«C’era
un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una
siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in
affitto a dei contadini e se ne andò lontano».
C’è
dunque un padrone che decide di investire i suoi capitali in maniera proficua
anche per gli abitanti del luogo: “pianta
una vigna, la circonda con una siepe, vi scava il frantoio, vi costruisce la
torre” e poi l’affida a dei vignaioli, a quelli cioè che avrebbero dovuto coltivarla.
La cura che il padrone mette nel costruire le infrastrutture ci dimostra quanto
egli amasse questo suo terreno, questa sua vigna. Arrivato il tempo della
maturazione, egli manda ovviamente “i suoi servi dai contadini a ritirare il
raccolto”. E fin qui tutto è nella normalità, tutto secondo le regole e le usanze
dell’epoca.
Ma poi
succede l’imprevisto. Cosa fanno i vignaioli? Hanno una reazione furiosa,
esplosiva: prendono i servi e “uno lo
bastonano, uno lo uccidono, uno lo lapidano”. Come mai tanta violenza? che
colpa ne hanno questi “colleghi” anch’essi servi dello stesso padrone? Erano
semplicemente degli incaricati, dei rappresentanti, dei messaggeri. Ma è
proprio l’essere gli “inviati”, le persone che in quel momento rappresentano il
padrone, che fa scattare la ribellione nei vignaioli che, con un crescendo di
violenza, arriva ad uccidere.
Ciò
che risalta immediatamente in questo susseguirsi di eventi è il comportamento
illogico, paradossale, sia dei contadini che del padrone. È assurda la reazione
dei vignaioli, perché avrebbero dovuto pensare alla inevitabile replica
repressiva del padrone. Ma è assurdo anche il comportamento del padrone che
continua impassibile, nonostante la violenza subita dai suoi rappresentanti, ad
inviarne continuamente di nuovi, non risparmiando, alla fine, nemmeno il suo
stesso figlio. È chiaro comunque che se il comportamento finale del padrone è
dettato dalla logica dell’amore: “Avranno
rispetto per mio figlio!”, il comportamento dei vignaioli è dettato ancor
più dall’ostilità e dall’odio: “Uccidiamolo
e avremo noi l’eredità”. Un ragionamento da stupidi, perché non hanno
tenuto in alcun conto l’immediata e altrettanto violenta rappresaglia del
padre, una volta messo di fronte all’uccisione del figlio.
A
questo punto Gesù, ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo presenti,
pone una domanda a risposta scontata: “Secondo
voi, che cosa farà il padrone della vigna a quei vignaioli?”. E loro ovviamente:
“li farà morire miseramente e darà in
affitto la vigna ad altri contadini”, sottoscrivendo la conseguente, logica,
condanna.
Sì,
perché è chiaro che il contenuto della parabola riguarda proprio loro, è diretto
a Israele e ai suoi capi. A noi i particolari non dicono molto, ma tutti gli
ebrei conoscevano perfettamente l’oracolo di Isaia che dice inequivocabilmente:
“La vigna del Signore degli eserciti è la
casa di Israele; gli abitanti di Giuda, la sua piantagione preferita” (Is 5,1-7). Israele era infatti
l’orgoglio, il popolo preferito, la vigna di Dio. E loro erano fieri di
esserlo! Per cui chi doveva capire, ha capito perfettamente: “I sommi sacerdoti e i farisei capirono che
parlava di loro” (Mt 21,43).
E lo capirono molto bene anche perché il testo della parabola affronta lo stesso
tema, usa le stesse parole di Isaia: “siepe, frantoio, torre”. La vigna quindi è
Israele; il padrone è Dio; i vignaioli sono i capi religiosi; i servi del
padrone, infine, sono i profeti. Tutto è chiaro.
Dio
(il padrone) ha amato il suo popolo (la vigna) ma questo ha rinnegato il suo
amore, ha ignorato i messaggi d’amore dei suoi servi (i profeti): Isaia,
Geremia, Ezechiele, e tutti i profeti, non sono stati mai ascoltati. Erano dei
messaggeri che richiamavano Israele a convertirsi, a ritornare sulla retta
strada, ma non furono ascoltati. Anzi, spesso furono uccisi o lapidati.
