giovedì 14 settembre 2017

17 Settembre 2017 – XXIV Domenica del Tempo Ordinario

«Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?».
Il Vangelo di oggi continua a proporci insegnamenti per la nostra vita “comunitaria”. Domenica scorsa ci ha dimostrato quanto sia importante in una comunità ascoltare le ragioni del proprio fratello, rapportarsi con lui; quanto sia importante aprirgli il nostro cuore e accogliere il suo. Oggi ci offre un ulteriore approfondimento del tema: uno dei modi più efficaci per esprimere l'amore, è il perdono.
A Pietro, come al solito, la teoria non basta, egli vuol saperne di più, avere certezze, vuol vederci chiaro, nero su bianco. «Quante volte devo perdonare?». Egli ha capito perfettamente che bisogna perdonare: ma quali sono i limiti di questo perdono? Egli pensa di mettersi in linea con la predicazione di Gesù, andando oltre le tre, quattro volte, previste dall’antica legge (come per es. in Amos 2,4 e Giobbe 33,29) e, per tenersi sul sicuro, propone “sette volte”. Ma la risposta di Gesù va ben oltre: rovesciando il canto di Lamech che prevedeva un crescendo di violenza scatenata dal gesto di Caino: «Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette…» (Gn 4,24), Gesù fa capire quali impensabili risorse di misericordia siano legate all’avvento del suo Regno:«Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette». In altre parole, caro Pietro, non hai scampo: devi perdonare sempre! Perché? Semplice: il perdono non è frutto di un gesto eroico che nasce dal grado di bontà del discepolo, ma è la logica conseguenza di chi si rende conto di quanto perdono, lui per primo, abbia ricevuto dal Signore... Chi si guarda un po’ dentro, e vede quanto male gli è stato perdonato, non può esimersi dal perdonare a sua volta qualunque torto. Quindi l'unica misura del perdono è perdonare sempre, senza misura e senza calcoli, perché è così che Dio fa con noi. La nuova giustizia che Gesù introduce nel Regno, infatti, non è quella che ristabilisce la parità, in base alla regola “chi sbaglia paga”; la sua è una giustizia superiore, è la giustizia propria di chi ama senza limiti. Egli sostituisce la giustizia della legge che uccide, con la sua, quella dello Spirito che dona vita.
Perdono incondizionato, dunque. Ma cos'è il perdono? È possibile il perdono? Come si giustifica? Come viverlo? Cerchiamo di chiarire un po’ questi interrogativi.
Per ciascuno di noi è una cosa naturale, istintiva, reagire alle offese degli altri e in qualche modo vendicarci, anche se si tratta di piccole cose. Se poi subiamo torti o azioni cattive più gravi, lesioni alla nostra dignità, alla salute o alla vita nostra e dei nostri cari, sentiamo non solo il bisogno di far valere le nostre ragioni giudizialmente (e fin qui può andare bene), ma soprattutto di affrontare con altrettanta durezza e cattiveria il responsabile, per fargli pagare ad ogni costo il “male” che abbiamo ricevuto. Ma è una soluzione che non paga. Perché ci fa cadere inevitabilmente in quel meccanismo in cui il male richiama altro male, la violenza (di qualunque tipo) richiama e moltiplica violenza; in questo modo non plachiamo certamente l’odio, ma lo alimentiamo facendolo crescere sempre più; inoltre l’idea della vendetta ci illude, ci corrode l’anima, inducendoci a pensare che è lei, la ritorsione, a rimettere le cose a posto; ma il risultato è ingannevole perché ci fa vivere nel tormento, con l'inferno nel cuore. Conosciamo tanti piccoli casi intorno a noi: vicini di casa che hanno litigato per un nonnulla e lasciano passare anni, decenni, senza scambiare una parola, un saluto; genitori e figli che interrompono ogni rapporto per motivi futili e banali; fedeli impegnati nella parrocchia, attivi nella pastorale e nel volontariato, che si dilaniano l’anima per soprusi o per sgarbi di “lesa maestà” inesistenti; fratelli e sorelle apertamente ostili tra loro, che al momento della pace nell’Eucaristia domenicale, invece di aprirsi all’amore e alla misericordia secondo l’insegnamento di Gesù, preferiscono fingere e mantenere immutato nel cuore tutto il loro rancore. Ciascuno rimane orgogliosamente arroccato sulle proprie posizioni, su versanti di vita diametralmente opposti. Eppure il perdono è l'unica strada, umana e cristiana, che ci assicura una vita vera, autentica, serena e felice. Vi sono poi altre situazioni ben più dolorose e strazianti, come rovinare per capriccio la vita e la serenità di una famiglia, rubando l’amore del marito o della moglie, oppure causare per gioco, per superficialità, la morte di un figlio, di una persona cara. Cosa fare allora? Come gestire queste gravi situazioni? Come continuare a vivere, dopo aver subito azioni così distruttive? Ebbene, nel perdono non ci sono eccezioni, non ci sono “distinguo”: sempre, anche in questi casi, dobbiamo perdonare. Dobbiamo farlo noi per primi, portando gli altri a fare altrettanto. Sembra impossibile, non è vero? Certo, umanamente parlando, visto dall’esterno, il perdono può sembrare un gesto eroico, irrazionale. Ma a ben vedere, non è altro che un gesto di equità, un concedere all’altro lo stesso beneficio che noi abbiamo già ricevuto da Dio in larghissima misura. Difficile da praticare, questo si. Ma Gesù ci dimostra continuamente che tutto quello che gli uomini non riescono a fare da soli, lo possono sempre fare con il Suo aiuto. Per questo dobbiamo chiedergli la forza di cui abbiamo bisogno.
