giovedì 7 gennaio 2021

10 Gennaio 2021 – BATTESIMO DEL SIGNORE

“In quei giorni, Gesù venne da Nazareth di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni” (Mc 1,7-11).

 Marco inizia il suo vangelo presentandoci Giovanni Battista che, in prossimità del Giordano, parla ai presenti sulla necessità di sottoporsi al battesimo.

Quello che lui propone è un battesimo di “conversione”, un battesimo cioè fondato sulla metànoia, ossia su di un radicale cambiamento di mentalità e di valori. Il battesimo, quindi, è il simbolo, la prova, dell’avvenuta conversione: l’immersione nelle acque del Giordano simboleggiano il “lavaggio”, la “pulitura” di tutti i peccati commessi.

Ovviamente, chi vuole questo battesimo, deve prima convertirsi, decidere cioè di cambiare stile di vita; altrimenti quella cerimonia non avrebbe alcun significato.

In pratica, il Battista dice: “Io, con il battesimo, vi tolgo i peccati di un passato sbagliato, ma siete voi che dovete cambiare vita, cambiare mentalità, modo di pensare, altrimenti che voi veniate da me per un semplice lavaggio esteriore che senso ha? non serve assolutamente a nulla”.

Il battesimo di “conversione”, infatti, poggia tutto sull’individuo, sulla sua ferma volontà di non peccare oltre, di astenersi in futuro da ogni altra colpa. E non è cosa di poco conto, perché il convertirsi sul serio, il cambiare i propri modi di vivere e di pensare, è molto impegnativo, molto difficile.

Il Battista conosce perfettamente i limiti umani, e rilancia il suo messaggio in una prospettiva nuova: con le spalle rivolte al passato, ma con il dito puntato in avanti, indica l’arrivo imminente della nuova economia, quella dell’amore, della grazia, non del provvisorio lavaggio delle colpe, ma del loro totale e definitivo perdono.

Viene dopo di me colui che è più forte di me”: egli ne è consapevole. Gli altri devono capirlo. L’annuncio di Giovanni presuppone la fede, il suo è un appello che suscita ed esige la fede.

Inutile continuare a vedere Dio assiso solitario nell’alto dei cieli, al di fuori della nostra vita e della nostra storia. Il Cristo, Figlio di Dio, è uomo tra gli uomini, si trova ormai nella storia, nelle singole situazioni concrete, in tutti gli uomini. Ed è qui che si vede la infinita superiorità e potenza che differenzia Gesù il Messia, da Giovanni il precursore. E qui si nota anche la diversità dei due riti battesimali: mentre Giovanni usa solo l'acqua, Cristo manderà il suo Spirito che assieme all'acqua toglierà radicalmente il peccato dal cuore dell'uomo.

Ma procediamo per gradi: il Battista dunque sta portando avanti la sua missione predicando la conversione del cuore e della mente, quando, improvvisamente, succede qualcosa che ha dell’imprevedibile: gli compare davanti Gesù, e anche lui, come tutti gli altri, si mette in fila per farsi battezzare, per farsi “lavare” i peccati.

Marco è lapidario: “Accade in quei giorni che Gesù venne da Nazareth e fu battezzato”.

In quel verbo “accade” egli fonda la spiegazione dei fatti: intende dire cioè che nella persona di Gesù si concentra il compimento, la realizzazione, di tutte le promesse fatte da Dio nell'antica alleanza: non a caso Gesù ha lo stesso nome di Giosuè: di colui cioè che, come leggiamo nella Bibbia, ha condotto il popolo dalla schiavitù alla terra promessa; e qui Gesù, come Giosuè, conduce tutti i popoli dalla schiavitù del peccato, alla terra promessa del perdono, dell’amore e della libertà.

Gesù dunque prima di iniziare il suo ministero, raggiunge il Battista sul Giordano e si fa battezzare; e lo fa, solidale con gli uomini, mettendosi in fila come tutti gli altri peccatori.

Ma egli, a differenza degli altri, non ha alcun peccato da farsi perdonare: si battezza soltanto per trasformare definitivamente il battesimo di Giovanni, simbolo di morte, in un battesimo completamente nuovo, simbolo di vita.

