giovedì 22 ottobre 2020

25 Ottobre 2020 – XXX Domenica del Tempo Ordinario

“Uno dei farisei, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?”              (Mt 22,34-40).

 Solita domanda provocatoria del “sapientone” di turno. Al tempo di Gesù erano 613 i precetti della Torah, la Legge mosaica: 365 negativi e 248 positivi. Stabilire quale fosse il più importante era praticamente impossibile, poiché per gli scribi ebrei, tutti indistintamente, erano importanti e obbligatori.

La risposta di Gesù anche questa volta è molto semplice e risolutiva: Ama Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Ama il prossimo tuo come te stesso”. Punto. Gli bastano questi due “consigli” per rendere superflue le innumerevoli prescrizioni dell’antica legge: uno sfoltimento veloce e radicale! Per lui l’amore è il solo, grande, unico, comandamento: uno stesso  amore, esclusivo, per due entità: Dio e il prossimo.

Qualcuno lo identifica come il “comandamento dell’amore”. Ma è una definizione inesatta, perché l’amore non si “comanda”. Nessuna legge potrà mai costringere qualcuno ad amare, perché l’amore ha una vita sua, è indipendente, libero, autonomo, spontaneo; non si impone, non si può pretendere: un particolare, questo, che automaticamente ci mette in crisi, ci rende deboli, vulnerabili, impotenti; perché ci fa capire che non esistono soldi, lusinghe, armi, punizioni, con cui poterci assicurare l’amore, con cui poter costringere qualcuno ad amarci; poiché è impossibile pretendere che qualcuno nutra per noi un sentimento che non ha, che non sente, che non prova: o ci ama spontaneamente, perché ci considera persone degne e meritevoli, oppure dobbiamo arrenderci, dobbiamo accettare questo nostro limite senza recriminare, anche se la cosa ci disturba, anche se ci ferisce in profondità, nella nostra autostima.

Chi nella vita non è entrato in crisi almeno una volta di fronte a qualcuno che si è rifiutato di ricambiare il nostro amore, la nostra amicizia, di fronte ad un “no” esplicito e irrevocabile? Sicuramente la maggior parte di noi!

Ma non demoralizziamoci per questo; non consideriamoci gli unici incompresi della terra, gli unici “rifiutati”, disprezzati, abbandonati del mondo! Non facciamo le vittime. Nel vissuto non possiamo pretendere sempre un “si”, negando la possibilità anche di un “no”. Entrambi i casi sono l’espressione della libertà altrui, del diritto di ciascuno di assecondare i propri sentimenti.

Se vogliamo essere veramente amati, se vogliamo che gli altri ci dicano un gioioso “si”, dobbiamo essere noi a meritarlo, con la nostra vita, con il nostro comportamento, con la nostra sincerità.

Gesù, con la sua risposta, non intende “lanciare” un nuovo comandamento: semmai vuol chiarire le antiche prescrizioni del Deuteronomio: “Tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” (Dt 6,5), e del Levitico: “Ama il prossimo tuo come te stesso” (Lv 19,18). Regole che ogni ebreo conosceva perfettamente, dovendole recitare puntualmente mattino e sera.

Gesù non modifica nulla, dice semplicemente: “Fate attenzione perché ora vi spiego per bene cosa comporta amare: che chi ama Dio, ama anche l’uomo. E chi ama veramente l’uomo, non può non amare Dio”. Tutto qui, poche parole ma importanti: è lo stesso amore che va riservato ad entrambi: “Chi ama Dio ama il prossimo, e chi ama il prossimo ama Dio”. Sembra un gioco di parole: in realtà esprime due aspetti di un identico concetto, strettamente connessi tra loro. Due concetti che Gesù con la sua vita, con le sue parole, con i suoi gesti, ce ne ha confermato tutto il valore e la portata.

Noi purtroppo non siamo ancora riusciti a capirli fino in fondo questi concetti.

