giovedì 21 gennaio 2021

24 Gennaio 2021 – III Domenica del Tempo Ordinario

“Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini. E subito lasciarono le reti e lo seguirono” (Mc 1,14-20).

 Il vangelo di oggi torna ancora sul tema della “chiamata”, della vocazione.

Gesù passa e guarda: vede Simone e Andrea, due pescatori che stanno gettando le reti, e li invita a seguirlo per essere suoi discepoli.

Non sappiamo cosa Gesù abbia notato di tanto interessante in loro: due poveretti che stanno semplicemente facendo il loro lavoro: un lavoro umile e ordinario, che non ha assolutamente alcuna attinenza con la missione per cui vengono scelti.

Ma Gesù vede più lontano di noi; capisce al volo chi sono in realtà. Lo capisce dalle piccole cose, dai piccoli gesti. Egli li osserva infatti nella loro quotidianità, per come affrontano gli inevitabili imprevisti del momento, deducendo da ciò la loro grandezza. Perché non sono mai le cose che facciamo a renderci importanti, ma è la cura, l’amore che ci mettiamo nel farle.

Gesù non ha bisogno di chiedere ai due pescatori i loro “curricula” o gli “attestati di frequenza” a qualche “università” rabbinica del tempo. Nulla. A Gesù basta guardarli in faccia per decidere di chiamarli ad essere “pescatori di uomini”.

È una proposta sconvolgente, quella che prospetta loro; un radicale cambiamento della loro vita: nonostante ciò, essi accettano immediatamente, piantano tutto, e lo seguono.

Esteriormente, è vero, non è cambiato nulla: ma è il loro intimo, il loro animo, è la loro mentalità che è completamente cambiata, rivoluzionata.

Se prima la barca (il lavoro) e la casa (la famiglia) erano il loro “assoluto”, ora non più. Hanno capito che nella vita ci sono altri impegni, altri ideali, importanti e altrettanto fondamentali, che vanno affrontati con un entusiasmo diverso, con un “amore” diverso: un sentimento nuovo, travolgente, che vuole essere anteposto a tutto, che vuole guidare la loro vita, che vuole suggerire ogni loro pensiero.

E lo hanno capito guardando a loro volta Gesù: una persona che non è preoccupata per il lavoro, che non si affanna per impegni e scadenze, per cosa mangiare o per come vestirsi; una persona che è spinta da un’unica preoccupazione: di avvicinare continuamente nuove persone, di offrire loro amore, amicizia, carità, tenerezza, comprensione, sicurezza. Sicuramente Gesù non è ricco: ma l’uomo che essi vedono, è sereno, felice, e soprattutto tanto amato.

“Il tempo è compiuto. Il regno è vicino; convertitevi e credete al vangelo”.

I primi discepoli hanno dunque accolto l’invito di Gesù. Il tempo di scegliere, di lasciare le barche, di lasciare la loro casa è il passato: convertirsi, cambiare stile di vita, modo di vedere, è il loro “adesso”. Non possono più tergiversare, far finta di nulla: l’impulso interiore che avvertono è solo quello di seguire Gesù, e collaborare alla costruzione del Regno di Dio.

Quando sentono parlare del “Regno di Dio”, le persone rimangono piuttosto disorientate: “Cosa vuol dire? In che consiste?”. C’è chi pensa al paradiso, all’altra vita, chi pensa a chissà cosa. Niente di tutto questo: il regno di Dio è la Vita Vera, quella che dobbiamo vivere qui nell’oggi seguendo fedelmente gli insegnamenti di Gesù. Ogni scelta, ogni sforzo, ogni azione che ci riguarda deve essere finalizzata alla realizzazione della Vita (ego sum Via, Veritas et Vita), deve cioè concorrere alla realizzazione della presenza di Dio in noi e, nostro tramite, nel mondo.

Ecco perché è importante anche per noi scegliere adesso, perché non possiamo rimandare: perché questa è una scelta che impegna, che cambia radicalmente la nostra quotidianità. Una scelta che deve realizzare, concretizzare, trasformare in vita vissuta il messaggio evangelico in cui crediamo.

