venerdì 29 settembre 2017

1 Ottobre 2017 – XXVI Domenica del Tempo Ordinario

In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli» (Mt 21,28-32).

La tensione e la conflittualità tra Gesù e i capi del popolo (scribi, farisei, anziani, sommi sacerdoti), in quest’ultima parte del vangelo di Matteo, è altissima. Gesù, scagliandosi contro il loro perbenismo e la loro ipocrisia, dice cose tremende, inaccettabili per della gente che faceva parte del sinedrio, che si considerava pura, religiosa, pia, esemplare, e quindi intoccabile.
Tacere, ignorare, soprassedere, non rientra nello stile di Gesù: quello che non va, che non è lecito, deve essere rimosso: solo così si può ricominciare su basi corrette.
È dunque questo il contesto che offre lo spunto alla parabola di oggi.
Un racconto semplice, ma ricco come al solito di insegnamenti: c’è un padre con due figli ai quali impartisce lo stesso ordine: “Va’ a lavorare nella vigna”. Il primo, gli dice subito “Sì”, ma non ci va. È un figlio ossequioso, educato, e con molto fair play: risponde subito al padre affermativamente (mai contraddirlo!), ma poi, come se nulla fosse, fa di testa sua e non ci va.
Il secondo, invece, in maniera maleducata e insolente gli risponde: “No!”; ma poi, ripensandoci, si pente, cambia idea (metamelétheis) e obbedisce.
È chiaro che nessuno dei due ha voglia di andare a lavorare. Ma mentre il primo, da figlio educato, attento alla “forma”, risponde in maniera contraria a quanto realmente pensa in cuor suo (il suo “sì” esteriore equivale ad un “no” interiore), il secondo invece, incurante dei sentimenti del padre, è coerente con se stesso, e gli dice senza tanti preamboli quello che di getto gli esce fuori: “nossignore!”; ma subito dopo si rende conto di aver sbagliato, capisce che il suo dovere è di ubbidire al padre, quindi torna sulla sua decisione, e il suo “no” diventa un “sì”.
“Chi dunque ha compiuto la volontà del padre?”, chiede Gesù. E tutti dicono: “L’ultimo”.
E non può che essere così. Se invece giudichiamo i due comportamenti fermandoci in superficie, al solo comportamento esteriore, alle belle parole, alla gentilezza, il primo merita sicuramente una valutazione più che positiva, contrariamente al secondo che, grazie ai suoi modi sgarbati, maleducati, altezzosi, può ottenere solo una netta disapprovazione. Ed è proprio in tale prospettiva che appare subito evidente quello che Gesù vuol dirci con questa parabola: non sono le buone intenzioni, i modi aggraziati, le belle parole, le apparenze esteriori che contano: quello che conta è il risultato, sono i fatti, è quello che si fa nella vita reale di ogni giorno. Il riferimento al modo di fare dei sommi sacerdoti, degli anziani del popolo, degli scribi e dei farisei, che vendevano tutti soltanto fumo, apparenza, esteriorità, senza alcun riscontro interiore, è forte e chiaro.
Di loro infatti aggiunge:“I peccatori pubblici (pubblicani) e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”. Inaudito, sbalorditivo, per quel tempo, riferirsi agli operatori del sacro in questi termini: sarebbe come se oggi Gesù dicesse ai cardinali, ai vescovi o ai preti: “Le prostitute sono meglio di voi!” (anche se in alcuni casi direbbe la verità!).
