giovedì 18 febbraio 2021

21 Febbraio 2021 – I Domenica di Quaresima

“In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana” (Mc 1,12-15).

 È la prima domenica di quaresima. La Parola ci riporta oggi al primo capitolo del vangelo di Marco, che nel suo stile stringato ed essenziale, in tre versetti liquida l’esperienza di Gesù nel deserto. Subito dopo la teofania del battesimo in cui la voce del Padre lo riconosce come Figlio amato, Gesù deve affrontare un altro evento, completamente diverso: lo stesso Spirito di Dio lo spinge nel deserto: cioè quel Dio che nella teofania battesimale lo qualificava come “figlio prediletto”, ora lo manda, lo spinge addirittura, nel deserto, luogo di stenti, di privazioni, dimora dei demoni e del male.

“Com’è possibile?” ci chiediamo: “come può un Padre dimostrarsi così insensibile, incoerente, nel mandare il figlio amato in un luogo tanto pericoloso, arido, inospitale, come il deserto”?

Ovviamente, se pensiamo in questo modo, dimostriamo di non aver capito nulla di Dio; soprattutto di non aver capito nulla della missione salvatrice di Gesù.

Noi, purtroppo, con i nostri paraocchi, siamo abituati a ragionare solo in un certo modo: se una cosa è bella, buona, gradevole, e soprattutto se non ci fa soffrire, vuol dire che viene da Dio, è un suo regalo; se, al contrario, una cosa è brutta, ostica, dolorosa, difficile, allora non è Dio che ce la manda, ma è satana, è un castigo, permesso sì da Dio, ma causato direttamente dal diavolo, dalle forze del male.

Solo che in questo caso non abbiamo capito che “il deserto” non è un fatto negativo. I due momenti che vedono protagonista lo Spirito di Dio, sono infatti strettamente correlati, e si inseriscono perfettamente nel progetto divino della redenzione umana attraverso l’incarnazione di Gesù: riconosciuto “figlio di Dio” nel battesimo, Egli avrebbe potuto appellarsi alla sua natura divina, rifiutando di misurarsi col male; al contrario, rimane coerente alla sua realtà di uomo: accetta cioè di vivere fino in fondo questa vita umana con le sue prove, talvolta anche difficili e dolorose, ma tutte con una prospettiva altamente positiva e meritoria: perché nel deserto, luogo della prova e della fedeltà di Gesù alla sua missione, Egli propone all’umanità una via, un comportamento indispensabile ad ogni singolo uomo per amministrare correttamente quella sua vita, meraviglioso dono di Dio.

Un dono, la vita, che non è un regalo già pronto, finito, incartato e infiocchettato: ma, come una pianta, va coltivata, cresciuta, seguita, trattata con cura; è come un compito da svolgere, un quadro da dipingere, un manufatto da costruire in tutta la sua bellezza.

Dio ci affida questa minuscola parte del suo universale “progetto” di vita, questa piccola tessera che noi dobbiamo “elaborare, perfezionare” per poterla reinserire al suo posto nel maestoso mosaico dell’intera creazione.

È una grande responsabilità, che richiede lavoro, applicazione, volontà, coraggio. Le contrarietà sono all’ordine del giorno, dobbiamo superarle: ma troppo spesso noi preferiamo abbandonare il compito assegnatoci da Dio, senza combattere, senza lottare, dimostrando di non aver capito nulla del suo progetto; perché Lui si aspetta da noi un comportamento positivo, vuole che vinciamo i nostri demoni, le tentazioni del male: ci vuole vincenti, vuole che il nostro impegno, i nostri progressi, risplendano preziosi agli occhi del Padre.

Purtroppo le contrarietà, il dolore, le difficoltà, le tentazioni che incontriamo nella vita, non sono delle pietre che Dio semina sul nostro cammino per farci inciampare, per farci cadere, come se lui si divertisse in questo. Lui non ama la nostra sofferenza: lui ama noi e vuole che siamo sempre felici. Sono invece parte integrante della vita umana, come ci insegna oggi Gesù stesso, che da uomo le ha affrontate.

Lui ha vissuto tutto ciò nella sua vita umana, senza appellarsi mai, pur potendolo, alla sua natura divina!

Rileggiamolo allora quel versetto che inizialmente ci aveva scandalizzato: “lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche…”.  

Il “deserto”, quindi, non è stata una “cattiveria” del Padre, ma è stata la “fedeltà”, la coerenza di Dio Figlio che, assumendo le nostre sembianze umane, ha accettato di farsi carico anche delle relative debolezze, comprese perfino le tentazioni di satana: e tutto questo, per diventare, come dice Clemente Alessandrino, nostro “pedagogo”, nostro “maestro”, nostra guida: per insegnarci cioè come dobbiamo comportarci nella nostra vita.

È quindi Dio, è la Vita stessa, che ci chiedono una gestione responsabile dei nostri progetti: per questo motivo lo Spirito spinge anche noi nel “deserto”, luogo difficile, impegnativo; luogo che ci ricorda i quarant’anni di faticose esperienze, vissute dal popolo ebraico, per poter raggiungere la terra promessa; luogo, il deserto, che ci fa capire come, per raggiungere qualcosa di veramente importante, qualcosa di grande, di bello, di assoluto, dobbiamo prevedere un tempo di prove, di preghiera, di assiduo lavoro, di solitudine interiore.