Il Regno di Dio non può più aspettare, esige un nostro immediato intervento: e dobbiamo iniziare subito col mettere ordine al nostro disordine spirituale.

Tutti i discepoli hanno ricevuto una proposta ardita, rischiosa, provocante, fuori dai loro schemi; era decisamente controcorrente. Ma le parole di Gesù rinfrancarono la loro debolezza, riempirono la loro anima. Sentirono i loro cuori incendiarsi di amore per Lui.

Sicuramente si saranno chiesto: “Ma perché proprio noi?”; “Cos’abbiamo noi di speciale?”. Nulla! Assolutamente nulla. E noi come loro.

Dio non sceglie uomini con doti particolari, speciali, super-intelligenti o super-dotati. Ha scelto e sceglie sempre persone umili, disponibili, persone pronte a farsi coinvolgere, a seguirlo.

Gesù, nella sua missione terrena, non ha mai cercato persone già sante e perfette per essere suoi discepoli, ma solo umili, disponibili, aperti: Pietro, per esempio, la “roccia” su cui doveva poggiare la Chiesa, dubitò e lo rinnegò più volte; Giacomo e Giovanni erano presuntuosi, ed erano chiamati “boanèrghes” (Mc 3,17), “figli del tuono”, proprio perché “peperini”, suscettibili, carrieristi, al punto da litigare tra loro per il posto da occupare nel futuro “regno”; Tommaso era sospettoso, dubbioso e diffidente: se non toccava, se non c’era e non vedeva, lui non credeva; Giuda era attaccato ai soldi e, addirittura, per trenta miseri denari lo tradì.

Ebbene, tutte queste miserie confermano che Dio lavora con il poco a sua disposizione: uomini comuni, limitati, pieni di difetti, spesso immaturi; uomini, però, che non hanno esitato a mettersi completamente al suo servizio.

Il vangelo dice infatti “lasciate le reti” (afèntes tà dìktua): lasciarono cioè le loro idee, i loro pregiudizi, le loro fissità e lo seguirono.

Gesù passa e ci chiama. Anche a noi chiede sempre e solo una cosa: di lasciare le “nostre case”, i nostri riferimenti, le nostre certezze, di fidarci di lui e seguirlo.

Ma non è sempre facile per noi: non siamo proprio convinti di lasciare ciò che siamo, ciò che sappiamo, ciò che viviamo, per incamminarci verso qualcosa di nuovo, di sconosciuto, di impegnativo: ci sentiamo inadatti a seguire Gesù, preferiamo rimanere con le nostre reti bucate.

Nella nostra vita siamo dei campioni nell’aggrapparci a quanto ci capita a tiro - lavoro, famiglia, parenti, amici, soldi, idee - pur di non schiodare dalle nostre posizioni. Cerchiamo ovunque garanzie, certezze, rassicurazioni, vorremmo che il mondo girasse sempre secondo i nostri piani: ma questo è semplicemente assurdo.

Se ci fissiamo su quanto potrebbe succederci l’indomani, nel futuro, su cosa ci accadrà o non ci accadrà, se avremo o no la forza di affrontare l’imprevisto, è la nostra fine, ci demoralizziamo, diventiamo schiavi di ogni possibilità.

Il segreto della vita che Gesù ci prospetta è invece quello di abbandonarci, di fidarci, di smettere di voler pianificare tutto a nostro esclusivo tornaconto.

Dobbiamo convincerci, che quel “venite dietro a me” non è un ordine, ma una proposta di felicità, di vita piena, di vita vera, un’offerta di enorme valore: non è un invito ad un giro turistico, ma l'invito ad una imitazione, ad una “sequela”, inizialmente difficile, ma sempre possibile per tutti: chiediamo allora a Dio il coraggio di “andare”, di seguirlo, di non rinunciare mai ad essere come lui ci vuole, di non resistergli, di lasciare “tutto”, per diventare anche noi “pescatori di uomini”.

Già, perché questo dobbiamo essere nella sua Chiesa: “pescatori di uomini”.

