Lc 13, 1-9
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato
un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò.
Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su
quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”.
Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò
zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per
l’avvenire; se no, lo taglierai”».
All’epoca tutti erano convinti che le disgrazie, le
malattie, la morte, fossero la giusta punizione di Dio per le colpe commesse personalmente
dai malcapitati o dai loro antenati.
Pertanto quelli che erano al seguito di Gesù, pensavano
che la loro estraneità a disgrazie del genere, fosse dovuta alla loro condotta
giusta e rispettosa della legge.
Ebbene, Gesù sconfessa decisamente questa convinzione:
“Quelli che sono morti non erano assolutamente più colpevoli di quanto non
lo siate voi!”. Come a dire: “Non è vero che quei poveretti sono morti per
espiare le loro colpe personali o quelle dei loro antenati; e non è vero
neppure che, per il fatto che siete qui sani e salvi, voi siete più giusti di
loro”.
In altre parole la sfortuna, le disgrazie, le
malattie, i lutti, insomma tutti gli eventi negativi che la vita ci riserva,
non vanno in alcun modo considerati come punizione divina per la nostra cattiva
condotta. Dio non vuole questo; non ce l’ha con noi in alcun modo, non ci ha
preso di mira, non si comporta come se si fosse stancato di noi.
Bestemmiano gravemente quanti si lasciamo andare ad
esclamazioni tipo: “Ma che male ho mai fatto perché Dio mi debba castigare in
questo modo?”. È una esclamazione contro la bontà di Dio, contro il suo amore,
la sua misericordia: eppure, quante volte succede anche a noi di esprimerci in
questo modo!
Gesù vuol dirci invece che la vita ha una sua
logica, una sua libertà, una sua verità.
Non è Lui che stabilisce
come deve essere la nostra vita: siamo noi che ce la organizziamo come ci pare.
Siamo noi che decidiamo liberamente di fare o non fare le cose, di farle in un
modo piuttosto che in un altro. Egli, nel suo paziente amore, ci lascia
completamente liberi di fare le nostre scelte: le quali però, alla fine della
nostra vita, determineranno un premio o un castigo. Ognuno è l’artefice della
propria felicità o infelicità: in assoluta libertà.
È da sciocchi
pensare che Dio stia nascosto dietro l’angolo, pronto a colpirci con il pungolo
del castigo ad ogni nostra mossa sbagliata; al contrario è un padre amoroso che
segue ogni nostro passo con attenzione, sempre disponibile ad intervenire per
darci una mano, per correre in nostro aiuto ad ogni nostra richiesta. Lui ci
ama veramente, e chi ama sul serio non si diverte a fare del male, a punire, a
procurare dolori e sofferenze a quanti ama.
Il punto è
invece un altro: è come noi rispondiamo a tanto amore; se cioè noi replichiamo
a Dio con altrettanto amore: perché solo in questo modo tutto ciò che la vita
ci riserva sarà più affrontabile, tutto sarà più sopportabile, più superabile.
Subito dopo aver chiarito pazientemente questo
problema, Gesù prosegue: “Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso
modo”. Un’affermazione con cui sembra contraddire tutto quanto ha detto in
precedenza. In altre parole dice: “se non cambierete vita, se non la smetterete
di fare il male, anche voi morirete allo stesso modo; farete la stessa fine di
quei Galilei”. Ma cosa vuol dire Gesù con queste parole? È per caso una
minaccia, un’intimidazione, un ricatto? Nel senso che se non cambiamo vita, se
continuiamo a vivere nei nostri peccati, Dio per punizione ci farà morire?