E il
figlio? Il figlio, è evidente, è Gesù. Dio manda ciò che ha di più caro, di più
prezioso: suo figlio. Come a dire: “Più di così, cosa posso fare per voi? Cosa
posso dirvi di più perché possiate cambiare?”. Più di così Dio non poteva fare:
tenta anche la soluzione estrema, ma tutto è inutile quando uno non vuol
capire. E sono loro stessi ad autocondannarsi: il padrone “farà morire miseramente quei malvagi e darà ad altri la vigna”. E
sarà proprio così: a Israele sarà tolto il regno di Dio e sarà dato ad altri
(ai pagani, alla Chiesa) e la pietra (Gesù) che essi hanno scartato, ucciso,
fuori da Gerusalemme (“fuori dalla vigna”) sarà invece la pietra d’angolo, la
pietra su cui poggerà l’intera nuova costruzione.
In
pratica cosa ci dice questo vangelo? Che chi è inutile, chi ha perso la sua
autenticità, la sua “caratura” originale, viene inesorabilmente “scartato”,
accantonato, superato.
Purtroppo
oggi anche la Chiesa di Cristo sta attraversando un momento difficile; per il
suo voler mettersi “al passo coi tempi”, per la sua tacita rinuncia ad essere
“una, santa, cattolica e apostolica”, sta gradualmente scomparendo dalle
nazioni “civili”, dalle nostre città, da gran parte del mondo. Inutile attribuire
la colpa a fattori esterni (consumismo, individualismo, relativismo, amoralità,
ecc.), questo non ci giustifica; il vero motivo va cercato purtroppo al suo interno,
nella perdita degli autentici valori cristiani da parte dei pastori e
dell’intero gregge.
La
storia ci insegna che quando il Vangelo di Cristo non è più vitale,
significativo, fondamentale per una comunità, questa è destinata nel tempo a
scomparire dalla scena religiosa, sociale, culturale. È stato così per Israele,
è stato così per molte comunità cristiane dei primi secoli; e sarà così anche
per molte comunità cattolico cristiane della nostra Europa, che di Cristo hanno
conservato solo la radice del nome.
Dio, il
padrone della vigna, continua a fare egregiamente anche oggi la sua parte:
pianta, circonda, scava, costruisce, affida: la sua attenzione, il suo interessamento,
il suo amore non vengono mai meno. Il Vangelo ce lo attesta chiaramente: “Vi ho
guariti, vi ho fatto resuscitare, vi ho sfamati, perdonati, illuminati; vi ho
provato e vi provo continuamente tutto il mio amore; cosa devo fare ancora?”. Sappiamo
bene quanto ha fatto il padrone della vigna, ma a noi questo non interessa: imperterriti,
continuiamo a comportarci come i vignaioli: sperimentiamo la sua bontà
nell’averci chiamati nella “vigna”, ma non vogliamo essergli riconoscenti; conosciamo
il lavoro da eseguire, ma ci rifiutiamo di farlo; ascoltiamo ogni domenica la sua
Parola, ma il nostro cuore si è inaridito, non si lascia scalfire; conosciamo i
suoi messaggi, la sua presenza discreta e insostituibile, ma la nostra mente è
chiusa in sterili discussioni neoteologiche, con lo scopo di eliminarlo, di ucciderlo
ancora una volta, perché continua a farci troppa paura.
Eppure
Dio non deve fare più nulla per il mondo, non deve dimostrare più nulla. Il
problema non è Lui, siamo noi: è il cuore degli uomini che è diventato insensibile,
pietrificato! Siamo noi che siamo allo sbando, che pretendiamo di andare avanti
con gli occhi bendati, aspirando più al consenso dei popoli, alla notorietà,
all’affermazione egoistica del nostro io, piuttosto che a lavorare fedelmente e
umilmente nella sua vigna.