Oggi la Chiesa ha dimenticato questa missione: tutti indistintamente, pastori e fedeli, siamo diventati cerebrali, freddi; ci lasciamo blandire da questo mondo, dalla pubblicità, dall’apparire, dalle ovazioni mediatiche; ci preoccupiamo più dell’ovvio e delle futilità, piuttosto che di tutelare apertamente quei principi fondamentali della nostra fede cristiana e cattolica, intoccabili e mai negoziabili; non ci preoccupiamo più di evangelizzare nuovi popoli, di rettificare e consolidare la fede dei nostri fratelli più deboli, ormai assorbiti dal relativismo dominante; non siamo più l’espressione visibile di un Cristo invisibile, ma sempre presente tra noi; in una parola la Chiesa oggi non sa più “guarire” i suoi figli e i suoi fratelli, come sapeva fare Gesù.

Ma una Chiesa che non “guarisce”, che non “irrobustisce” più la fede in chi vacilla, che non la rende ricchezza insostituibile per chi la cerca, che non traccia più la strada sicura al gregge, che non cerca di ricondurre all’ovile le pecore smarrite; una Chiesa che non si preoccupa più di “salvare” gli uomini per questa vita, come può pensare di poterli salvare per l'altra?

Purtroppo il paventato fumo di satana ha ormai ammorbato i suoi settori vitali: adoratori del dio sesso e del dio denaro, continuano a deturpare impunemente il suo volto splendido, riducendola da immacolata Sposa di Cristo a squallida meretrice.

Ci consola e ci sostiene la promessa di Cristo: “Io sarò con voi fino alla fine del mondo, èos tès suntelèias tù aiònos” (Mt 28,20).

Ed è vero: perché ci sarà sempre nella Chiesa un insopprimibile manipolo di umili e santi profeti, che con la loro voce, le loro preghiere, la loro predicazione e la loro vita esemplare, riusciranno ad avere la meglio su tale sudiciume e, come già il profeta Giona per la biblica Ninive, scongiureranno la sua totale distruzione.

È quindi al seguito di questi degni e instancabili “pescatori”, che dobbiamo prontamente tornare anche noi al “metodo” di Gesù; per farlo non abbiamo più molto tempo, personalmente non abbiamo secoli a nostra disposizione, perché, come ci ricorda san Paolo, “il tempo si è fatto breve!” (1Cor 7,29).

Il “metodo” di Gesù da praticare? L’amore: Egli per tutti è stato padre, pastore, medico, taumaturgo: guardava le persone, le amava, le conquistava.

Il suo era un amore profondo, concreto; un amore che raggiungeva i malati guarendoli all’istante nel corpo e nell’anima; raggiungeva i morti ed essi subito riprendevano vita; era un amore misericordioso, fatto di accoglienza, di ascolto, di empatia, di conforto, di emozioni, di pianto, di gioia, di fiducia; ma era anche un amore severo, non dimentichiamolo mai, che quando necessario, rovesciava banchi e mercanzie, sferzando venditori e ladri che occupavano vergognosamente l’area del sacro Tempio.

L’uomo contemporaneo, galvanizzato dal materialismo ateo, ha un bisogno assoluto, vitale, di percepire, di sentire, di “toccare” con mano questo amore di Dio; ha necessità estrema di questo amore che, unico, risana l’anima, trasforma il cuore, illumina la mente.

Sì, noi per primi abbiamo bisogno di questo amore. La Chiesa tutta ne ha bisogno!

Perché quello di Dio è “agàpe”, è amore puro: è la sua stessa definizione, è la sua identità; dice infatti Giovanni “Deus caritas est”; meglio: “O Theòs agàpe estin”, “Dio è Amore, e chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane (mènei) in lui” (1Gv 4,16b): ricordate domenica scorsa? “Maestro, dove abiti?”, “pù mèneis?”: anche qui per tre volte lo stesso verbo “mèno”, rimanere!

L’amore di Dio, insomma, è la nostra “residenza”, è la garanzia illimitata, senza scadenza, dell'eterna sopravvivenza nostra e della Chiesa di Cristo. Amen.

 

  

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