Assolutamente no! Non è questo il senso: Egli vuol semplicemente dire:
“Guardate che tutto quello che voi fate nella vostra vita, un giorno avrà delle
conseguenze, delle ripercussioni”; ossia: “Se voi continuate a comportarvi
negativamente, se nella vostra vita seminate solo erbacce, ciò che alla fine
andrete a raccogliere, saranno solo sterpaglie da bruciare! Le parole di Gesù,
quindi, non hanno un tono ricattatorio, ma spiegano solo una naturale
conseguenza: ottenere cioè in questa nostra vita, frutti buoni o cattivi,
dipende soltanto da noi, dalle nostre mani, dalle nostre scelte. Ecco perché
dobbiamo essere attenti e guardinghi; se ci rendiamo conto di vivere
nell’errore, di tenere Dio fuori dai nostri pensieri, dai nostri interessi, dal
nostro amore, dobbiamo correre ai ripari. Dobbiamo insomma “convertirci”.
Questo è il punto fondamentale. Ecco allora che questa quaresima è il tempo più
favorevole per farlo.
“Ma di cosa
debbo convertirmi? Non mi pare di essere peggio degli altri!”. È quanto ci
diciamo ogni qualvolta sentiamo parlare di “conversione”. Purtroppo noi non
siamo attenti e scrupolosi giudici di noi stessi: molti dei nostri usuali comportamenti,
apparentemente insignificanti, causano in noi la perdita della percezione
interiore: ci rendono superficiali, ci allontanano sempre più da noi stessi e
da Dio. E non ce ne accorgiamo!
Non
sottovalutiamone i “segni”: non giustifichiamo sempre e comunque i nostri
comportamenti, le nostre decisioni; non esaltiamoci per le nostre fuorvianti
ideologie, non perdiamo la nostra lucidità, non ottenebriamo la nostra mente.
Comportiamoci invece da “responsabili” amministratori della nostra vita.
Anche noi
infatti, siamo già “cresciuti”, siamo diventati cristiani “adulti” e sappiamo
molto bene cosa si aspetta da noi il “padrone” della vigna: dobbiamo solo
essere noi stessi, rispondere positivamente alla nostra natura di figli di Dio,
essere coerenti con la nostra condizione di cristiani, dobbiamo, in altre
parole, portare frutto: dobbiamo cioè far crescere, sviluppare e maturare in
noi, con la nostra vita, quei doni che lo Spirito ha seminato nel nostro cuore
col battesimo. Dobbiamo, insomma, quando il “padrone” passerà per la raccolta,
essere carichi di frutti maturi e gustosi. Se ci presentiamo pieni soltanto di
foglie, sappiamo già quel che ci aspetta.
Del resto, non
dobbiamo fare “miracoli”, gesti eroici: la vita offre a tutti la possibilità di
portare frutto, in base alle proprie capacità; a tutti offre occasioni continue
perché ciò avvenga: per esempio tutti abbiamo incontrato persone perbene,
disponibili, positive, pronte a darci un consiglio, una buona parola, un aiuto
morale; tutti nella vita abbiamo vissuto anche situazioni difficili, dolorose,
che attraverso la sofferenza, ci invitavano a rivedere il nostro rapporto con
Dio. Come abbiamo reagito noi a questi inviti? Li abbiamo accolti, oppure li
abbiamo accantonati, disattesi, rimandati? Perché una cosa nella vita dobbiamo
avere chiara: che se rinunciamo, rimandiamo, lasciamo correre, arriveremo prima
o poi al famoso punto di “non ritorno”; verrà cioè quel giorno in cui non
potremo più appellarci al “domani”, non potremo fare più nulla: e, non avendo
prodotto nulla di buono, il nostro albero verrà inesorabilmente tagliato come
legna da ardere: dentro infatti era già completamente arido, rinsecchito,
morto.
Che questa nostra quaresima, allora, sia una quaresima
straordinaria, una quaresima di preghiera, una quaresima altamente meritoria:
una quaresima in cui riscoprire le cose veramente importanti, in cui potare i
nostri rami secchi, in cui convertirci veramente; una sosta di rifornimento,
insomma, da cui riprendere con slancio ed entusiasmo il nostro cammino verso
l’incontro finale con il Dio di Gesù. Amen.