«Non temete: ecco, vi annuncio
una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è
nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,1-14).
Tutti noi,
almeno per un istante, ogni anno, sentiamo dentro di noi la nostalgia del
Natale, quasi un richiamo lontano. Come mai? Perché il Natale è la festa della
gioia. Lo dice il vangelo: “Ecco vi
annuncio una grande gioia che sarà di tutto il popolo” (Lc 2,10). Un
Bambino, la nascita di un bebè, ci ricollega naturalmente alla gioia: e quando
nasce un bimbo la felicità esplode, si diffonde, è contagiosa. Una nuova
nascita è sempre speranza, nuova possibilità, significa ripartire. È un po’
come dire: “Dove io non sono riuscito... tu ce la farai!”.
Il
Natale richiama soprattutto la gioia di quando eravamo bambini. Perché la gioia
non è un’emozione, è uno stato naturale, è qualcosa che avevamo ancor prima di
ogni emozione.
Forse
noi ce ne siamo dimenticati, forse non ci crediamo, ma ci fu un tempo in cui
eravamo felici, un tempo in cui l’Eden lo vivevamo per davvero. Poi è arrivata
la tristezza, il dolore, la paura, ma prima di tutto questo c’era la gioia. Le
emozioni si imparano ma la gioia è qualcosa di innato, che tutti abbiamo
dentro. Allora dirci Buon Natale è ricordarci che la gioia è già in noi.
In
questo giorno così particolare, leggiamo sempre il vangelo di Luca: la storia
di Maria e di Giuseppe che non trovano posto nelle locande e che nessuno vuole;
gli angeli che cantano nella volta celeste: “Gloria
a Dio e pace in terra”; i pastori, la mangiatoia.
Un
racconto accattivante, intimo, commovente; ma, sarà capitato anche a voi di
chiedervi: è storia vera o una pia ricostruzione fatta dalla devozione dei
primi cristiani?
Alcuni
studiosi, tra cui molto clero “istruito”, ritengono il 25 dicembre una data
farlocca, contestando la veridicità del racconto lucano sia sul periodo
invernale della nascita che sulla conseguente presenza dei pastori nelle
vicinanze; la verità, secondo loro, è che la festa del Natale il giorno 25
dicembre si sarebbe diffusa solo in data molto tarda, imitando e assorbendo la
festa pagana in onore del Dio Sole (il Cristo che nasce paragonato al Sole che
sorge nel mondo).
Personalmente
non condivido entrambe le argomentazioni. Non voglio qui tediarvi con
ragionamenti complessi, ma è bene sapere come, secondo eminenti studiosi, le
cose siano invece concordabili in tutto con i racconti di Luca e Matteo, gli
unici che trattano l’infanzia di Gesù.
Prima
di tutto il periodo invernale e la data del 25 dicembre. Per dimostrare la loro
attendibilità dobbiamo attenerci ai fatti: nel 1947, in località Qumran,
in alcune grotte prospicienti il Mar Morto, furono rinvenuti, chiusi in giare,
manoscritti e papiri – i famosi Rotoli del Mar Morto – riportanti
argomenti biblico/teologico/liturgici. Tra questi documenti figura un “Libro
dei Giubilei” (Masḥafa
Kufālē),
redatto nel II sec. a. C., in cui (come leggiamo
anche nella Bibbia 1Cr 24,10) è
riportata la successione delle 24 famiglie o classi sacerdotali che dovevano prestare
servizio al tempio, da un sabato all’altro.
Ebbene:
questo rotolo ci dice che la classe di Abia – quella a cui apparteneva Zaccaria
padre di Giovanni il Battista – era ottava nell’ordine di turnazione e svolgeva
il servizio in due periodi, corrispondenti ai nostri 24-30 marzo e 24-30
settembre. Ora, i primi padri della Chiesa – Ippolito, Giustino, Ireneo –
testimoniano che i cristiani erano soliti, già dal II sec., celebrare il Natale
di Cristo il 25 dicembre: si tratta di attestazioni piuttosto autorevoli, di
accertata autenticità, se si pensa che, per circa 100 anni, la successione
apostolica e gerarchica della Chiesa, e la memoria di essa, fu tenuta dai
diretti discepoli di Gesù e, via via, dai loro familiari e conoscenti. Ciò
significa che il 25 dicembre era comunemente accettato come vera data del
natale di Cristo.
