Gv 14, 15-16.23-26
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre.
Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».
A
conclusione del tempo pasquale, cinquanta giorni dopo la Pasqua, la liturgia
celebra la solennità della Pentecoste: È la festa dello Spirito Santo, una
festa importantissima poiché ci ricorda, oltre alla diffusione nel mondo del
mistero della Pasqua di Gesù, operata grazie a lui dagli apostoli, anche la
nascita della Chiesa. Gesù non è più presente in carne ed ossa, non è più
visibile, ma continua ad essere presente con il suo Spirito, disceso
prima negli apostoli e poi negli uomini di ogni tempo, per renderli pienamente
consapevoli dell’importanza di rimanere in contatto con il Padre. Dio dunque,
disceso dal cielo, ha scelto di fermarsi per sempre in questo mondo,
continuando ad assistere i discepoli di ogni tempo nella realizzazione del loro
impegno battesimale, sostenendoli in una loro risposta generosa, forte,
costruttiva, convinta.
Prima
considerazione: Dio si inserisce nella nostra storia umana scendendo!
Dio si mette a nostro completo servizio, scendendo! Dio dona il suo
amore infinito a nostro totale beneficio, scendendo! Fa esattamente il
contrario di quanto facciamo noi, che nella nostra nullità, sgomitiamo
continuamente per salire sempre più in alto, nella vanesia ricerca di
visibilità, di importanza, di ricchezza, potere, popolarità, pensando di fare
notizia, di firmare pagine importanti della storia, quando nella vita riusciamo
a malapena scarabocchiare. Quanto ci illudiamo! Quanto è diverso Dio da noi!
“Egli vi darà un altro
Paràclito perché rimanga con voi per sempre” ci assicura Gesù: e Dio, che mantiene sempre la
sua parola, è rimasto con noi per sempre. Ha scelto di farlo in maniera
discreta, materialmente invisibile, per cui molti, non vedendolo, pensano si
tratti soltanto di una fantasia da preti e continuano a comportarsi come se la
cosa non li riguardasse.
Ma non è
così: la festa di oggi ci ricorda un’autentica, assoluta verità: che non siamo
soltanto come ci vediamo allo specchio, un corpo “materiale”, talvolta
inguardabile, ma siamo anche “spirito” divino: nel senso che Dio ha
contrassegnato il nostro “Dna” nell’attimo stesso del nostro concepimento: in
altre parole noi esistiamo, solo perché Lui è in noi, abita cioè
stabilmente in noi con il suo Spirito, quello Spirito vitale che chiamiamo “anima”.
Infatti “Anima”, in greco “pneuma”, significa appunto “spirito”,
“vita”, “soffio”: è cioè quel soffio vitale di Dio creatore,
grazie al quale Egli ci dona il suo Spirito, quel “soffio”
soprannaturale che origina in noi quella vita, che ci fa esistere.
Il giorno in
cui questo “pneuma” divino si staccherà dall’uomo, egli cesserà di
essere tale: lo Spirito che animava la sua esistenza corporale,
materiale, tornerà dal suo Creatore, per continuare a condividere, in Lui e con
Lui, la sua stessa essenza di Amore eterno.
Questa è la meravigliosa realtà che ci riguarda.
Questa è la realtà che dovrebbe guidare i nostri pensieri, la nostra vita, le
nostre preoccupazioni.
Solo che
risucchiato in questa torbida società, preso dall’immediatezza del presente,
l’uomo moderno trascura qualunque direttiva “spirituale” del suo
“Avvocato”, lo ignora completamente, alienandosi da tutto ciò che è “pneuma”,
che è “anima”.
Ecco perché
oggi, più che mai, abbiamo un assoluto bisogno di Dio; abbiamo cioè una estrema
necessità di rivivere la Pentecoste dello Spirito: sia nel mondo, che nella
Chiesa!
Nel mondo,
perché i potenti della terra sono sempre più assetati di potere: la
prevaricazione, l’orgoglio, l’egoismo sono divenuti lo stile di vita: i ricchi
mirano ad accrescere a dismisura la loro ricchezza, senza curarsi dei
miserabili che non hanno di che sfamarsi; i genitori non interagiscono più con
i loro figli e ai figli non interessa più quel che dicono i genitori; nella
famiglia e nella coppia non c’è più dialogo, ciascuno usa il linguaggio dell’ego,
diverso e intraducibile; esistono voragini di incomunicabilità tra i membri di
una stessa comunità, tra un piano e l'altro di uno stesso palazzo, da un lato
all'altro di una stessa strada: al punto che spesso si finisce per sapere da
Internet o dalla TV quello che succede a pochi metri dal proprio salotto.
