giovedì 22 dicembre 2016

25 Dicembre 2016 – Natale del Signore Gesù Cristo

«Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,1-14).

Tutti noi, almeno per un istante, ogni anno, sentiamo dentro di noi la nostalgia del Natale, quasi un richiamo lontano. Come mai? Perché il Natale è la festa della gioia. Lo dice il vangelo: “Ecco vi annuncio una grande gioia che sarà di tutto il popolo” (Lc 2,10). Un Bambino, la nascita di un bebè, ci ricollega naturalmente alla gioia: e quando nasce un bimbo la felicità esplode, si diffonde, è contagiosa. Una nuova nascita è sempre speranza, nuova possibilità, significa ripartire. È un po’ come dire: “Dove io non sono riuscito... tu ce la farai!”.
Il Natale richiama soprattutto la gioia di quando eravamo bambini. Perché la gioia non è un’emozione, è uno stato naturale, è qualcosa che avevamo ancor prima di ogni emozione.
Forse noi ce ne siamo dimenticati, forse non ci crediamo, ma ci fu un tempo in cui eravamo felici, un tempo in cui l’Eden lo vivevamo per davvero. Poi è arrivata la tristezza, il dolore, la paura, ma prima di tutto questo c’era la gioia. Le emozioni si imparano ma la gioia è qualcosa di innato, che tutti abbiamo dentro. Allora dirci Buon Natale è ricordarci che la gioia è già in noi.
In questo giorno così particolare, leggiamo sempre il vangelo di Luca: la storia di Maria e di Giuseppe che non trovano posto nelle locande e che nessuno vuole; gli angeli che cantano nella volta celeste: “Gloria a Dio e pace in terra”; i pastori, la mangiatoia.
Un racconto accattivante, intimo, commovente; ma, sarà capitato anche a voi di chiedervi: è storia vera o una pia ricostruzione fatta dalla devozione dei primi cristiani?
Alcuni studiosi, tra cui molto clero “istruito”, ritengono il 25 dicembre una data farlocca, contestando la veridicità del racconto lucano sia sul periodo invernale della nascita che sulla conseguente presenza dei pastori nelle vicinanze; la verità, secondo loro, è che la festa del Natale il giorno 25 dicembre si sarebbe diffusa solo in data molto tarda, imitando e assorbendo la festa pagana in onore del Dio Sole (il Cristo che nasce paragonato al Sole che sorge nel mondo).
Personalmente non condivido entrambe le argomentazioni. Non voglio qui tediarvi con ragionamenti complessi, ma è bene sapere come, secondo eminenti studiosi, le cose siano invece concordabili in tutto con i racconti di Luca e Matteo, gli unici che trattano l’infanzia di Gesù.
Prima di tutto il periodo invernale e la data del 25 dicembre. Per dimostrare la loro attendibilità dobbiamo attenerci ai fatti: nel 1947, in località Qumran, in alcune grotte prospicienti il Mar Morto, furono rinvenuti, chiusi in giare, manoscritti e papiri – i famosi Rotoli del Mar Morto – riportanti argomenti biblico/teologico/liturgici. Tra questi documenti figura un “Libro dei Giubilei” (Masafa Kufālē), redatto nel II sec. a. C., in cui (come leggiamo anche nella Bibbia 1Cr 24,10) è riportata la successione delle 24 famiglie o classi sacerdotali che dovevano prestare servizio al tempio, da un sabato all’altro.
Ebbene: questo rotolo ci dice che la classe di Abia – quella a cui apparteneva Zaccaria padre di Giovanni il Battista – era ottava nell’ordine di turnazione e svolgeva il servizio in due periodi, corrispondenti ai nostri 24-30 marzo e 24-30 settembre. Ora, i primi padri della Chiesa – Ippolito, Giustino, Ireneo – testimoniano che i cristiani erano soliti, già dal II sec., celebrare il Natale di Cristo il 25 dicembre: si tratta di attestazioni piuttosto autorevoli, di accertata autenticità, se si pensa che, per circa 100 anni, la successione apostolica e gerarchica della Chiesa, e la memoria di essa, fu tenuta dai diretti discepoli di Gesù e, via via, dai loro familiari e conoscenti. Ciò significa che il 25 dicembre era comunemente accettato come vera data del natale di Cristo.
