venerdì 25 settembre 2020

27 Settembre 2020 – XXVI Domenica del Tempo Ordinario

 “Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, va’ oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò!” (Mt 21, 28-32).

 Non dobbiamo stupirci se Gesù oggi insiste nel proseguire la lezione di domenica scorsa, impartendoci un ulteriore insegnamento, altrettanto provocatorio, altrettanto indigeribile, ma altrettanto essenziale.

Il nostro Dio, cioè, non gradisce l’esteriorità, il manierismo, i giochetti politici; non ama il doppio gioco, il nostro far vedere una cosa e pensarne un’altra, esibire in chiesa una grande devozione, come espressione di una fede profonda, e poi, appena fuori, far finta di nulla e rivestirci disinvoltamente di tutte le nostre misere furbizie: sono cose che conosciamo già molto bene. Ma conoscerle non basta!

Perché se c’è una cosa, una soltanto in particolare, che manda su tutte le furie il nostro Padre misericordioso, una cosa che lo irrita profondamente, non è tanto il peccato, il mancargli di rispetto, ma l’ipocrisia sistematica: cioè quel continuo volergli presentare per buone, sincere e convinte le nostre intenzioni, le nostre azioni, la nostra vita, quando invece, noi per primi, sappiamo bene che non lo sono. Diversità

Potremmo dire che la parabola di oggi stabilisce la fondamentale differenza tra il “dire” e il “fare”: è in pratica il racconto di due figli che di fronte all’ordine del padre di andare a lavorare nella vigna, rispondono in maniera opposta: il primo dice “sì” ma “non ci va”, l’altro dice “no” ma poi, ripensandoci, obbedisce all’ordine del padre. Ebbene: è esattamente questa inaffidabilità, questo comportamento irrispettoso, inconcludente, menefreghista, che Gesù stigmatizza.

Entrambi i figli reagiscono negativamente: tuttavia Gesù dimostra di preferire tra i due il ribelle, il contestatore, quello che impulsivamente dice “no”, quello che ha il coraggio di esprimere con franchezza il proprio pensiero, senza temere di esporsi, di mettersi in discussione; quello che poi, ragionando con calma in cuor suo, decide di obbedire al padre e va a lavorare; per Gesù questi è decisamente più rispettabile dell’altro che, preoccupato di mantenere la sua immagine di figlio educato, rispettoso, perfetto, gli risponde “sì”, ma in realtà non muove un dito.  

In altre parole, Gesù fa qui capire di non gradire da parte dei suoi figli, della sua Chiesa, una risposta inconcludente, una religiosità di facciata, epidermica, senza senso, che si ferma superficialmente al rito, all’esibizione canora, all’omelia reboante, ad una fede ostentata, infruttuosa: espressioni indicative di una religiosità deformata, arida, asservita all’umano, assolutamente inefficace per poter vivere fedelmente in Lui, per approfondire, amare e diffondere nel mondo la sua Parola.

Purtroppo oggi, nella progressiva scristianizzazione della società, sono sempre più numerose le persone che irridono il Figlio di Dio, alla stregua dei pagani del Suo tempo, vivendo nel disinteresse e nell’ignoranza religiosa! Persone che si comportano in totale contraddizione con quel che professano di credere; cristiani che hanno adottato uno stile di vita accomodante, in contrasto con quel “Credo” che a voce alta professano ogni domenica davanti alla comunità; cristiani che esternamente rispondono sempre con un “sì”, che poi puntualmente nella realtà si rivela un “no”! Persone sorde alla chiamata di Dio, insensibili alle vibrazioni spirituali dell’anima, indifferenti alla passione e all’amore divino che infiamma i cuori.

Sono tante, tantissime, troppe.

Purtroppo siamo tutti assimilabili un po’ a quel pagliaccio di figlio che risponde “si” senza concludere nulla, deludente icona della nostra cristianità parolaia!