Ma
così non riusciremo mai ad accorgerci delle migliaia di gesti d’amore che molte
persone continuano a compiere in suo nome nel silenzio e nell’umiltà; non potremo
mai vedere la bontà che nonostante tutto cresce intorno a noi; continueremo a non
apprezzare chi ci aiuta, chi ci sostiene; non potremo godere della bellezza del
creato, espressione dell’amore di Dio, che circonda e illumina i nostri passi ogni
santo giorno; non potremo insomma capire mai quanto sia preziosa la Vita.
Continueremo invece a recriminare, a prendercela con Lui, a lamentarci con Lui per
qualunque contrarietà, per qualunque presunta ingiustizia ci capiti nella vita.
Quello
di oggi è un vangelo che si presta molto bene ad una attenta lettura autobiografica:
la vigna è la nostra vita, è la nostra esistenza: ed è una vigna bellissima, meravigliosa!
Dio, il padrone, ce l’ha concessa in gestione gratuitamente con molta generosità.
Ci ha detto però: “Attento che la vigna, la vita, non è tua. Non essere così
stupido da pensare il contrario. È solo un dono. Lavoraci, usala bene, godi della
sua fertilità, ma soprattutto falla fruttificare. Ma ricorda: non è tua, è
mia”. E poiché di tanto in tanto si accorge che sbandiamo, che “usciamo” di
strada, dal seminato, ci manda un preciso messaggio: “Attento, così non va! Se
vivi così, muori dentro, lasci inaridire il tuo cuore, lasci soffocare la tua
anima, ecc.”. Ma noi ce ne infischiamo altamente dei suoi messaggi e
continuiamo a vivere come prima.
Ma Dio
non desiste: ci manda un altro messaggio, un altro ancora, e poi tanti altri:
gli sta troppo a cuore che la “nostra” vigna sia rigogliosa, non vuole
perderla; ma noi ce la ridiamo, ci disinteressiamo, spensieratamente. Fino a
quando, ci dice il Vangelo, arriva il momento in cui è troppo tardi: i
“vignaioli” si sono talmente rinchiusi nelle loro idee, nella loro presunzione,
nella loro cattiveria, da diventare insensibili a tutto; e a questo punto
nessuno può fare più niente per loro!
Quando
leggiamo questa parabola ci viene spontaneamente da esclamare: “Ma come hanno
fatto quegli idioti di vignaioli a non capire? Come potevano pensare di farla
franca, evitando la reazione del padrone?”. Ebbene, quei vignaioli siamo noi;
siamo noi che ci comportiamo così apertamente da stolti, da insensati, da
sprovveduti.
Dio
con noi è sempre buono: ci manda dei messaggi, degli angeli custodi (angelo,
in greco significa appunto messaggero), ci manda cioè dei consiglieri,
delle guide, dei santi, che ci indicano la via giusta, la condotta da seguire.
Dio non ci costringe, non ci forza, non ci toglie la libertà. Ci invita, ma mai
ci obbliga. Noi però dobbiamo accettarli questi messaggi, dobbiamo essere
ricettivi, dobbiamo capirli. Non esiste alcun sistema di decodifica: ogni
messaggio è unico, ognuno lo “sente” in base al suo vissuto. Qualunque cosa ci
accada, dobbiamo sempre chiederci: “Cosa mi vuol dire Dio questa volta? Cosa
devo ancora imparare?”. Solo così ogni giornata di lavoro nella nostra “vigna”
diventa fruttuoso, è per noi una lezione di vita. Fino a quando arriverà la
sera della nostra vita, continueremo a imparare, a capire, ad apprezzare i
frutti della vigna.
Non c’è
maestro più grande della Vita per chi l’ascolta: è solo “vivendo” la Vita che
impareremo a vivere. Per chi invece non ascolta, per chi non accetta questa
scuola, l’esistenza diventa un peregrinare stupido, insignificante, senza senso,
a volte estremamente doloroso. Più che un amico, la vita è un nemico da cui
difendersi. Allora non diamo la colpa a Dio; non imprechiamo contro la vita,
perché l’unica responsabile del suo fallimento è la nostra caparbia ottusità!
Amen.