Ora, il “Libro dei Giubilei” suddetto, conferma in maniera netta e indiscutibile questa tradizione della Chiesa paleocristiana. Come? Facciamo due conti: Zaccaria (Lc 1,1-25) entra nel Tempio per il turno a lui spettante il 24 settembre rimanendo sino al 30 del mese. In questo periodo, nel giorno della cerimonia della incensazione, riceve dall’arcangelo Gabriele l’annuncio del concepimento di Elisabetta e del nome del nascituro: Giovanni. Dopo 9 mesi, il 24 giugno, nasce Giovanni il Battista, evento che la Chiesa primitiva celebrava già in questa data. Un elemento che ci consente di giungere ad altre conclusioni. E cioè: Maria di Nazareth (Lc. 1,26-38) apprende dall’arcangelo Gabriele la sua prossima divina maternità e, contemporaneamente, che sua cugina, l’anziana Elisabetta, è già nel sesto mese di gravidanza: possiamo pertanto risalire al 24/25 marzo come data del divino concepimento di Gesù. Maria, appena incinta (25 marzo), corre in visita della congiunta e l’assiste per tre mesi, sino alla nascita di Giovanni (24 giugno). Tre mesi da Elisabetta e altri sei a Nazareth, danno il 25 dicembre quale compimento della divina gestazione e, quindi, giorno della nascita di Gesù.
Due sono le obiezioni che vengono opposte a questo ragionamento: in particolare quelle riferite ai pastori e al periodo di servizio di Zaccaria. Vediamo la prima. Si ritiene non credibile, oltre che impossibile che, nel mese di dicembre, a Betlemme, paese posto ad 800 mt. d’altezza, con un clima notturno estremamente rigido, pastori e greggi stiano all’addiaccio su quegli altipiani: quindi tale circostanza è da configurare, per buon senso, soltanto nei mesi estivi.
La cosa è, invece, spiegabilissima e ragionevole in dicembre. Il Talmud, uno dei più importanti testi del giudaismo rabbinico, redatto tra il II e il VII sec., nel trattato Makkoth 32b, enumera ben 613 precetti (mitzvòt) tra i quali riporta anche antichi precetti e divieti mosaici. Tra questi vi sono quelli che contemplano il tema della “purità” degli animali. In particolare, per quanto concerne le pecore, le classifica in tre categorie di purezza: stabilisce pertanto che le pecore bianche, totalmente pure, al ritorno dai pascoli estivi, possono stazionare all’interno della città o accanto alle mura, sotto tettoie e negli stazzi, cosa invece proibita per le pecore pezzate (seconda categoria), e per quelle interamente maculate (terza categoria), ritenute impure.
Ciò spiega come i pastori (Lc.2,8-12) che accorsero all’invito degli angeli fossero all’interno della località, al riparo in capanne insieme col gregge riunito negli stazzi protetti da tettoie di frasche e paglia. A smontare l’obiezione che non si trattasse di una notte invernale sta anche l’indicazione di Luca che ci dice come i pastori stessero facendo dei turni a guardia delle greggi. Poiché nel solstizio estivo le notti, alla latitudine di Betlemme, sono molto corte e calde, non si vede la necessità che i guardiani si dessero il cambio, cosa invece credibile se si pensa alla lunghezza e al freddo delle notti nel solstizio invernale, per quanto stessero al riparo.
Tutto ciò conferma inoltre che il servizio di Zaccaria non poteva essere espletato nel periodo 24-30 marzo, che avrebbe datato il Natale al 25 giugno, bensì, come abbiamo detto, il 24-30 settembre, con il Natale al 25 dicembre. Appare logico che qualora non fosse stato così, la Chiesa non avrebbe avuto la minima difficoltà, nel solco della sua tradizione, a celebrare il Natale non il 25 dicembre ma il 25 giugno. Noi sappiamo però che la Tradizione ha basi storiche molto solide, basi che spesso superano la comprensione della ragione stessa per via dell’aspetto trascendente dei suoi contenuti.
L’altra questione avallata dai soliti critici è quella della fusione della festa del Natale cristiano con la famosa festa del “Sol invictus”, il Sole vittorioso, festeggiata dai pagani nel solstizio d’inverno, il 25 dicembre appunto.