Succede però talvolta di immedesimarci anche con l’altro figlio: quando infatti Dio ci affida un compito, reagiamo con un rifiuto: “No, non lo faccio, non ci vado!”. E perché mai? Semplice: non capiamo, nella nostra ottusa umanità, quello che Dio vuole da noi; siamo diffidenti; siamo convinti che ciò che ci propone sia qualcosa di impossibile, richieda una costante volontà, una seria applicazione, tantissimo sacrificio. No, meglio evitare; ci riduciamo a starcene immobili dietro la nostra facciata, bloccati dalle paure, dagli scrupoli, dall’egoismo, dalla vergogna di apparire “troppo credenti” di fronte agli altri: insomma non vogliamo correre rischi.

Per fortuna poi, rientrati dentro di noi, riusciamo a capire l’enorme importanza di essere stati scelti da Dio, di essere delle creature speciali, personalmente “amate” da Lui; capiamo finalmente che dobbiamo andare, che dobbiamo reagire, scuoterci dal nostro inutile immobilismo, dirgli di “sì” con ritrovata sincerità, con il cuore aperto, anche se tutto ciò continua a sembrarci innaturale, pazzesco, folle.

Evitiamo allora di fare troppi calcoli, dobbiamo deciderci: dobbiamo semplicemente andare, dobbiamo fidarci, buttarci; non possiamo aspettare oltre, non possiamo perdere altro tempo. Appena intuiamo quello che Dio vuole da noi, non possiamo continuare a tergiversare, far finta di nulla, rifiutare di uscire dal nostro guscio, dalle nostre false sicurezze: le Sue preziose chiamate rimarrebbero tutte, unicamente per colpa nostra, delle occasioni mancate, incompiute, mai fiorite, mai sbocciate. Un vero peccato!

Forse qualche volta abbiamo anche detto subito di “sì”, trascinati dall’emozione di udire la Sua voce dentro di noi; ma passato il momento magico della chiamata - di qualunque genere essa sia: religiosa, sacerdotale, matrimoniale - il nostro “sì” si è bloccato, si è fermato, non l’abbiamo più curato, approfondito, non ha messo radici, non ha trovato consistenza e terreno fecondo nel nostro cuore. Nel tempo è diventato un “no”: la nostra entusiastica adesione iniziale si è totalmente spenta. Per la nostra aridità.

Ebbene, è tempo allora di riprendere in mano la nostra vita. Abbiamo bisogno di grande onestà, è vero: dobbiamo armarci di grande rispetto per la volontà di Dio; un profondo rispetto morale, umile, sincero, risolutivo. Lasciamo che siano le canne al vento a fare chiasso. Noi, lavoriamo sodo nel silenzio.

Guardiamo Gesù, guardiamo l’uomo che Lui è stato: vero, trasparente, coraggioso fino in fondo, senza le nostre piccole e grandi bugie, senza le nostre meschinità: seguiamo le sue orme, cerchiamo di essere anche noi uomini “del sì” come Lui.

Essere veri, sinceri, trasparenti, non ci garantisce certamente una vita tranquilla, lo sappiamo; ma ci farà sentire uomini e donne completi, realizzati, soddisfatti. Non ci farà guadagnare tanti soldi e forse neppure tante amicizie, ma ci riconoscerà una dignità che nessuno potrà mai offrirci: quella di sentirci cristiani, autentici di figli di Dio.

Ecco, questa in sintesi, è la correttezza che Gesù pretende dalle nostre risposte, l’onestà della nostra vita.

Evitiamo allora di indossare davanti a Dio il nostro vestito bello, del perfetto devoto, del perfetto cristiano evoluto; indossiamo invece quello modesto del sincero cercatore di Dio, del discepolo che con la propria esistenza cerca di rispondere positivamente alla sua chiamata. Senza questa integrità, senza questa consapevole adesione, finiremo col perdere la strada, col tradire la fiducia che Egli ha riposto in noi; finiremo col costruirci un altro Dio da adorare, uno che ci assomiglia troppo; una religione fine a sé stessa, che si esaurisce nella esteriorità della preghiera e del culto, nella menzogna e nel disinteresse! Non celebriamo il Dio della vita con azioni di morte! Siamo autentici con Lui. Non lo blandiamo: soprattutto non temiamo di presentarci a Lui nella imbarazzante nudità dell’essere come siamo: figli umili, fragili, peccatori ma, consapevoli del suo aiuto e del suo amore, armati di tanta buona volontà. Amen.

 

 

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