«Il regno dei cieli sarà simile a
dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo.
Cinque di esse erano stolte e cinque sagge…» (Mt 25,1-13).
La
parabola di oggi è molto significativa, di facile interpretazione. Anche se, ad una lettura superficiale, il comportamento dei vari protagonisti potrebbe apparirci non del tutto ineccepibile; in pratica farebbero tutti indistintamente una brutta figura: la fa lo sposo perché, giunto
alle nozze con un ritardo enorme, respinge quelle vergini che, poverette, a
causa della lunga attesa hanno esaurito l’olio della loro lampada, e indispettito
le liquida immediatamente: “Non vi
conosco!”. Ma perché ricorrere ad una bugia, dal momento che lui stesso le
aveva invitate, e quindi le conosceva perfettamente? Tuttavia ciò non le esime dal fare anch’esse una brutta figura, dimostrando di essere delle sprovvedute, delle
stupidotte, poco intelligenti, per nulla previdenti. Ma anche le vergini sagge,
quelle prudenti, quelle accorte, non sono da meno, non eccellono certo in signorilità, rifiutando
sdegnosamente di condividere con le amiche un po’ del loro olio: visto che lo
sposo era finalmente arrivato, perché non donarne loro qualche goccia,
togliendole dall’imbarazzo? Lo fanno perché sono invidiose, cattive d’animo,
oppure perché l’olio che hanno è speciale, strettamente personale, incedibile, per
cui anche volendo non possono cederlo? In tal caso si tratterebbe di un olio
“particolarissimo”, unico, strettamente personale, al punto che o ce l’hai di
tuo, o devi rimanere senza perché nessuno può cedertene del suo. “Andate dai venditori e compratevelo”, è
la loro risposta. Ma che risposta è? Perché sono così scostanti? Come possono
quelle meschine trovare un venditore d’olio nel cuore della notte? Ma non è una burla: effettivamente si comportano così perché non hanno altre possibilità,
non possono cedere alle altre un “olio” che “non si può” dare, che è incedibile.
Insomma,
questa è una parabola in cui nessuno sembra comportarsi in maniera corretta, un
racconto che, nella sua chiarezza, suscita anche molti interrogativi.
Ovviamente,
per capirla nella sua pienezza, dobbiamo prima di tutto riferirci al significato
di questi simbolismi, così lontani da noi, dalla nostra cultura, essendo essi strettamente
legati agli usi matrimoniali del mondo ebraico.
Attualizzando
comunque il testo, appare chiaro che lo sposo è Gesù e le vergini, sia le
prudenti che le stolte, siamo noi. A questo punto viene spontaneo chiederci:
perché Gesù risponde in maniera così aspra e tremenda: “Non vi conosco”? Cos’è quest’olio unico, personale, così
importante da condizionare l’ingresso alle nozze celesti?
Matteo,
parlando delle vergini che si sono dimenticate di prendere l’olio a scorta, le
chiama “morai”: un termine che
letteralmente significa “matte, pazze,
stolte”; oppure, in senso più blando, “sbadate,
stupide, sciocche, smemorate”.
E lo fa
a ragion veduta: perché giusto uno stupido, un superficiale, avrebbe
dimenticato di portare con sé una quantità di olio sufficiente ad alimentare la
sua “lampada” per l’intera notte, assicurandosi la luce per l’intera attesa.
Queste
vergini “stolte”, queste distratte, imprevidenti, rappresentano pertanto quelle
persone che accettano di incontrare lo “Sposo”, ascoltano la parola di Dio, accolgono
il suo messaggio, ma poi non sono sufficientemente interessate a metterlo in
pratica: lasciano cioè che l’iniziale entusiasmo si spenga nel tempo, diventi lettera
morta, preferendo procedere alla cieca nell’oscurità della vita. Sono quelle
persone che vivono alla giornata senza angustiarsi di nulla, senza troppi
pensieri, senza porsi alcun problema. Non si preoccupano minimamente di ciò che
invece è essenziale per dare una risposta illuminata cosciente e mirata alla
chiamata di Dio: come per esempio saper ascoltare interiormente la sua voce, coltivare
e meditare nel silenzio la sua Parola, garantire salute e pace alla propria
anima, esprimere un “grazie” sincero per l’aiuto costante dello Spirito, essere
sensibile alle necessità dei fratelli. Vanno avanti come se niente fosse. Salvo
poi chiedersi: “Come mai mi è capitato questo? Perché proprio a me? Com’è
possibile?”. Pensavano forse di non dover mai rispondere del loro ottuso comportamento?
Pensavano forse che non servisse una scorta sufficiente di “olio”, una scorta
cioè di opere buone?