Se Giovanni fa immergere nel Giordano le persone perché “muoiano” al peccato, perché inizino una nuova vita, passando dalla morte del peccato alla vita di una conversione che toglie, cancella, elimina completamente quanto c’era stato prima, Gesù non vive questo battesimo di morte; il suo è un battesimo di resurrezione.

Marco sottolinea questa lettura, ricorrendo ad un verbo particolare: “anabàinon”, che significa “salendo” dall’acqua; ci saremmo aspettati un più corretto “uscendo” dall'acqua, visto che ne era entrato dentro. Marco invece usa lo stesso verbo “salire” utilizzato quando, dopo la resurrezione, dopo aver vinto la morte, Gesù “sale” finalmente in cielo. Stesso verbo, stesso significato. Lo scopo del Battesimo di Gesù, infatti, non sta tanto nell’eliminazione del peccato originale, nella purificazione dai peccati (che lui non aveva), quanto piuttosto, come ci dicono tutti i vangeli, nel far discendere su di Lui, e con Lui su ogni uomo, il dono santificatore dello Spirito del Padre.

Marco infatti continua: “E subito salendo dall'acqua, vide aprirsi i cieli”; letteralmente, vide i cieli squarciati (“skizomènus”), lacerati, aperti, rotti in modo irrecuperabile: l’allusione alla convinzione biblica sulla “chiusura” ermetica dei cieli, è chiara: fino ai tempi di Gesù si credeva infatti che Dio, indignato per i peccati del popolo, si fosse ritirato nella sua dimora celeste, sigillandone ogni varco. Dio non si concedeva più, non comunicava più col suo popolo. Non c'era più colloquio fra Dio e gli uomini. I cieli, luogo della dimora di Dio, erano stati sbarrati per sempre. Per questo il profeta Isaia diceva: “Se tu squarciassi i cieli e discendessi!”. Era la speranza, il desiderio, che Dio tornasse finalmente a comunicare con l'uomo, a rapportarsi ancora con lui, in un colloquio interminabile, eterno, senza altre possibili chiusure.

Ebbene, questa speranza si concretizza con il battesimo di Gesù: è qui, infatti, nel momento stesso in cui lui “sale” dalle acque, che i cieli si squarciano: Dio, attraverso Gesù, polverizza ogni diaframma e torna a comunicare con l'uomo, torna a donarsi all'uomo, e lo fa in maniera totale, radicale, definitiva.

Marco non dice semplicemente “i cieli si aprirono”: perché, come si sono aperti, potrebbero anche rinchiudersi poi nuovamente. Egli usa un termine (si squarciarono) che richiama l’immagine di una potente deflagrazione: lo squarcio, infatti, rispetto all’apertura, crea un passaggio definitivo, immutabile; qualunque tentativo di chiuderlo risulterà per sempre impossibile: il passaggio dello Spirito, tra cielo e terra, è pertanto assicurato per sempre.

È lo stesso verbo “squarciare” che Marco usa per descrivere i fenomeni avvenuti al momento della morte di Gesù: “il velo del tempio si squarciò in due, dall'alto in basso”.

Nel tempio un velo enorme e pesante, lungo circa 25 metri, impediva l’accesso al “sancta sanctorum”, la parte più interna del tempio riservata alla presenza di Dio, in cui si custodiva l’arca dell’alleanza: solo il sommo sacerdote, una volta all'anno, poteva entrarvi e invocarlo con il suo Nome impronunciabile. Ebbene, che succede? Appena Gesù muore, questo velo si squarcia, rendendo impossibile una sua riparazione. Il Dio che era nascosto dal velo del tempio, il Dio velato, il Dio occultato, si è definitivamente rivelato in Gesù crocifisso.

È lui l'immagine visibile di Dio. È il Crocifisso, il segno ormai visibile dell'amore di Dio; un segno che non potrà più nascondersi alla nostra vista, neppure se lo rifiutiamo, neppure se non lo vogliamo più, neppure se lo umiliamo, se lo disprezziamo, se lo crocifiggiamo di nuovo.

