giovedì 15 dicembre 2016

18 Dicembre 2016 – IV Domenica di Avvento

«Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto» (Mt 1,18-24).

Il vangelo di oggi introduce una nuova figura, quella di Giuseppe, lo sposo di Maria. Contrariamente a Luca che ci racconta il Natale dal punto di vista della Madre Maria (annunciazione, visita ad Elisabetta, Magnificat, nascita e arrivo dei pastori, ecc.), Matteo lo racconta dal punto di vista del padre.
“Così fu generato Gesù Cristo…”.
Ebbene, anche questa volta, per capire meglio il significato più profondo del testo, dobbiamo leggerlo nel suo insieme, ricollegandolo a ciò che lo precede.
In questo caso dobbiamo andare proprio all’inizio del vangelo di Matteo: “Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda, ecc” (Mt 1,1) e via di seguito, con una sfilza di nomi, qualcuno noto, moltissimi sconosciuti, dei quali ogni volta si dice che “generò” un altro, fino a Gesù. Una pagina narcotizzante, pesante e monotona, la cui proclamazione liturgica è fatalmente destinata ad una micidiale storpiatura dei nomi da parte di ministri in evidente difficoltà biblico-linguistica.
Succede perché noi non ricordiamo o non conosciamo affatto chi c’è dietro questi nomi: se infatti andiamo a vedere meglio, notiamo delle cose per noi incredibili, come per esempio l’aver inserito nella genealogia quattro donne, una scelta strana, inusuale, poiché le donne non apparivano mai nelle genealogie; e cosa ancor più strana è che Matteo, invece di scegliere quattro eroine nazionali, le sante di Israele, come per esempio Ester, Giuditta, Debora, Susanna, ricorda qui quattro donne moralmente discutibili, quattro donne che hanno in comune una situazione irregolare sul modo in cui sono diventate madri e un’astuzia potente su come sono uscite da situazioni difficili: così Tamar (Gn 38) una straniera, rimasta vedova, che pur di non rimanere senza figli si unisce con Giuda, il suocero, il quale sconsolato per la morte della moglie cercava conforto con le prostitute. Racab (Gs 2), la tenutaria del bordello di Gerico, che accoglie in casa sua le spie israelite inviate da Giosuè. Rut (Rut 3-4) la moabita, che rimasta vedova individuò nell’anziano ma ricco Booz la soluzione dei suoi guai. E mentre Booz dormiva, Rut si infilò nel suo letto e da quell’unione nacque Obed, nonno del re Davide. Infine Betsabea (2 Sam 11): Matteo neppure la nomina, tanto la disprezza; dice “la donna di Uria”, la quale finché il marito era in guerra, sedusse con la sua bellezza il re Davide, da cui ebbe Salomone, che lei riuscì a mettere sul trono al posto del legittimo erede Adonia.
Donne antenate di Gesù, quindi, che non furono per niente modelle di santità. Furono donne scaltre, furbe, che utilizzarono le armi della seduzione e della sessualità per arrivare là dove volevano arrivare.
È chiaro che la preoccupazione di Matteo non è quella di redigere un documento storico: quello che gli preme è l’aspetto “teologico”. Egli vuol dare qui un messaggio ben preciso, che tradotto suona così: “Non vi scandalizzate per la situazione di Maria, rimasta incinta all’insaputa del marito Giuseppe. Come potete vedere, anche le sue antenate hanno vissuto situazioni irregolari ma, nonostante ciò, si sono messe al servizio di Dio, assicurando la continuità del Suo disegno salvifico e della storia del Suo popolo. 
Esse, con la loro maternità ottenuta con mezzi irregolari, hanno dimostrato come il piano di Dio possa seguire anche delle vie imprevedibili, inattese, spesso incomprensibili”. Si sono messe a disposizione, con la loro femminilità, al progetto divino della vita, diventando testimoni dell’azione imperscrutabile dello Spirito; la loro maternità, ingiustificabile secondo la legge umana, è diventata prefigurazione profetica di un’altra maternità, altrettanto ingiustificabile secondo la legge umana: quella di Maria, una giovane donna galilea, promessa sposa di quel Giuseppe che con la sua discendenza lega Gesù al ramo davidico.