Ma Gesù non ce l’ha a priori con i religiosi, con i consacrati, con gli addetti al sacro. Semplicemente non fa sconti a nessuno. Ma perché proprio le prostitute passeranno loro avanti? Non poteva dire gli assassini, i ladri, i delinquenti ecc.? Semplicemente perché qualche giorno prima era rimasto molto colpito nel constatare il sincero pentimento di una di loro. Lo spunto infatti gli viene suggerito dall’episodio, riportato da Luca (Lc 7,36-50), in cui “una di quelle”, una prostituta, lo va a trovare. È chiaro che con la sua vita, con la sua condotta di pubblica peccatrice, lei dimostra di non tenere in alcun conto gli insegnamenti e la persona di Gesù. Il suo è un “no” evidente. Eppure nel comportamento riservatogli in quell’occasione, Egli legge nel suo cuore un chiarissimo, inconfondibile “sì”, un’apertura a Dio, un pentimento sincero, una ferma decisione di redimersi: sappiamo che Gesù stava mangiando a casa di Simone, un fariseo, uno dei puri per definizione; quando improvvisamente questa donna, apertamente impura, entra e si butta ai piedi di Gesù: li lava con le lacrime e li asciuga con i suoi capelli. Certo, per chi guarda le apparenze, i suoi sono gesti molto accattivanti, sensuali, quasi lascivi: ma la donna usa queste sue arti del mestiere per dimostrare qualcosa di più autentico, di più profondo, il suo pentimento, il suo amore. Quello che esteriormente appariva sacrilego, un invito provocante a peccare, grazie alla sua trasformazione interiore, al suo sincero ravvedimento, diventa fede e riconoscenza per Gesù. E poiché Egli non guarda all’apparenza esteriore, poiché guarda “dentro”, guarda il cuore, le dirà: “La tua fede (=ciò che hai fatto) ti ha salvato”.
Per i puri, gli impeccabili, i religiosi del tempio, la fede era ciò che l’uomo “fa” per Dio: per Gesù, invece, la fede è ciò che Dio “fa” per l’uomo. Così, Gesù non vede una prostituta; vede una donna, che ha bisogno d’amore, di accettazione e di perdono. E lui glielo dà. Gesù vede una donna che ama come può, ma ama; una donna che ha un cuore che batte, che è viva. E questo gli basta.
Nei farisei e nei religiosi di allora Egli vede invece molto risentimento, falsità, comportamenti malvagi. Preferisce i pubblicani e le prostitute: non perché approvi ciò che fanno, ma perché questa è gente che faticosamente, umilmente, con tanta buona volontà, prova a redimersi. È gente che si butta ai suoi piedi, che piange, che si dispera; gente che non teme di mostrarsi per quello che è, che non si vergogna, che non nasconde dietro una bella facciata le proprie miserie, i propri disagi, le proprie ferite. Gente che si accorge di aver sbagliato, gente che cambia vita. Gente dal cuore grande, che arriva a fare follie: perché chi ama sul serio, chi è veramente innamorato, arriva a fare anche l’impossibile.
Sono i gesti dell’amore: folli per chi ha il cuore duro, rigido, insensibile, ma normali gesti di carità, di misericordia, di vita, per chi dice “sì” a Dio.
Un’ultima cosa: abbiamo mai fatto caso come ogni qualvolta Gesù va in chiesa (in sinagoga) nasca sempre un problema? Anzi, che dopo quel giorno in cui, pieno di rabbia, ha buttato tutto all’aria, non ci sia più andato? Perché? Perché il grande pericolo di ogni chiesa, in ogni tempo, ieri come oggi, è quello di trasmettere solo prediche, belle parole, regole e comportamenti esteriori, tralasciando la cosa più importante: quella di trasmettere, di far sperimentare, di far vivere, di far “sentire” Dio nei cuori di ciascuno. Le parole di una predica, di un’omelia, ancorché perfetta, si fermano all’esterno: ma all’esterno non c’è vita. Rimangono vuote, sterili, gettate al vento. Non portano ad amare Dio nel profondo del cuore, nell’intimo dell’anima, dove palpita la vita; eppure quello è il suo posto, il posto che Lui ama: Lui è là dove nasce il dolore, dove sgorga la gioia; là dove la gente si commuove, dove chiede scusa, dove si mostra per quello che è, senza vergognarsi e senza nascondersi; là dove la gente non ha un’immagine esteriore da difendere, una maschera da esibire. Gesù sta dove nasce e cresce la vita, perché Lui stesso è Vita, e non può che stare lì. Amen.



Nessun commento: