mercoledì 28 maggio 2025

01 Giugno 2025 – ASCENSIONE DEL SIGNORE


Lc 24, 46-53
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio. 

Oggi la liturgia pone alla nostra attenzione gli ultimi momenti di Gesù su questa terra: dopo essersi accomiatato dai discepoli, li benedice, si distacca dalla terra e sale verso il cielo; sono questi i pochi particolari con cui Luca ci racconta, nell’ultima pagina del suo Vangelo, e nella prima degli Atti degli Apostoli, l’evento dell’ascensione al cielo di nostro Signore.
Sono in tutto un paio di versetti nei quali, in estrema sintesi, egli intende dirci: “Gesù è asceso al cielo: da questo momento egli non c'è più; ora al suo posto ci siete voi. Quindi voi, viri Galilaei, uomini di Galilea, voi cristiani di oggi, voi chiesa, “quid statis aspicientes in coelum? Che state lì a fissare imbambolati il cielo? non state lì con le mani in mano a guardare in aria; datevi da fare! Lui non c'è più, va bene; ma qui ha lasciato voi con l’incarico di continuare la sua opera! Non per nulla, nei tre anni passati insieme, si è premurato di insegnarvi cosa dovete fare e come dovete farlo!”.
Ed è proprio così: Gesù ci ha lasciato, è tornato in cielo. Ma noi siamo qui, e qui c’è la sua Chiesa. Tocca ora a noi, a me, a voi, e non “agli altri”, trovare la giusta soluzione ai problemi della vita, come faceva Lui quando percorreva le strade della Palestina.
Non continuiamo a perder tempo chiedendoci per chi suona la campana: la campana suona per noi. Punto. È ora di muoverci. Soprattutto non dobbiamo aver alcun timore, perché non siamo soli: come già gli apostoli, anche noi abbiamo sempre Gesù nel cuore, dentro di noi.
Quando Luca dice che gli apostoli “stavano sempre nel tempio lodando Dio”, non intendeva dire che giorno e notte essi se ne stessero rintanati nel tempio: “stare nel tempio” vuol dire semplicemente “rimanere in contatto con Lui”, vuol dire desiderarlo, cercarlo, sentirlo dentro di noi, ascoltarlo, amarlo: e ciò ovunque siamo, dovunque andiamo, qualunque cosa facciamo.
Anche Gesù ha passato l’intera sua vita terrena “rinchiuso” nel tempio, dall'inizio alla fine. Non perché anche lui fosse sempre lì, ma perché era in continuo contatto con il Padre; lo sentiva, gli parlava. Del resto, per quanto ci riguarda, possiamo anche essere materialmente in chiesa, ma non per questo possiamo dire di essere nel “tempio” di Dio, in stretta unione spirituale con Lui; come pure possiamo trovarci in qualunque angolo di questo mondo, e al contrario continuare ad essere in perfetto collegamento con Lui, essere nel “suo” tempio, vivere cioè con Lui nella nostra anima, nel nostro cuore.
Purtroppo gran parte della gente ha perso oggi qualunque rapporto personale, qualunque collegamento con Dio: è “sconnessa”; è sempre di corsa: lavora, è occupata in mille faccende, in mille iniziative, fa sport, va in palestra, si diverte, ride, canta; fa di tutto, ma non trova mai un minuto di fermarsi in “casa” con Lui: è sempre altrove, non è mai veramente presente a sé stessa; è lontana, distante, disinteressata. Perduta nel frastuono di una vita delirante, non sente, è sorda a qualunque richiamo del Dio della Vita, è veramente “scollegata” da Lui in tutti i sensi.
Noi viviamo nell’illusione di onnipotenza, ci illudiamo di essere completamente autonomi, di poter fare tutto da soli: nel nostro delirio pensiamo che per il nostro vivere, per i nostri progetti, Dio sia inutile, non ci serve.
Ma è qui che sbattiamo violentemente il viso contro il muro delle nostre fatue illusioni; perché nulla di ciò che ci riguarda accade per caso, all’insaputa dello sguardo amoroso del Padre. Egli non ci lascia mai soli: ci conosce troppo bene, conosce perfettamente i nostri limiti, le nostre indecisioni, i nostri dubbi, le nostre debolezze; conosce le nostre gioie, le nostre delusioni, le nostre lacrime, i sussulti del nostro cuore; conosce le fatiche, gli ostacoli che dobbiamo superare per continuare a procedere faticosamente per la sua strada, zoppicando vistosamente; come pure conosce la gioia, lo slancio che proviamo dopo ogni piccola vittoria; Lui sa, e provvede...! È proprio vero: che Dio stupendo ci ha rivelato Gesù mentre era quaggiù! E che missione impegnativa ci ha affidato prima di salire al cielo! Sì, un incarico di grande responsabilità, perché ora tocca a noi mantenere presente questa realtà, rivelare a tutto il mondo, nel migliore dei modi, questo Volto sublime del Padre.