Ma la catena di ben 39 “generazioni” è stata improvvisamente interrotta una volta giunta al nome di Giuseppe: il testo cioè non prosegue dicendo, come ci saremmo aspettati, che “Giuseppe generò Gesù”; dice invece “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale nacque Gesù che è chiamato Cristo” (Mt 1,16).
Tutta la generazione maschile di Gesù, quella che dava non solo la vita, ma anche la tradizione culturale e religiosa del popolo di Israele, si interrompe dunque con Giuseppe.
Come mai? Perché quello che Matteo vuol dire, è che con la nascita di Gesù si compie una nuova creazione. La creazione descritta nel primo libro della Genesi, con tutto quello che segue, appartiene alla storia passata: Gesù rompe con il passato, tant’è che non viene generato da Giuseppe, la genealogia passata si ferma con lui, egli rompe con la tradizione precedente, ne instaura una nuova, fonda una nuova economia. In questo senso è un sovversivo, un rivoluzionario, uno che ha messo dei paletti, uno che quando si riferirà ai suoi antenati, non li chiamerà mai “i nostri padri” ma sempre “i vostri padri” (Gv 6,49; Mt 23,32). Il creatore della nuova Genesi non poteva essere generato da un uomo: è Dio stesso che entra in Maria per abilitarla a questo nuovo corso.
Ma torniamo al vangelo odierno. “Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo”.
Come abbiamo dunque visto, il testo che precede immediatamente queste parole, ci conduce passo passo fino ad incontrare questo sconosciuto Giuseppe, che Matteo qualifica come “lo sposo di Maria”.
È praticamente tutto quello che sappiamo di lui. Egli non pronuncia neppure una parola, degna di essere ricordata nei vangeli: è un uomo che vive nel silenzio, nella penombra, nell’oscurità, in punta di piedi. Improvvisamente, si trova a dover affrontare un problema estremamente delicato: Maria,la sua fidanzata, prima che essi iniziassero a vivere insieme, rimane incinta.
È questo il punto focale attorno cui ruota il racconto di Matteo: la gravidanza di Maria e la reazione incerta, dubbiosa, indecisa di Giuseppe.
Mettiamoci nei suoi panni: Egli trova incinta la sua fidanzata e ovviamente non capisce più nulla: è un uomo che precipita in una crisi profonda di fronte ad un evento che non comprende e ad una donna che non dice una parola. Si trova nel buio, nella notte, nel dubbio atroce.
Matteo sottolinea a questo punto che Giuseppe era “giusto”; per lui, preoccupato di sottolineare l’aspetto teologico delle cose, dare del “giusto” a Giuseppe significava riconoscere in quest’uomo la sintesi degli atteggiamenti dei giusti vetero testamentari: come per esempio Noè “che cammina con Dio” (Gn 6,9), o come Abramo che “credette in Jahweh, che glielo accreditò come giustizia” (Gn 15,4-6). I “giusti”, per la Bibbia, sono quindi tutti quelli che sono fedeli alla legge, quelli che osservano scrupolosamente ogni sua prescrizione.
Ora, in casi del genere, la Legge è chiara: “Ripudiala; anzi, poiché ti ha tradito, è giusto, è tuo dovere, che tu la denunci alle autorità perché la condannino a morte per lapidazione”.