Già, ma in
cosa consistono concretamente queste “opere buone”? Il Vangelo parla chiaro: ricordate
la parabola del buon samaritano? Non sono le preghiere di routine del sacerdote,
non i gesti “sacri” del levita, persone che, passando accanto all’uomo ferito, tirano
via entrambe ignorando le sue sofferenze e le sue necessità; opere buone sono invece
i gesti d’amore del buon samaritano, di colui che oltretutto era considerato un
nemico (Lc 10,29-37). Perché solo
questo conta davanti a Dio: l’amore, la misericordia, la nostra dedizione per
il prossimo. Perché “ogni volta che avete
fatto queste cose ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete
fatto a me” (Mt 25,31-46).
Praticare
la carità, amare il prossimo, essere ricettivi, dinamici, attivi, aperti alla condivisione:
questo significa, in pratica, approvvigionarsi di olio a scorta: in altre
parole il nostro spirito di carità, il nostro amore, il nostro voler bene, deve
essere concreto, reale, quotidiano, fatto di gesti, di pensieri, di azioni, di
sentimenti. Perché è questo l’unico metro di valutazione usato da Dio. Preghiere,
riti, meriti, studi, fama, soldi, conoscenze, non servono a nulla se non sono
messe a servizio dell’Amore. Gesù lo ha dichiarato apertamente: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore,
entrerà nel regno dei cieli…” (Mt 7,21). Che tradotto in pratica significa:
non basta fare belle prediche, disporre di grandi chiese, di grandi cattedrali
per andare a messa la domenica; non basta tirare continuamente in ballo il nome
di “Dio”, promettergli a parole grandi cose, per essere riconosciuti da Lui.
Dio, che è Amore, riconosce solo l’amore che ognuno ha e vive. Il resto non gli
interessa. “Non vi conosco”, dice
alle vergini sprovviste di olio, di opere buone. Soltanto chi possiede e
pratica un amore autentico può disporre della luce sufficiente per “aspettare”
lo Sposo, ed entrare con Lui alle nozze, nel Paradiso, nell’Aldilà.
“Non vi conosco”. Ma non è Dio che deve riconoscerci,
promuoverci, premiarci. Lui non condanna mai: siamo noi a condannarci, siamo
noi gli unici responsabili della nostra eternità, perché quel che otterremo
sarà l’ovvia conseguenza del nostro vivere attuale; siamo noi che non ci “riconosciamo” come
“invitati”, se abbiamo vissuto sempre nella superficialità, dando la priorità ai
piaceri, all’egoismo, alle futili banalità: perché non sappiamo più chi siamo
né cosa vogliamo o che sentimento proviamo; non abbiamo più alcun colloquio con
noi stessi e con il prossimo e, conseguentemente, saremo noi ad autoescluderci dalla
Vita, dalle nozze eterne.
Non è
affatto difficile finire in situazioni simili; è molto più facile di quanto non
si possa pensare. Anzi è un classico, succede quasi sempre così: crogiolandoci
nell’indifferenza, nella superficialità, arriveremo gradualmente ad indurire
talmente il nostro cuore, a renderlo così gelido e insensibile, da non essere
più in grado di amare, di esprimere alcun sentimento profondo; ci sentiremo,
soli, isolati, frastornati: così, quando un pianto salutare vorrebbe liberarci
l’anima, sarà costretto a dirci “non ti
conosco”; similmente quando la gioia vorrebbe consolarci, anch’essa dovrà dirci
“non ti conosco”, perché non saremo
più noi, non sapremo più gioire, abbracciare, lasciarci andare; anche l’amore, di
fronte all’impossibilità di emozionarci, di innamorarci, dovrà ripeterci “non ti conosco”; e così, via via, la
tenerezza, la compassione, la dolcezza: insomma tutti i sentimenti più
esaltanti della vita.
Vivere
così è un non vivere, perché la distanza che ci divide dall’Amore è troppo grande.
Ci siamo quasi spinti oltre il punto di non ritorno: il punto in cui tutto sarà
“troppo tardi”; il punto in cui non avremo più tempo a nostra disposizione, non
avremo più possibilità di porvi rimedio.
Il
messaggio dunque che questa parabola intende oggi trasmetterci è estremamente
serio e pressante: “Non lasciare che la tua lampada languisca. Prenditi cura
del tuo olio, della tua vita, delle tue opere buone; perché saranno esse la scorta che in quel momento determinerà la luce o le tenebre, la salvezza o la condanna,
la beatitudine o la disperazione”.
Facciamo
molta attenzione, non sottovalutiamo questo invito, perché la possibilità di cadere
improvvisamente nel buio più totale è veramente concreta e reale. Perché dipende
da noi. Amen.
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