Le cose non stanno così, per i seguenti motivi: prima di tutto perché la Chiesa non ha mai compiuto operazioni sincretistiche con ricorrenze pagane, semmai ha fatto sempre opera di netta distinzione con le stesse; secondo: perché i fatti ci dicono che non fu la Chiesa, ma Roma, con i suoi imperatori, che tentò di occupare il 25 dicembre, apice del solstizio invernale, per cancellare ed oscurare la festività cristiana di molto antecedente. È sufficiente analizzare la storia: il culto del Dio Sole è stato introdotto a Roma dall’imperatore Eliogabalo (dal 218 al 222 d.C.), di ritorno con le sue legioni dall’oriente. Fu ufficializzato però solo più tardi, dall’imperatore Aureliano (dal 270 al 275), che consacrò solennemente un tempio dedicato al culto del “Sole che nasce” il 25 dicembre del 274, l’anno che precede la sua morte. Fu così che la festa pagana prese il titolo, poi passato alla storia, di “Sol invictus” dal giorno della “nascita”, o della risalita, del Sole; sappiamo però che le cerimonie cultuali presero piede a Roma soltanto sul finire del III secolo, tant’è che durante il regno dell’imperatore Licinio (dal 308 al 324), la festa alla divinità solare, a Roma come altrove, veniva celebrata ancora il 19 e non il 25 dicembre: era insomma una festa con data variabile nell’arco dell’anno, spesso comunque compresa nel periodo tra il 19 e il 22 dicembre. Pertanto, non fu il Natale di Gesù, la cui data era già fissata al 25 dicembre - come attesta, lo dicemmo sopra, Ippolito (170 -235) e come dimostra la “Depositio Martyrum” (l’antico calendario dei martiri), composta intorno al 336 - ad occupare il giorno 25 dicembre, incorporando la festività mitraica, ma furono gli imperatori che, come Giuliano, nell’intento di restaurare o proteggere il culto del Sole, la nuova divinità romana, provarono a soffocare la religione cristiana con la sua più importante manifestazione.
Tutto questo, e mi perdonerete, per dire che tutte le fonti concordano nell’indicare la nascita di Gesù il 25 di dicembre: oggi!
E allora: Buon Natale a tutti voi. Buon Natale a voi, ai vostri cuori e a tutte le persone della vostra famiglia. Per il mondo intero oggi è Natale: auguri, baci, abbracci, saluti, pranzi, panettoni, regali, sorrisi. Bene! Se il Natale ci aiuta a far festa, bene.
Ma attenzione: non perdiamo di vista il centro di questa festa. Che non ci succeda di scambiare il Natale di Gesù con tutto questo. Tutto questo è contorno: ma il regalo vero, il Natale, è un’altra cosa.
Cosa ci dice allora il Natale? Cosa ci dice questo vangelo per noi oggi?
Una cosa semplicissima ma che se la vivessimo sul serio, la nostra vita cambierebbe: qualunque cosa abbiamo fatto (o non fatto), e sottolineo qualunque, Dio è venuto e nato per amarci. Sì, Dio ci ama!”.
“Mamma, chi è Dio?”, chiede un bimbo alla mamma. Come si fa a spiegare ad un bambino chi è Dio? La mamma, in difficoltà, lo prende fra le braccia, lo stringe forte al suo cuore, e gli chiede: “Ora cosa senti?”. “Sento che mi ami, mamma”. “Bene: questo è Dio, figlio mio!”.
Per Dio noi siamo tutti figli unici, amati, cercati, desiderati, voluti. Se c’è una cosa di cui mai, mai, mai, dobbiamo dubitare è dell’amore di Dio. Perché Dio è venuto per questo.
Noi siamo come i bambini: abbiamo bisogno di aiuto, perché non possiamo farcela da soli; abbiamo bisogno di coccole, di amore, di tenerezza, di carezze; abbiamo bisogno di piangere quando siamo tristi. Come i bambini, abbiamo bisogno di crescere, di non pensare di essere già grandi o arrivati, abbiamo bisogno di lasciarci andare, di ridere a crepapelle, di gioire e di star bene; abbiamo bisogno di dire a chi amiamo quanto lo amiamo, e di dirglielo con tutta l’intensità che sentiamo nel nostro cuore. Come i bambini, abbiamo bisogno di sognare, di vederci in grande, di puntare a cose importanti; abbiamo bisogno di presenza, di attenzioni, di essere rassicurati, protetti, abbracciati, consolati.
Dio stesso si è fatto bambino, debole, bisognoso, per farci accettare di essere anche noi deboli, vulnerabili, bisognosi di Lui.
Allora il nostro Natale quest’anno sia così: fermiamoci un istante fuori dal chiasso festaiolo di questo mondo, chiudiamo gli occhi per sentire la sua presenza, per ascoltare la sua voce: perché Lui c’è. Qualunque cosa succeda fuori di noi, qualunque tempesta o uragano ci investa, qualunque cattiveria ci ferisca, qualunque evento contrario si abbatta su di coi, noi sappiamo che Lui dentro di noi c’è sempre. Lui è di casa: e per noi questo vuol dire sicurezza, vuol dire un buon Natale oggi, domani, dopodomani, sempre. Perché ogni giorno, insieme a Lui, sarà per noi un magnifico Natale. Amen.



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