Ora,
il “Libro dei Giubilei” suddetto,
conferma in maniera netta e indiscutibile questa tradizione della
Chiesa paleocristiana. Come? Facciamo due conti: Zaccaria (Lc 1,1-25) entra
nel Tempio per il turno a lui spettante il 24 settembre rimanendo sino al 30
del mese. In questo periodo, nel giorno della cerimonia della incensazione,
riceve dall’arcangelo Gabriele l’annuncio del concepimento di Elisabetta e del
nome del nascituro: Giovanni. Dopo 9 mesi, il 24 giugno, nasce Giovanni il
Battista, evento che la Chiesa primitiva celebrava già in questa data. Un elemento che ci consente di giungere ad altre conclusioni. E cioè: Maria di Nazareth (Lc.
1,26-38) apprende dall’arcangelo Gabriele la sua prossima divina maternità
e, contemporaneamente, che sua cugina, l’anziana Elisabetta, è già nel sesto
mese di gravidanza: possiamo pertanto risalire al 24/25 marzo come data del divino
concepimento di Gesù. Maria, appena incinta (25 marzo), corre in visita della
congiunta e l’assiste per tre mesi, sino alla nascita di Giovanni (24 giugno).
Tre mesi da Elisabetta e altri sei a Nazareth, danno il 25 dicembre quale
compimento della divina gestazione e, quindi, giorno della nascita di Gesù.
Due
sono le obiezioni che vengono opposte a questo ragionamento: in particolare
quelle riferite ai pastori e al periodo di servizio di Zaccaria. Vediamo la
prima. Si ritiene non credibile, oltre che impossibile che, nel mese di
dicembre, a Betlemme, paese posto ad 800 mt. d’altezza, con un clima notturno
estremamente rigido, pastori e greggi stiano all’addiaccio su quegli altipiani:
quindi tale circostanza è da configurare, per buon senso, soltanto nei mesi
estivi.
La
cosa è, invece, spiegabilissima e ragionevole in dicembre. Il Talmud,
uno dei più importanti testi del giudaismo rabbinico, redatto tra il II e il
VII sec., nel trattato Makkoth 32b,
enumera ben 613 precetti (mitzvòt) tra i quali riporta anche antichi
precetti e divieti mosaici. Tra questi vi sono quelli che contemplano il tema
della “purità” degli animali. In particolare, per quanto concerne le
pecore, le classifica in tre categorie di purezza: stabilisce pertanto che le pecore
bianche, totalmente pure, al ritorno dai pascoli estivi, possono stazionare
all’interno della città o accanto alle mura, sotto tettoie e negli stazzi, cosa
invece proibita per le pecore pezzate (seconda categoria), e per quelle interamente maculate (terza categoria),
ritenute impure.
Ciò
spiega come i pastori (Lc.2,8-12) che accorsero
all’invito degli angeli fossero all’interno della località, al riparo in
capanne insieme col gregge riunito negli stazzi protetti da tettoie di
frasche e paglia. A smontare l’obiezione che non si trattasse di una notte
invernale sta anche l’indicazione di Luca che ci dice come i pastori stessero
facendo dei turni a guardia delle greggi. Poiché nel solstizio estivo le notti,
alla latitudine di Betlemme, sono molto corte e calde, non si vede la necessità
che i guardiani si dessero il cambio, cosa invece credibile se si pensa alla
lunghezza e al freddo delle notti nel solstizio invernale, per quanto
stessero al riparo.
Tutto
ciò conferma inoltre che il servizio di Zaccaria non poteva essere espletato nel
periodo 24-30 marzo, che avrebbe datato il Natale al 25 giugno, bensì, come
abbiamo detto, il 24-30 settembre, con il Natale al 25 dicembre. Appare logico
che qualora non fosse stato così, la Chiesa non avrebbe avuto la minima
difficoltà, nel solco della sua tradizione, a celebrare il Natale non il 25
dicembre ma il 25 giugno. Noi sappiamo però che la Tradizione ha basi storiche
molto solide, basi che spesso superano la comprensione della ragione stessa per
via dell’aspetto trascendente dei suoi contenuti.
L’altra
questione avallata dai soliti critici è quella della fusione della festa del
Natale cristiano con la famosa festa del “Sol invictus”, il Sole vittorioso, festeggiata dai
pagani nel solstizio d’inverno, il 25 dicembre appunto.