Nella
Chiesa, perché le parole e i gesti dei pastori non riscaldano più il cuore,
sono spesso meccanici, consunti dall’uso, non invogliano più nessuno alla
conversione. A chi è ancora lontano dalla fede, non arrivano più le parole di
amore e di vita del Vangelo, perché affidate a testimoni sempre più frettolosi,
distaccati, preoccupati più del sociale, del “politicamente corretto”, che di
confermare i fratelli nella fede; le chiese sono sempre più deserte, i
cristiani sempre più smarriti, spiritualmente sofferenti e a disagio; una
chiesa insomma, affidata a pastori, in origine magari buoni e attenti, ma che
progressivamente hanno perduto ogni entusiasmo spirituale: pastori che si sono
supinamente rassegnati allo sbando del loro gregge, diventando irriconoscibili
a Cristo stesso, il buon pastore per eccellenza.
In tale
situazione urge dunque una nuova Pentecoste: c’è bisogno che quanto prima lo
Spirito Santo scenda nuovamente dal cielo, e con il suo “fuoco” bruci tutte le
sterpaglie, le infedeltà, le falsità, le cattiverie, di questa nostra società,
sommersa e soffocata dall’immoralità, dalla corruzione, dall’odio. È necessario
che lo Spirito di Dio rinnovi ancora una volta quel miracolo dell'Amore, grazie
al quale, pochi e ignoranti Apostoli uscirono dal loro “cenacolo” per
diffondere con entusiasmo in tutto il mondo la Parola e l’Amore di Dio.
Ciascuno di
noi, anche oggi, ha bisogno di ricongiungersi concretamente con lo “Spirito
Consolatore”: anche noi cristiani del ventunesimo secolo, ci scopriamo talvolta
indifferenti, deboli, stanchi, sfiduciati, sofferenti, bisognosi di aiuto, di
equilibrio, di stabilità, di sostegno.
Ci sono
momenti nella nostra vita in cui nessuno può raggiungerci: quando viviamo una
perdita, quando riceviamo una sconfitta o una ferita, quando c'è qualcosa che
ci fa male, quando una persona ci offende senza motivo, quando una persona
amata ci viene sottratta dalla morte: ecco, è proprio in questi momenti
particolari che noi sentiamo maggiormente il bisogno di “consolazione”, di
aiuto. È infatti in tali situazioni che perdiamo il nostro equilibrio, la
nostra stabilità, il nostro sostegno; ci sentiamo spazzare via, ci sentiamo un
fuscello in preda ai marosi; ed è proprio in tali momenti, che abbiamo
necessità di vera consolazione; abbiamo bisogno cioè di qualcuno che ci ridia
solidità ed equilibrio; di qualcuno che con le sue parole e soprattutto con il
suo silenzio, calmi tutte le nostre tempeste; di qualcuno che non ci dica
niente ma che ci assicuri con la sua presenza, con il suo abbraccio, con il suo
ascolto; di qualcuno che non ci giudichi, ma che ci incoraggi.
Molti
pensano che “consolare” significhi esprimere parole di compassione, qualche
bella frase di circostanza. Spesso, soprattutto in certe occasioni, sentiamo
frasi importanti, bellissime parole; ma sono espressioni che sanno di
posticcio, di non convinto, di retorica; frasi diligentemente preconfezionate,
che lasciano il tempo che trovano. Consolare invece significa essere presente
nel bisogno, essere di sostegno. Se dobbiamo dire qualcosa, diciamolo col
cuore, da cuore a cuore, trovando le parole giuste nella nostra anima, perché
solo così vanno dritte al cuore dell’altro. Spesso è meglio non dire niente, ma
stare semplicemente con lui, condividere ciò che vive, ciò che sente: siamo
consolatori sinceri e convincenti, solo se siamo vicini alle sue sofferenze.
Condividendole. Non potendo eliminare la sofferenza, possiamo però sempre dire:
“Io ci sono e ci sarò! Forse non ti sarò di aiuto, non potrò toglierti il
dolore, non avrò parole giuste da dirti, forse avrò paura anch’io di ciò che ti
succederà, ma sappi che io sono qui con te e ci rimarrò!”.
Ricordiamoci
e ricordiamogli sempre, che dentro di noi c’è già un Consolatore, il nostro
Consolatore. Quello vero. Quello sempre presente, quello attento. Aspetta solo
che noi ci facciamo vivi. Aspetta un nostro cenno d’intesa, di apertura.
Per questo,
quando ci sentiamo felici, realizzati, gioiosi, lodiamolo e ringraziamolo;
quando invece abbiamo qualche dolore, qualche problema, qualche difficoltà,
qualche preoccupazione, qualche malattia, quando abbiamo bisogno di pace, di
grazia, di forza, invochiamolo con fede, con perseveranza, con fiducia: perché
Egli è il nostro Consolatore potente, è la nostra forza. Egli è l'amore, è la
tenerezza di Dio, presente e operante nei nostri cuori. Non dimentichiamolo
mai: perché è Lui che ci aiuta a vivere, è Lui che ci aiuta ad affrontare tutti
i problemi dell'esistenza, è Lui che ci dà una mano per costruire quel ponte
che ci consentirà di godere un giorno di Lui, Amore perfetto, col Padre e il
Figlio. Amen.
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