Dio, dopo Gesù, non potrà mai più “nascondersi”, mai più rifiutare il suo amore all’umanità. Perché? La spiegazione ci viene dall’azione dello “Spirito”, l’amore che lega indissolubilmente il Padre a suo Figlio. Possiamo intuirlo da Marco, che nel suo vangelo, con un parallelismo meticoloso, ce ne offre un valido chiarimento.

Lo Spirito che discende su Gesù dopo il suo battesimo, non è uno spirito qualunque, è “Lo Spirito” to pneuma: l'articolo determinativo “to” indica infatti Dio stesso, nella totalità del suo amore, della sua vita, della sua potenza, che discende “come colomba” su Gesù e lo qualifica: “ci fu una voce (phoné) dal cielo. Tu sei il Figlio mio, l'amato”.

Quello stesso “pneuma” disceso dal cielo, Gesù, morente sulla croce, con gran voce (phoné), lo restituisce al Padre celeste. Una volta poi asceso in cielo e ricongiunto col Padre, farà ridiscendere to pneuma sulla terra, come permanente Consolatore e Consulente prima degli apostoli, e poi, tramite loro, di tutti gli uomini che diventeranno credenti col il battesimo.

È così che lo Spirito di Dio, l’Amore di Dio, ha preso la sua stabile dimora tra gli uomini: tutti da allora possiamo beneficiare della sua azione santificatrice; tutti possiamo godere di quello scambio amoroso tra cielo e terra, tra Padre e Figlio, di quella presenza che ci fa sentire al sicuro, protetti, amati, sorretti.

Nella nostra vita abbiamo necessità vitale di un amore che ci ami al di là di tutto, che sia sempre presente, che non si tiri mai indietro, che sia libero, incondizionato, spontaneo.

L'amore umano però, anche il più grande, il più bello, prima o poi pone sempre delle condizioni: sappiamo per esperienza che per essere amati, dobbiamo dare sempre qualcosa in cambio, scendere a qualche compromesso.

Ma con Dio non è così. Dio non ci ama perché siamo bravi, belli, sensibili, onesti. Dio ci ama così come siamo, ci ama perché siamo proprio “noi”. Anche se siamo impresentabili, sporchi, laceri, Lui ci ama comunque, ci ama sempre, continua a parlare al nostro cuore, nonostante tutto: perché Lui è l’Amore vero, l’amore gratuito, l’amore che sgorga dal suo cuore trafitto, l’amore che salva e che si chiama “Grazia.

Qualcuno però potrebbe dire: “Ma io non lo sento questo Dio che mi parla! Non ho mai sperimentato questo suo amore tanto speciale!”. Certo: ma se non lo sentiamo, non è perché Lui non ci parla, ma perché noi siamo sordi: non lo sentiamo, perché siamo distratti da mille altre voci, da altri frastuoni, dagli assordanti schiamazzi del mondo; non sperimentiamo il suo amore, perché evidentemente siamo inebetiti e sazi di rifiuti, di qualunque altro surrogato.

Eppoi, scusate, la voce di Dio noi dobbiamo “volerla sentire”! Dobbiamo desiderare con forza il suo amore risanante! Non è un desiderio che nasce in noi automaticamente: spesso infatti siamo bloccati, abbiamo paura di ascoltare quello che Dio vuol dirci; preferiamo non sentirlo, facciamo gli indifferenti. E invece no! Dobbiamo al contrario creare intorno a noi il “silenzio dell’ascolto”! Dobbiamo cioè mettere a tacere tutte le altre voci, le altre esperienze inutili e fuorvianti. 

Vi ricordate Elia? “Dio non era nel vento impetuoso, non era nel terremoto, non era nel fuoco, ma era in una brezza leggera” (1Re 19,11-12): Dio non ama il baccano da discoteca, le gozzoviglie orgiastiche delle osterie e dei night: Dio, al contrario, ama il silenzio, il raccoglimento, l’umile predisposizione interiore, il “chiostro” del nostro cuore. Mettiamoglielo ogni tanto a sua disposizione, e la nostra vita cambierà! Amen.

 

 

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