L'annuncio del Vangelo a tutte le genti, non si è concluso con la missione terrena di Gesù; non è un compito riservato esclusivamente alla sua persona: anzi lui stesso ha detto: “andate e predicate a tutte le genti…”.
Quindi, ascoltando i suoi suggerimenti all’interno del “nostro” tempio, con lo sguardo rivolto a Lui in cielo, spetta ora a noi riprogettare nel suo nome questo mondo; tocca a noi riportarlo entro i parametri del suo progetto originale di vita e di amore.
Nello specifico noi, moderni discepoli di Gesù, non siamo obbligati da Lui a compiere nella nostra vita azioni eccezionali, straordinarie, in suo onore; ad occuparci esclusivamente delle cose sue di lassù, trascurando tutte le nostre cose di quaggiù; dobbiamo al contrario riproporre all’attenzione del mondo le meraviglie di lassù continuando la nostra vita di quaggiù, con i piedi ben piantati per terra. In altre parole dobbiamo sì guardare a Gesù in cielo, nella sua gloria, ma dobbiamo anche interessarci degli uomini, nostri fratelli, anch’essi figli di Dio; dobbiamo considerare l'umanità intera come un’unica famiglia, vedere nel domani di ogni persona non la sua morte, ma una sua nuova vita, gloriosa, senza fine, che durerà per sempre, immersa nell’amore del Padre... È questo lo sguardo “in alto” che l'ascensione del Signore ci sollecita a mantenere nella nostra vita quotidiana. Perché oggi, guariti dall'amore di Cristo, possiamo finalmente “spalancare” i nostri occhi alla luce dello Spirito, anche se sono ancora deboli, sensibili, fragili, bisognosi di tempo, per adattarsi all’intensità e allo splendore della sua luce.
Noi ora contempliamo Gesù che vive nella gloria del cielo: ma possiamo anche vederlo vivere, in modo misterioso, qui su questa terra: egli infatti vive con la sua grazia nell'intimo di ogni cristiano; vive nel sacrificio eucaristico; vive nei tabernacoli del mondo, prolungando la sua presenza reale e redentrice; vive nella sua Parola che risuona nell'intimo delle coscienze; vive e si fa presente nel papa, nei vescovi, nei sacerdoti, nei religiosi, chiamati ciascuno nominativamente a rappresentarlo davanti agli uomini con le loro parole, con le loro opere, con l’esempio della loro vita da consacrati.
È una presenza reale che ci conforta, ci consola, ci dà pace, ci motiva. Cristo è rimasto con ciascuno e con tutti noi. La sua è una presenza reale ed efficace, anche se invisibile e impalpabile. Una presenza da amico, da confidente, da padre amoroso e comprensivo, che ascolta i nostri segreti, le nostre intimità, le nostre piccole fragilità quotidiane, che capisce e perdona, sempre con lo stesso amore, con la stessa bontà e misericordia, le nostre ribellioni interiori, i nostri sfoghi d'ira, le nostre lacrime di orgoglio, la nostra umana disperazione nel dolore e nella sofferenza...
Questa è la consolante realtà: Cristo non se n’è andato via, è rimasto con noi, al nostro fianco. È rimasto qui con noi per salvarci, per aiutarci, con il suo Spirito, a costruire dentro di noi l'uomo spirituale, l'uomo nuovo, la sua “copia” vivente: perché noi tutti siamo chiamati ad essere i "Gesù" di oggi: questa è la nostra missione; questo è il bello della nostra vita. Un compito nobile, soprannaturale, che non è un peso, ma un onore, una gioia unica: è la nostra concreta possibilità di diventare i “sosia” di Gesù Risorto, di poter portare in tutte le strade del mondo il suo Volto, al pari dei suoi primi dodici discepoli. Amen.

  

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