Con i passi da gigante che ha fatto la medicina, potremmo dire che oggi Gesù sarebbe quasi disoccupato: la scienza ha camminato, ha vinto febbri e malattie.
Pietro stesso porterebbe sua suocera in ospedale o chiamerebbe un qualunque medico.
Già, ma noi non siamo semplicemente dei corpi con organi e tessuti.
Siamo creature impastate di sentimenti, di pensieri, di passioni.
Abbiamo un cuore, che spesso è malato d'infelicità.
Ecco, questa è la grande malattia di oggi, il nemico dell’umanità, il male interiore che solo Gesù sa curare: l’infelicità.
Tutta la scienza non ci regalerà mai un solo istante di felicità.
Gesù sì. Perché Lui, e solo Lui, è l’unico medico dell'anima.
Anche oggi Egli entra nella nostra casa, come in quella di Pietro, si accosta a noi, ci solleva prendendoci per mano. La febbre ci lascerà, e soprattutto ci abbandonerà quel nostro mormorare contro Dio a causa di qualche sofferenza che riteniamo senza senso!...
«Ricordati che sei fatto per il cielo - ci dice Gesù - tua è la vita eterna! Cammina, verso il cielo e non ti curare se i tuoi piedi sanguinano; cammina e guarda avanti; cammina e canta il mio amore per te; cammina e andando testimonia agli uomini la ragione della tua speranza, racconta come il tuo fardello è diventato leggero; cammina annunciando il mio Vangelo: e così facendo ti accorgerai che a camminare non sei solo ma, con me sempre al tuo fianco, una folla immensa ti accompagna: la folla di tutti gli uomini che io ho salvato, e che sono in marcia con te verso il Regno, dove non ci sarà più morte, né lutto, né lamento, né affanno, ma solo un'immensa gioia e una pace perenne».
Una volta poi che il Signore ci avrà liberati dal nostro malessere spirituale, dalle nostre paure, dalle nostre angosce, dobbiamo metterci immediatamente al suo servizio, sull’esempio della suocera di Pietro, che immediatamente si mise a servire Gesù.
Anche noi dobbiamo servire , dobbiamo “dare una mano”: meglio, dobbiamo anche noi “prendere per mano” quei nostri fratelli che si trovano in particolari sofferenze morali, che hanno bisogno di una buona parola, di conforto, di amicizia, di comprensione, di aiuto.
Dobbiamo dir loro: «Vieni, ti do una mano!», un’espressione con cui intendiamo esprimere tutta la nostra solidarietà.
Penso che a tutti, almeno una volta nella vita, sarà capitato di sentirselo dire: ed è stato bello, perché ci ha rassicurato, ci ha confermato che qualcuno si interessava anche a noi. Una parola che ci ha aiutato a superare la gelida paura di essere soli, abbandonati.
Bene: il Signore non si stanca di ripeterci queste parole affettuose; perché vuole restituirci nuovo vigore, fresca vitalità, gioia di vivere.
Egli è sempre pronto, con il Sacramento della Riconciliazione, a stenderci una mano amica per rimetterci in piedi, dopo le nostre inevitabili cadute nel peccato.
Ecco perché anche il nostro servizio ai fratelli, il nostro “dare una mano”, deve essere la risposta operativa all’amore misericordioso che Cristo continuamente ci dimostra.
La guarigione della suocera di Pietro rappresenta dunque il miracolo del servizio. Può sembrare un miracolo insignificante. Ma i miracoli non sono spettacoli di potenza, ma segni della misericordia di Dio.
Il miracolo più grande che Gesù è venuto a compiere in terra, è infatti la capacità di amare, cioè di servire.
Chi ama serve, serve gratuitamente, serve continuamente, serve tutti indistintamente.
Il servizio è la guarigione dalla febbre mortale dell'uomo: l'egoismo, che lo uccide come immagine di Dio che è Amore. L'egoismo si esprime nel servirsi degli altri, che porta all'asservimento reciproco; l'amore si realizza nel servire, che porta alla libertà dell'altro.
Solo nel servizio reciproco saremo tutti finalmente liberi: "Alter alterius onera portate et sic adimplebitis legem Christi: Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo" (Gal 6,3).
giovedì 5 febbraio 2009
venerdì 30 gennaio 2009
1 Febbraio 2009 – IV Domenica del Tempo Ordinario
Nel vangelo di questa domenica, Gesù viene descritto da Marco con due pennellate incisive: Gesù è il "maestro" che insegna; Gesù è il "liberatore" che guarisce, perché la sua parola è efficace. Ci troviamo davvero davanti a una "dottrina nuova", dove "nuova", nel linguaggio biblico, non significa originale, inedita, ma perfetta e definitiva. Gesù insegna con autorità e comanda con efficacia; egli proclama ed agisce, dice e fa', predica e guarisce. Il profeta è colui che parla "in nome di Dio". Gesù è il vero grande profeta. Egli insegna con autorità, attraverso parole e opere.