Le
cose non stanno così, per i seguenti motivi: prima di tutto perché la Chiesa
non ha mai compiuto operazioni sincretistiche con ricorrenze pagane, semmai ha fatto
sempre opera di netta distinzione con le stesse; secondo: perché i fatti ci
dicono che non fu la Chiesa, ma Roma, con i suoi imperatori, che tentò di
occupare il 25 dicembre, apice del solstizio invernale, per cancellare ed
oscurare la festività cristiana di molto antecedente. È sufficiente analizzare la
storia: il culto del Dio Sole è stato introdotto a Roma dall’imperatore Eliogabalo
(dal 218 al 222 d.C.), di ritorno con le sue legioni dall’oriente. Fu
ufficializzato però solo più tardi, dall’imperatore Aureliano (dal 270 al 275),
che consacrò solennemente un tempio dedicato al culto del “Sole che nasce” il 25 dicembre del 274, l’anno che
precede la sua morte. Fu così che la festa pagana prese il titolo, poi passato
alla storia, di “Sol invictus” dal
giorno della “nascita”, o della risalita, del Sole; sappiamo però che le cerimonie cultuali presero piede a
Roma soltanto sul finire del III secolo, tant’è che durante il regno dell’imperatore
Licinio (dal 308 al 324), la festa alla divinità solare, a Roma come altrove, veniva
celebrata ancora il 19 e non il 25 dicembre: era insomma una festa con data
variabile nell’arco dell’anno, spesso comunque compresa nel periodo tra il 19 e
il 22 dicembre. Pertanto, non fu il Natale di Gesù, la cui data era già fissata
al 25 dicembre - come attesta, lo dicemmo sopra, Ippolito (170 -235) e come
dimostra la “Depositio Martyrum” (l’antico calendario dei martiri),
composta intorno al 336 - ad occupare il giorno 25 dicembre, incorporando la
festività mitraica, ma furono gli imperatori che, come Giuliano, nell’intento
di restaurare o proteggere il culto del Sole, la nuova divinità romana, provarono a soffocare
la religione cristiana con la sua più importante manifestazione.
Tutto
questo, e mi perdonerete, per dire che tutte le fonti concordano nell’indicare
la nascita di Gesù il 25 di dicembre: oggi!
E
allora: Buon Natale a tutti voi. Buon Natale a voi, ai vostri cuori e a tutte
le persone della vostra famiglia. Per il mondo intero oggi è Natale: auguri,
baci, abbracci, saluti, pranzi, panettoni, regali, sorrisi. Bene! Se il Natale
ci aiuta a far festa, bene.
Ma
attenzione: non perdiamo di vista il centro di questa festa. Che non ci succeda
di scambiare il Natale di Gesù con tutto questo. Tutto questo è contorno: ma il
regalo vero, il Natale, è un’altra cosa.
Cosa
ci dice allora il Natale? Cosa ci dice questo vangelo per noi oggi?
Una cosa
semplicissima ma che se la vivessimo sul serio, la nostra vita cambierebbe: qualunque
cosa abbiamo fatto (o non fatto), e sottolineo qualunque, Dio è venuto e nato
per amarci. Sì, Dio ci ama!”.
“Mamma,
chi è Dio?”, chiede un bimbo alla mamma. Come si fa a spiegare ad un bambino chi
è Dio? La mamma, in difficoltà, lo prende fra le braccia, lo stringe forte al
suo cuore, e gli chiede: “Ora cosa senti?”. “Sento che mi ami, mamma”. “Bene: questo
è Dio, figlio mio!”.
Per
Dio noi siamo tutti figli unici, amati, cercati, desiderati, voluti. Se c’è una
cosa di cui mai, mai, mai, dobbiamo dubitare è dell’amore di Dio. Perché Dio è
venuto per questo.
Noi
siamo come i bambini: abbiamo bisogno di aiuto, perché non possiamo farcela da
soli; abbiamo bisogno di coccole, di amore, di tenerezza, di carezze; abbiamo
bisogno di piangere quando siamo tristi. Come i bambini, abbiamo bisogno di
crescere, di non pensare di essere già grandi o arrivati, abbiamo bisogno di
lasciarci andare, di ridere a crepapelle, di gioire e di star bene; abbiamo
bisogno di dire a chi amiamo quanto lo amiamo, e di dirglielo con tutta
l’intensità che sentiamo nel nostro cuore. Come i bambini, abbiamo bisogno di
sognare, di vederci in grande, di puntare a cose importanti; abbiamo bisogno di
presenza, di attenzioni, di essere rassicurati, protetti, abbracciati, consolati.
Dio stesso
si è fatto bambino, debole, bisognoso, per farci accettare di essere anche noi
deboli, vulnerabili, bisognosi di Lui.
Allora
il nostro Natale quest’anno sia così: fermiamoci un istante fuori dal chiasso
festaiolo di questo mondo, chiudiamo gli occhi per sentire la sua presenza, per
ascoltare la sua voce: perché Lui c’è. Qualunque cosa succeda fuori di noi,
qualunque tempesta o uragano ci investa, qualunque cattiveria ci ferisca,
qualunque evento contrario si abbatta su di coi, noi sappiamo che Lui dentro di
noi c’è sempre. Lui è di casa: e per noi questo vuol dire sicurezza, vuol dire
un buon Natale oggi, domani, dopodomani, sempre. Perché ogni giorno, insieme a
Lui, sarà per noi un magnifico Natale. Amen.