Molti pensano che perdonare sia un atto riservato a chi ha molta fede, a quanti sono già avanti nel difficile cammino della perfezione. Nossignori. Il perdono è un atto che tutti possono e devono fare: un impegno forte, che deve normalizzare la nostra vita, il nostro modo di pensare, il nostro relazionarci, il nostro vivere da cristiani. Certo non è una cosa naturale, spontanea, semplice, quanto piuttosto un gesto irrazionale, contro natura, incomprensibile: esattamente come lo è l’intero messaggio evangelico di Gesù. Egli, perdonando e scagionando contro ogni logica umana i suoi torturatori, i suoi carnefici, ci ha lasciato il più sublime esempio di perdono: ecco perché le sue non sono raccomandazioni astratte, ma vita vissuta, scuola pratica che tutti possono e devono seguire.
Il cristiano è chiamato a perdonare, sempre e in ogni caso, soprattutto perché Dio lo ha sempre fatto, e continua a farlo con lui. Inoltre il vangelo di oggi, con la sproporzione del debito dei due servi, (migliaia e migliaia di talenti contro pochi denari) ci ricorda proprio l’enorme divario che esiste fra il perdono di Dio e il nostro. Ecco: noi siamo chiamati a perdonare perché siamo dei “perdonati”, perché noi per primi abbiamo fatto e facciamo esperienza continua del gratuito perdono di Dio, non certo perché siamo più buoni, più cristiani degli altri. Non dobbiamo perdonare per dimostrare qualcosa a qualcuno; ma solo perché anche noi abbiamo bisogno assoluto di perdono, e perché portare rancore, fa più male a noi che agli altri. Sicuramente il nostro perdonare, come quello di Gesù, rischierà di essere ridicolizzato dalla gente, forse ci verrà rinfacciato come segno di debolezza, di meschinità. Poco importa: chi ha incontrato sulla propria strada il grande perdono di Dio, non può sottrarsi dal guardare sempre suo fratello con amore e comprensione.
È in questo senso che dobbiamo leggere il famoso detto di Paolo: “dove abbonda il peccato, sovrabbonda la grazia!” (Rm 5,20). Il perdono che, da peccatori perdonati, accordiamo ai fratelli, diventa in noi il “respiro di Dio”, diventa cioè quello Spirito divino che alimenta la nostra vita. Una comunità è “osservante”, è “santa”, non perché i suoi membri sono perfetti cristiani, assidui praticanti che non sbagliano mai e non mancano di rispetto a nessuno; ma perché tutti, consapevoli di essere loro stessi dei “perdonati”, perdonano immediatamente a loro volta gli altri, ricambiando qualunque offesa con l’amore. In questo modo, e può sembrare assurdo, il male reciproco che troppo spesso ci facciamo, non costituisce un elemento dirompente di divisione ma, nel reciproco perdono, diventa il collante che ci unisce saldamente in Cristo.
Anche a noi succede di essere dei giudici giusti ma spietati, onesti ma scorretti! Non basta infatti praticare la giustizia umana per essere uomini perfetti, e men che meno per essere figli di Dio. Se capiamo che il perdono guarisce, matura e fortifica soprattutto chi lo esercita, cioè noi, e non coloro che lo ricevono, allora capiremo che perdonare significa fare soprattutto il nostro interesse!
E concludo: Gesù suggella il suo insegnamento, proponendoci una pietà, una misericordia, un perdono, razionalmente incomprensibili quanto si vuole, ma di una coerenza estremamente semplice: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”
Due sono dunque i motivi per cui dobbiamo avere pietà e perdonare: per conquistare il cuore di Dio e per introdurre nell’apparente equilibrio di questo nostro mondo garantista, il “disordine divino”, scompaginante, del suo messaggio d’amore. E dobbiamo farlo col cuore. È difficilissimo perdonare veramente di cuore: comporta prima di tutto un profondo atto di fede con cui dare fiducia assoluta all’altro, senza tenere conto del passato, ma guardando solo al futuro. Esattamente come Dio fa con noi. Dio infatti ci perdona per un suo preciso atto di fede, Egli crede in noi, si fida di noi! Perdonandoci, Egli investe su di noi, conta sul nostro cammino di perfezione. E allora, come non rispondere positivamente al suo invito di essere operatori di bontà?. Amen.



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