Noi, cristiani della strada, siamo ancora convinti che il nostro amore abbia due valori ben distinti: continuiamo a tenerlo ancora ben diviso, convinti che l’amore per Dio, in verticale, sia più importante, valga molto di più di quello in orizzontale, per il prossimo: “Monaci, preti, frati, suore - quelli santi - quelli sì che amano come si deve, in maniera giusta: quelli sì amano Dio!”, pensiamo noi: per loro esiste solo Lui, tutto il resto, compreso “il prossimo”, non può competere con Lui; la loro è l’unica scelta di vita valida, altamente meritoria, poiché l'amore per gli altri, per i propri fratelli, l’amore “umano”, è un sentimento inferiore, meno ascetico, meno nobile, più “terreno”, un sentimento che deve essere necessariamente “purificato”, spiritualizzato, sublimato.

Ma Gesù non condivide la nostra idea e dice no! Non ci sono diverse categorie di amore, l’amore è uno solo, uguale per tutti: se diciamo di amare Dio, dobbiamo dimostrarlo con i fatti amando i fratelli. Altrimenti possiamo anche essere preti, frati, suore, ma se nei confronti del prossimo siamo dei manipolatori, dei falsi, dei profittatori, è inconcepibile pensare che amiamo Dio. Possiamo raccontare tutte le più belle storie del mondo, ma se trattiamo male gli altri, se li mortifichiamo, se li calpestiamo, se li possediamo, mai, in nessun caso, noi amiamo Dio, non c’è scampo. Siamo degli imbroglioni.

Ovviamente, per poter amare gli altri come chiede Gesù, dobbiamo prima immedesimarci completamente nell’amore che è in noi. Perché siamo “noi” il segno tangibile dell’amore di Dio; siamo noi, per definizione, l’immagine dell’Amore; un amore che non è “altro” da noi, ma siamo noi, è Dio che vive in noi da quando siamo nati, nella nostra anima. Noi infatti esistiamo primariamente per essere amati e per amare: per essere amati da Lui, e per amare Lui e i nostri fratelli.

L’amore quindi non è un sentimento da “conquistare”, ma semplicemente da “liberare” dal nostro cuore, dalla nostra anima, dalla nostra mente. Per cui amare significa appunto far esplodere all’esterno tutta la nostra vita interiore, liberare tutta la passione e la forza che portiamo dentro; significa adeguarsi a quel Dio creatore che abita in noi, nel nostro cuore; significa essere “spalancati” all’amore dello Spirito e alla forza della Vita, inspirarli a pieni polmoni, e riversarli sugli altri, in un flusso carismatico continuo.

L’amore per Dio e per il prossimo, se è solo predicato e raccomandato, se è sola esibizione, se non è vissuto, è squallida manipolazione, scadente surrogato, vana infatuazione.

Non lasciamo spegnere allora il nostro amore. Non permettiamo che altri spezzino le nostre ali. Dio ci ha fatti per librarci in alto, nel cielo, non per grufolare nel fango. Se abbiamo perso la fiducia in Lui, se siamo stati feriti dagli altri, se siamo diventati cinici, risentiti, offesi, scuotiamoci! Le ali le abbiamo ancora: sono solo danneggiate, apparentemente inabili…

Lui, il nostro Medico, è sempre pronto a riabilitarci. Paradossalmente sembra dirci: “ama, e se sbagli, se vai fuori strada, pazienza! Nell’amore è meglio sbagliare per eccesso, che per difetto”.

Di fronte a tale prospettiva, tutto il “visibile”, tutta l’esteriorità del nostro essere cristiani: strutture, gruppi, ministeri, devozionismo, carismatismo, celebrazioni, chiesa, tutto passa in second’ordine; tutto è accessorio, tutto viene “dopo”. Perché “prima”, l’unica cosa imprescindibile, assolutamente necessaria, essenziale, è l'Amore: è amare Dio e i fratelli e lasciarsi amare. Da subito. Qui e ora. Amen.

  

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