La grande confusione di persone, animali, venditori, banchi, merce, che regna fuori e dentro il tempio, è quindi normale, ovvia. Come ovvia è anche la presenza
dei “cambiavalute”: gli Ebrei che vengono da lontano, disponendo di monete romane
con le raffigurazioni pagane dell’imperatore o degli dei, devono necessariamente cambiarle con le monete ebraiche, perché solo con queste è possibile versare alle autorità del Tempio la tassa di ingresso in denaro. Uno
stratagemma che assicura ai grandi sacerdoti e ai dirigenti un incasso enorme
e continuativo di denaro, trasformando addirittura il tempio in una specie di
banca, nel posto più sicuro in cui conservare i cospicui proventi di questo
“sacro” commercio, tanto da far pensare che nel tempio, non si
adora più Jahweh, il Dio di Israele, ma il Dio denaro, Mammona, il Dio
ricchezza.
Gesù,
dunque, giunto anch’egli a Gerusalemme, sale al Tempio e improvvisamente si
trova di fronte al baccano di questa enorme folla di pellegrini e venditori, impegnati
i primi a contrattare la merce, i secondi a richiamare urlando la loro attenzione: pertanto non all’ingresso del Tempio di Dio, ma nel bel mezzo di un mercato affollato.
Di fronte a ciò cosa fa Gesù? Si prepara una “frusta di cordicelle”, e con quella inizia
a percuotere quanti stazionano alle porte del tempio, compresi dirigenti e
autorità, e incalzandoli, rovescia i banchi con la loro mercanzia, cacciandoli tutti via!
Con questo tempio
indistruttibile, anche il modo di rapportarsi con Dio viene completamente
rinnovato, sostituito; Gesù infatti introduce una nuova immagine di Dio,
un Dio fino ad allora sconosciuto a tutti: un Dio che non gradisce,
né tantomeno pretende dall’uomo, “offerte” e sacrifici “cruenti”, materiali; un
Dio che, cosa fino ad allora impensabile e improponibile, diventa lui stesso “offerta
e sacrificio” per l’uomo: da quel momento infatti, non è più l'uomo che si priva
del pane, che se lo toglie di bocca, per poter compiere il suo sacrificio a Dio,
ma è Dio stesso che si fa “pane”, diventa “nutrimento” per l'uomo.
Il Dio di Gesù, quindi, mette la
parola fine al tempo della paura, delle imposizioni divine, al rapporto “servile” con un Dio Padrone, caratterizzato da una intransigente severità e
regolamentato da rigide prescrizioni di legge: Dio non vuole più essere “servito”
in questo modo: al contrario sarà Lui stesso, per primo, a servire e ad amare l'uomo.
Già per bocca dei profeti, Dio aveva
espresso tutta la sua contrarietà per il genere di offerte e
sacrifici in atto: “Sono sazio dei vostri olocausti di montoni e del grasso di
pingui vitelli; smettete di portare offerte inutili” (Is 1,11-13); e
decretava: “Voglio l'amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio e non
gli olocausti” (Os 6,6).
Gesù stesso, nel suo vangelo, se
la prende con l’esteriorità e l’esibizionismo delle elemosine, con la legge
puntigliosa del sabato, con le riunioni in suo nome fatte senza convinzione, con
le liturgie vuote e vanesie. Dio insomma non sopporta queste cose, non le
gradisce, non vuole più cose materiali: “Misericordia io voglio e non
sacrificio” (Mt 9,13; 12,7).
Del resto, che senso avrebbe mantenere
la ritualità del tempio, un manufatto in pietra destinato a
scomparire, quando Cristo stesso si è fatto autentico, unico santuario di Dio? “È
giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre
in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito e
quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità” (Gv 4,23-24).
Sono parole chiare, determinanti,
con cui Gesù stabilisce in via definitiva l’unico modo con cui adorare Dio. Dio
è Spirito, è presente ovunque: per pregarlo, lodarlo, entrare in comunione con Lui,
è sufficiente che il nostro “spirito”, la nostra anima, comunichi, interagisca
con Lui, non importa dove ci troviamo. Per entrare in contatto con Dio non serve un luogo materiale, un
tempio adeguato.
Ovviamente un discorso a parte va fatto per gli attuali “spazi liturgici” (le nostre chiese), introdotti dai cristiani nei primi secoli come particolari e insostituibili luoghi d’incontro tra Dio e il suo popolo: è in questi spazi, infatti, che noi, diventati “nuove creature” con il battesimo, celebriamo sacramentalmente quel sacrificio Eucaristico (la santa Messa), che è “memoriale” della Pasqua di Cristo, sacrificio perfetto che Egli, presente in mezzo a noi sua Chiesa, “ri-presenta” al Padre, associando al suo anche il sacrificio di tutti noi, membra del suo corpo mistico: un sacrificio grazie al quale la nostra lode, la nostra vita, le nostre sofferenze, le nostre preghiere, acquistano un valore completamente nuovo, anche in prospettiva della nostra finale giustificazione.
Anche in tal caso, però, possiamo frequentare le più belle chiese, le più solenni Eucaristie, ma se in esse non partecipiamo attivamente e consapevolmente, se non uniamo a Dio il nostro spirito, la nostra anima, se non entriamo in sintonia con Lui; se non condividiamo quell’agàpe, quell’amore profondo e vitale per Lui e per i fratelli, il nostro sacrificio, la nostra liturgia, la nostra preghiera, la nostra lode a Dio, rimarranno sempre un culto puramente esteriore, inanimato, sterile.
Certo, osservando la scarsa
affluenza domenicale nelle nostre chiese, viene spontaneo chiederci quanti
cristiani sentano ancora il bisogno di frequentarle: solo che più di
preoccuparci per il numero delle presenze, dovremmo chiederci: “Quelli che
frequentano regolarmente le nostre liturgie, le nostre messe, riescono veramente a fare una personale esperienza dell’amore di Dio? Escono dalla chiesa provando
la pace della sua “benedizione”, la serenità del suo “perdono”, la forza della
sua “presenza”? Si sentono veramente, nel profondo del loro cuore, rinfrancati,
toccati, guariti, conquistati, dall'amore di Dio? Escono insomma veramente convinti
di poter dare una testimonianza più credibile della loro fede, della loro
carità, dell’amore a quel Dio, sempre presente nel loro cuore?”.
In questa quaresima di conversione
armiamoci allora di ramazza, facciamo piazza pulita di tutte quelle icone squallide
che deturpano il “tempio” della nostra anima. Ripuliamolo a fondo questo nostro
tempio: “cacciamo fuori”, come ha fatto Gesù, tutto ciò che schiavizza il nostro
cuore, restituendogli la sacralità, la grandezza, la bellezza che merita, per poter rivivere con maggior partecipazione e interiore dignità, il nostro “culto”
sacrificale per eccellenza, la nostra “Messa”, la nostra Pasqua settimanale. Perché
solo così potremo tornare a vivere “liberi e immacolati” nell’amore gratuito e
incondizionato di Dio. Amen.