Ebbene: la Quaresima rappresenta questo nostro passaggio nel deserto; è il tempo in cui siamo particolarmente chiamati a crescere, a prendere decisioni risolutive, a fermarci e a porci domande profonde: “In cosa debbo crescere? In cosa debbo maturare? Cosa debbo lasciare e cosa riprendere?”.  

La quaresima è il tempo in cui anche noi dobbiamo lasciare l’Egitto, terra di schiavitù, per andare verso la terra promessa, terra di libertà.

Un passaggio che va fatto necessariamente nel deserto: perché è lì che dobbiamo spogliarci di noi stessi, vederci per quello che siamo realmente; è lì che dobbiamo affrontare le barriere, gli ostacoli, le montagne, per diventare esperti camminatori sulla strada che conduce a Dio. È un percorso che tutti dobbiamo affrontare e concludere. È un’esperienza ineludibile. È il nostro “esodo”: dalla negligenza, dall’indifferenza, dalla nostra sciatteria spirituale, dalla nostra tiepida e indolente quotidianità.

Fintanto che il tempo della vita ci scivola via, calmo e silenzioso, noi stiamo bene nel nostro guscio autoreferenziale, tutto funziona, siamo soddisfatti, non ci sono problemi di sorta. Improvvisamente però, quando le cose cambiano, il meccanismo si inceppa, il rapporto con noi stessi si incrina. Non ci accontentiamo più di quel che facciamo; non ci basta, cominciamo a pretendere di più; ci sentiamo soffocare, siamo insoddisfatti; ciò che prima ci andava bene, ora non ci soddisfa più. Nuove esigenze emergono; nuovi lati del carattere bussano alla porta; nuove situazioni e sfide si impongono.

È normale: siamo arrivati ai margini del nostro “deserto”: che fare? Dobbiamo affrontarlo: non è un percorso facile, non è una passeggiata: il deserto abbonda sempre di pericoli, insidie, ostacoli, tentazioni: sono gli “stop” inevitabili della vita, quelli che ci mettono in crisi, quelli che ci fanno vivere male interiormente, che sono una sofferenza spirituale: un’esperienza sicuramente dolorosa e negativa, ma che, se affrontata correttamente, ci porterà un risultato vincente, costruttivo. Dopo infatti aver operato il nostro “reset” interiore, ci scopriremo più profondi, più veri, più trasparenti, più inseriti nel mistero della vita, più capaci di amare, più maturi, più liberi.

Dio dice al popolo ebreo: “Ti ho fatto camminare nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i miei comandi” (Dt 8,2). Soltanto il deserto, infatti, può mostrare anche a noi cosa abbiamo dentro, solo il deserto può toglierci le illusioni costruite negli anni, le incrostazioni, le nostre maschere; solo il deserto può spogliarci, riportarci all’essenziale, all’originale, alla nostra candida e innocente nudità.

Perché il deserto è proprio così: è “tentazione”, è “peirasmòs”, vale a dire controllo, prova, verifica”.

Lo eviteremmo molto volentieri; lo vediamo come “zona di pericolo”, zona infestata dai demoni, da tutte quelle voci insidiose che ci demoliscono, ci scuotono dentro: “Vedi come sei realmente? Sei un mascalzone; non vali niente; sei un fallito; guarda cos’hai fatto; ti sei lasciato andare; sei un’incapace!”. Chi vorrebbe ascoltare queste voci? Chi vorrebbe misurarsi con loro? È molto meglio rientrare nel mondo, stordirle con il baccano, con fiumi di chiacchiere insensate, con rumori assordanti, con vuoti divertimenti, annegarle definitivamente nelle mille attrazioni inutili: e quanti cristiani oggi lo fanno!

Ma questa è la nostra vita. Le esperienze positive, piacevoli, ce la rendono certamente bella, pienamente godibile; ma sono quelle dolorose che ci fanno crescere, che ci fanno cambiare radicalmente, che ci trasformano. È incontrando e vincendo i nostri demoni, che arriveremo ad incontrare i nostri angeli. Non giustifichiamo la nostra accidia, pensando di non poter far nulla, di essere vittima prescelta dei demoni, di ottenere dalla vita solo schifezze, disordini, difficoltà, problemi, confusioni. Non attacchiamoci a questo pretesto, non rinunciamo a combattere, non “tiriamo avanti” carponi, ma rialziamoci sempre vincitori.

Soprattutto perché lo dobbiamo a Dio, che pazientemente e con amore abita in noi: non dimentichiamolo mai.

Mercoledì scorso il sacerdote ci ha imposto la cenere sul capo: non è stato così, per gioco, ma per ricordarci quanto siamo deboli e provvisori: è stata l’occasione per un bagno di umiltà.

Ebbene, con questa stessa umiltà, nel nostro deserto quaresimale, riconosciamo davanti a Dio la nostra debolezza, ammettiamo le nostre infedeltà, chiediamo la sua costante e misericordiosa protezione. Soprattutto non dimentichiamo mai a chi apparteniamo, da dove proveniamo, dove siamo diretti, di quale dignità siamo rivestiti, e a quale dignità siamo chiamati. Buona quaresima! Amen.

 

Nessun commento: