«Voce di uno che grida nel
deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri», vi fu
Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione
per il perdono dei peccati» (Mc 1,1-8).
Dove troviamo Giovanni il Battista? Lo troviamo nel tempio? No. Eppure, in quanto “sacerdote”, figlio di un sacerdote, questo posto gli sarebbe spettato di diritto. Ma non lo troviamo nel tempio. Giovanni, ci dice Marco, è soprattutto “Voce” di uno che grida, è annunciatore, messaggero: quindi non il chiuso di un tempio, ma gli spazi aperti e selvaggi del deserto si addicono per la sua predicazione: “Convertitevi dai vostri peccati”.
Nel
tempio tutto è bello, leggiadro: abbiamo le belle liturgie, il bel canto, la
bella gente, la sicurezza: stiamo bene e rilassati. Anche se ci parlano di Dio,
anche se ci chiedono di convertirci in nome di Dio, tutto è ovattato, tutto è
soffuso, di maniera, come la nostra conversione.
Nel
tempio non serve convertirsi sul serio; è sufficiente cambiare l’aspetto
esteriore, ammantarci di un velo di contrizione, molto apprezzabile a vedersi:
una conversione che non tocca il nostro cuore, che non convince l’anima: dentro
rimaniamo tranquillamente sempre gli stessi; l’importante è riuscire a
camuffare, a dare alle nostre iniquità, magari con “religiosi” distinguo, un aspetto
moralmente positivo.
Questo
nel deserto non è possibile: nel deserto non si può barare. Il deserto è
categorico: “No, amico mio, così non va; devi convertirti, devi cambiare. Qui non
puoi illuderti, non puoi nasconderti. Dove vai? Qui non puoi fuggire, non puoi
evitare la verità: qui si vede subito se ami Dio, se il tuo cuore è veramente
sincero”.
È quanto
ci fa capire oggi il vangelo: per credere
in Gesù Cristo, dobbiamo necessariamente abbandonare quella nostra patina di
copertura che contrabbandiamo per religione. Non sono ammesse soluzioni di
comodo.
È una
verità dura, ma è così. La “religione”, quella che conosciamo noi, per definizione,
ci dà regole, ci dice cosa dobbiamo fare e non fare, ci rassicura, ci dice che
se faremo in un certo modo andremo in paradiso e se invece faremo il contrario andremo
all'inferno; ci dice chi sono i buoni, quelli che per diritto saranno ammessi
al premio finale, e chi i cattivi, gli esclusi. Ma di tutte queste belle “regole”,
non c'è nulla negli insegnamenti di Gesù. Perché la religione di Gesù, quella vera,
quella profonda, ha un solo obiettivo: l’amore. L’amore è la cartina di
tornasole che ci dice quanto siamo sinceri nelle nostre dichiarazioni di fede.
Perché per essere degni dell’amore del Padre, per poterlo pienamente godere
nell’eternità, dobbiamo a nostra volta amare ogni creatura, aver cura dei
nostri fratelli, dobbiamo usare loro rispetto, compassione, tenerezza, carità.
Se la
regola della religione è: “Quanto preghi? Quanto sei puro? Quanto se
incontaminato? Quanto sei fedele alle regole?”, la regola di Gesù è: “Quanto
ami? Quanta fiducia dai alle persone? Quanto le fai crescere? Quanto le stimi?
Quanto credi in loro? Quanto le rispetti?”. Ecco: adottare questo comportamento
basato sull’amore, guidato dall’amore, vuol dire “convertirsi”; vuol dire
“credere al vangelo”. Questo è quanto predica il Battista.
Un
annuncio, il suo, estremamente severo ma concreto e onesto. Talmente autentico
nella sua essenzialità, che la gente accorre in massa per farsi battezzare da
lui. La sua fama, la sua popolarità, il suo successo crescono di giorno in
giorno, tanto da allarmare seriamente le autorità religiose. Anche se nella sua
predicazione non ha mai rivendicato per sé il titolo di Messia, anche se ha
sempre dichiarato di non essere tale, che non è quello il suo ruolo, tuttavia per
le autorità del tempio rimane sempre un autentico pericolo, una mina vagante.
Per
questo corrono ai ripari: faranno cioè di tutto per isolarlo, screditarlo, diffamarlo,
ostacolarlo, carcerarlo, ucciderlo: e alla fine ci riusciranno.
È il
solito normalissimo percorso: quando non è possibile eliminare un avversario è
sufficiente distruggere la sua reputazione, denigrarlo pubblicamente. Non importa
se ha una condotta ineccepibile, se è una persona retta e onesta: l’importante
è parlarne male, diffondere maldicenze e calunnie sulla sua moralità, sulla sua
rettitudine professionale, per arrivare velocemente a distruggerlo del tutto.
Ma
perché adottare questo metodo odioso con il Battista? Perché è un personaggio
carismatico, monolitico, esigentissimo con sé stesso e con gli altri, uno che
non guarda in faccia a nessuno, che non le manda a dire, insomma un duro e un
puro, e questo non piace per niente alle autorità religiose che, al contrario, hanno
molto, ma molto, da nascondere.
La
conversione che egli predica, infatti, non è facile da accettare: il suo
battesimo, pur essendo d’acqua, non implica una semplice trasformazione di
facciata: impone piuttosto a tutti di tornare alla primitiva integrità, quella
originale, quella di tornare ad essere immagine di Dio, “nuove creature”.
Oggi moltissima
gente non esita a definirsi cristiana; certo, il battesimo ci ha reso tutti “cristiani”,
figli di Dio: purtroppo però gran parte di questi cristiani si è fermata alla
registrazione del nome sul libro dei battesimi di qualche parrocchia; e vivono
beatamente, in tutta tranquillità, nel dolce far niente, nascondendosi dietro
una facciata di comodo, una patina di perbenismo. Questo non è essere
cristiani: il battesimo ricevuto alla nascita si ferma all’acqua; ma, si sa,
l’acqua scivola via: un altro battesimo si impone: quello vero, reale,
autentico, quello di “fuoco”, quello dello Spirito; quello che Cristo stesso ha
affrontato: un battesimo che “marchia” la vita, che brucia dentro, che scava
nel profondo, l’unico che ci autentica alla radice come cristiani, come “uomini
nuovi”. È il battesimo che ci trasforma in “altri”, che ci supporta nella
realizzazione di quel progetto iniziale per il quale Dio all’origine ci ha
segnati con il soffio dello Spirito. Questo in pratica è il nostro vero
traguardo, quello che possiamo e dobbiamo raggiungere attraverso il battesimo
di fuoco: ridiventare meritatamente quelli che eravamo già, i figli di Dio, creati
a immagine e somiglianza del Padre. È la nostra trasformazione. È un
“partorirci” nuovamente tra fatiche, pianti, lotte e dolore; ma solo così
potremo arrivare ad essere “cristiani” autentici, i “benedetti” e prediletti
del Padre.
Quindi,
tradotto in pillole: tocca a noi, soltanto a noi, dimostrare con la vita questa
discendenza da Dio; tocca a noi, nella essenzialità del “deserto”, spogliarci dagli
orpelli dell’apparenza, e rivestire i panni dell’autenticità cristiana, passando
attraverso il fuoco della fedeltà, della convinzione, della coerenza, il fuoco
della rinuncia, del sacrificio, della battaglia contro il male: perché è questa
l’unica via che può riportarci all’essenziale, alla Verità di Dio, all’Amore
Infinito.
Battesimo,
in ebraico, vuol dire “immergersi”: ecco allora che non una volta, ma ogni
giorno, è necessario che ci immergiamo dentro di noi, ogni giorno dobbiamo
scendere nel buio della nostra fragilità interiore, “nella mortalità” di questa
vita, in ciò che ci rende spiritualmente sfiniti, senza senso, disperati, per
far emergere, dalla finzione invalidante dell’apparire, la Luce ardente dello
Spirito, la forza e la decisione dell’“essere”, che dà colore e calore alla nostra
vita.
Insomma,
è solo dopo aver percorso il nostro cammino di purificazione, di liberazione,
di amore, dopo aver vissuto il nostro Golgota, dopo aver superato la nostra
autenticazione del fuoco, che torneremo finalmente a far risplendere la nostra
originale figura di figli, creati dal Padre a sua immagine e somiglianza. Un
percorso sicuramente impegnativo, ma non impossibile: un percorso, soprattutto,
che non va semplicemente “pensato”: ma fatto e basta! Non abbiamo altre alternative!
Amen.