Ma Giuseppe ama Maria. È la sua donna, vorrebbe sposarla e le vuole bene. Si vede ingannato, è vero, perché lei lo ha tradito ed è rimasta incinta. Giustamente può condannarla. Se fosse stato “giusto” come intendiamo noi, Maria sarebbe stata lapidata, perché questo prescriveva la legge. Ma Giuseppe è “giusto” su un altro piano, la sua giustizia è un’altra. Egli non obbedisce alla legge antica; obbedisce al cuore, alla nuova legge dell’amore. Non è “giusto” secondo la legge, ma secondo l’amore. È “giusto” perché si rende aperto, operativo, disponibile ad accettare il progetto di Dio che attraverso la nascita terrena di suo Figlio, introduce nel mondo la nuova legge del cuore, dell’amore.
Egli pur sentendosi già inserito in questa nuova mentalità, in questa nuova visione delle cose, si trova comunque in conflitto con se stesso: rimanere fedele alla Legge o essere fedele all’amore? 
Giuseppe, pur ferito nel suo orgoglio di maschio, non se la sente di vendicarsi legalmente.
È per questo che decide di ripudiarla di nascosto. Il ripudio era molto semplice a quell’epoca: si poteva ripudiare la moglie anche per una pietanza bruciata o perché aveva parlato con qualcun altro. Bastava scrivere su di un foglio di carta: “Tu non sei più mia moglie” e la donna veniva cacciata via.
Ma Giuseppe non vuole denunciarla, non vuole far uccidere la propria sposa; però neanche la può tenere con sé, e così decide di ripudiarla in segreto.
“Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore”.
Nel mondo ebraico (dobbiamo ricordare che Matteo scrive per una comunità di Giudei) si evita il contatto tra Dio e gli uomini, si evita un contatto diretto con Dio. Allora Dio interviene in sogno. Il sogno, è pertanto il modo che Dio ha per comunicare con gli uomini. “Un angelo del Signore”: attenzione, non dice “un angelo inviato dal Signore”. Quando Dio interviene presso gli uomini viene raffigurato come “un angelo del Signore”; quindi “angelo del Signore” vuol dire Dio stesso. 
“Gli apparve in sogno”: Matteo in due capitoli racconta ben cinque sogni determinanti. Il sogno è un messaggio di Dio. Se accettiamo ciò che Dio tenta di dirci, allora non possiamo più far finta di nulla; la sua Parola non è mai uno sfizio della mente ma una spinta ad agire, a diventare consapevoli. È un cammino, una strada: ci possiamo credere o no, dipende da noi. La Parola di Dio però ci coinvolge sempre: altrimenti è solo una parola, solo una chiacchierata da salotto che non serve a niente.
La Bibbia è dunque ricchissima di sogni, perché Dio parla all’uomo sempre nel sogno, nel silenzio interiore: Giuseppe sposa Maria grazie a un sogno. I Magi non tornano da Erode grazie ad un sogno. Grazie ad un altro sogno Gesù non viene ucciso, perché Giuseppe crede al sogno e scappa in Egitto. Ancora un sogno dice a Giuseppe di tornare in patria e un altro ancora gli dice di non andare in Giudea, ma di portare Gesù in Galilea a Nazareth. Pilato, invece, non ascolta il sogno di sua moglie che gli dice che Gesù è innocente. E compie un crimine.
Ecco allora che anche noi, come Giuseppe, dobbiamo seguire i nostri sogni: anche se sono difficili, anche se richiedono cose che non avremmo mai pensato, soprattutto quando ci portano là dove non avremmo mai immaginato. In questi casi sicuramente la nostra prima risposta sarà negativa: ma l’angelo, la voce di Dio, ci dirà: “Non aver paura, non temere; io sono con te, ci sono io, buttati!”.
Dio, pone sempre l’uomo di fronte ad un dilemma: seguire la sua Voce che lo chiama, o seguire la paura che lo blocca e frena: “Lascia stare, è difficile, non è per te...”.
Giuseppe ebbe paura, ma si fidò dell’incredibile. Maria ebbe paura ma si fidò dell’impossibile. Abramo ebbe paura, ma si fidò ciecamente.
Tutti questi ebbero paura, tutti questi però seguirono i loro sogni, incredibili ma veri.
E ne valse sempre la pena. “Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù”. Amen.



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