, che vivranno eternamente nell’amore del Padre.

“Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”.

È la prima beatitudine, e fa da premessa a tutte le altre: è la “conditio sine qua non” per poter concretizzare tutte le altre.

“Beati”, in ebraico “ascer”: sono coloro che vivono nella felicità Divina, quella felicità che è impossibile raggiungere su questa terra. Eppure, dice Gesù, Io vi dimostro che anche quaggiù, da subito, è possibile vivere decisamente felici, gioiosi, con la pace nel cuore, da “riconciliati”.

Dobbiamo essere però dei “poveri in spirito”; dobbiamo cioè vivere liberi da fini egoistici, da ogni condizionante preconcetto, da ogni egocentrismo; dobbiamo cioè possedere una mentalità aperta all’amore.

Gesù in sostanza pone come condizione prioritaria la nostra disponibilità a “riversare” concretamente sui fratelli quell’amore divinizzante che riceviamo dal Padre. Non si tratta quindi di limitarci ad una semplice elemosina materiale, ma di aprire completamente il nostro cuore e la mente a beneficio dei fratelli.

“Di essi è il regno dei cieli”. A tutti coloro che spendono il loro “spirito” per il prossimo, fino a diventare essi stessi “poveri”, è assicurato il regno di Dio. Da notare che Gesù usa qui un verbo al presente: non dice “sarà” ma “è”; in altre parole, siamo già “santi”, da subito; il regno dei cieli, l’amore del Padre, la nostra “vita” santificata” per l’eternità, sono già possibili da ora, a condizione che il nostro stile di vita rispecchi fedelmente le beatitudini.

Oggi è la solennità di tutti i Santi del Cielo: ma è la festa anche di coloro che sono “beati” già qui su questa terra, perché vivono la loro vita donando sé stessi. È la festa di quei beati che, sull’esempio di Gesù, vivono per amare, per far del bene al prossimo, per confortarlo nelle difficoltà, per guarirlo nelle ferite dell’anima, per sostenerlo nelle contrarietà della vita. Sono insomma “beati” perché amano.

“Amare” è un po’ come “creare” una nuova vita: è dare agli altri un qualcosa di noi stessi; un qualcosa che li faccia “rinascere”, un qualcosa per cui possano riconoscere quanto è grande l’amore di Dio per ognuno di noi.

È così che i “beati” della terra sono diventati i “Santi del cielo”; è così che anche noi possiamo diventarlo sul serio, creando, nel prossimo, nuovi motivi di vita, di gioia, di riconoscenza a Dio.

“Vuoi essere eternamente felice? Vivi così”, ci ripete oggi Gesù con la sua proposta evangelica: sta solo a noi accettarla, e riempire questo nostro “passaggio” terreno, di pace, di gioia, di amore, di serenità: in una parola, di Dio. Amen.

 

  

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