Con i quattro ex pescatori, ora suoi discepoli, è a Cafarnao. Di sabato entra e parla nella sinagoga. C'è molta gente. La sua parola provoca un ascolto eccezionale. Tutti stanno a orecchi aperti. Non si sente nemmeno il movimento del respiro. In tutti c'è un grande stupore: avvertono di trovarsi davanti a un uomo fuori del comune. Lui non conosce che l'aramaico, la lingua dialettale; non ha studiato la Scrittura presso alcuna scuola rabbinica; è un illustre sconosciuto. Eppure parla con autorità. Gli scribi e i rabbì del tempo sono dei 'ripetitori'; Gesù no. La sua è una parola che genera meraviglia, perché è novità assoluta, parla di Dio come uno che 'ci vive dentrò, da sempre. Leggendo i vangeli si nota come questo sia il suo stile costante. Possiamo davvero chiamarlo l'uomo che stupisce. Il 'maligno' è molto più acuto della gente: non è preso dallo stupore, ma dalla rabbia e dall'odio. Egli sa che quell'uomo di Nazaret è venuto a sbancarlo dal suo trono. Il suo dominio indiscusso sull'uomo è finito. È scoccata l'ora di fare i conti con «il Cristo di Dio». E Gesù davanti a lui non si piega, perché ha qualcosa in più degli altri uomini: egli è «il Santo di Dio» e il maligno lo sa. Nello scontro è Cristo che vince, ma non con la forza dialettica, Gesù non discute con il demonio. Gli impone addirittura di «tacere e di andarsene». Cristo non scende a patti con lui. Può discutere con il peccatore pentito, mai con colui che compie il male con piacere. Il pasticcio in cui l'uomo d'oggi è impantanato è proprio questo: andare a braccetto con Dio e con il diavolo. Non esiste più distinzione: bene e male, onestà e disonestà, fedeltà e adulterio, purezza e lussuria, danaro pubblico e danaro sporco sono realtà così intrecciate da non essere più riconoscibili. L'arte del doppio gioco, della doppia morale, della doppia coscienza, è pane quotidiano. Gesù ha una parola che taglia come una spada, che fa male, che invita a scegliere, che scuote, che libera e salva. Questa pagina di vangelo ci mette con le spalle al muro e ci invita a fare delle scelte precise, che abbiano il sapore di una libertà interiore ritrovata. A costo di apparire di un altro mondo. Infatti, noi cristiani siamo «nel mondo, ma non del mondo». Di fronte a Gesù che insegna, qual è il nostro atteggiamento? Di fronte a Gesù che ingaggia la sua lotta contro il male, quali comportamenti ci sono richiesti? "Che c'entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci?" Anche nelle nostre "possessioni", nei nostri limiti, compromessi... abbiamo bisogno di essere "rovinati". La parola di Dio scuote e toglie la "tranquillità" di chi la predica e a chi l'ascolta. A volte essa fa male, ma è un male, come nel caso dell'ossesso del vangelo, che si converte nel nostro vero bene. Gesù è venuto per accendere una speranza nel cuore di ogni uomo e di ogni donna. E tutti subito percepiscono che la sua parola non è come quella degli scribi. Perché Gesù non si limita a commentare quello che Dio ha detto, magari con dotti riferimenti. No, la sua parola nasce da un'esperienza di Dio, da una comunione con lui che è del tutto unica. È questa la fonte della sua «autorità».
Un annuncio, però, per quanto consolante, non può bastare. Una buona notizia può riscaldare il cuore, può ridare fiducia a chi ormai si è rassegnato, può risollevare da terra chi non ce la faceva più ad andare avanti... Ma viene il momento in cui c'è bisogno di vedere dei segni concreti, di quel cambiamento che è stato annunciato. Ed è proprio quello che Gesù fa', in giorno di sabato, nella sinagoga di Cafarnao. Mostra come Dio provi compassione per le nostre infermità e si impegni, in prima persona, nella lotta contro il male: il male fisico e quello, più profondo, che intacca l'anima, il male che coincide con la cattiveria del cuore e quello che ha i connotati di una prigionia, da cui non si riesce più ad uscire con le proprie forze. Marco, nel suo racconto, è abbastanza sobrio e quasi avaro di particolari: ci presenta un uomo, «posseduto da uno spirito immondo» che è lì, nella sinagoga. E mette sotto i nostri occhi l'azione di Gesù che libera questa persona dalla sua sofferenza, dalla sua lacerazione, dalla sua schiavitù. È bene, tutto sommato, che la descrizione di quell'uomo e della sua malattia sia generica. È bene perché ognuno di noi può vedere nel gesto di Gesù un compito che è affidato anche a lui. In fondo il gesto della liberazione non ha nulla di strano: è un'ingiunzione allo spirito del male ad uscire da quella creatura, è una parola forte che si propone di portare liberazione e speranza in una vita oscurata dalla presenza mortificante del male. E in quel male ci è lecito ravvisare ogni male di cui soffrono i nostri fratelli, ogni situazione di disagio, di abbandono, di strazio, di scoraggiamento. In Gesù ci viene offerto un segno chiaro, senza alcuna ambiguità: Dio non esita ad ingaggiare una lotta senza quartiere contro ciò che ci tiene in schiavitù, Dio impegna se stesso fino in fondo per la nostra felicità. Per questo il suo Figlio si è fatto uomo. Per questo non esiterà a lottare a mani nude contro ogni cattiveria e contro ogni odio, contro ogni brutalità e contro ogni menzogna. Fino a ferirsi. Fino a venir condannato alla morte di croce. Fino a versare il suo sangue. Storia di un amore che non sopporta l'umiliazione, l'abbruttimento, il sopruso, l'emarginazione. Storia di un amore che non si manifesta attraverso proclami, ma con gesti precisi, costosi, audaci, in cui la liberazione dell'uomo comporta rischi e costi molto alti. Storia di un amore che possiamo annunciare solo se siamo disposti a compiere gli stessi gesti, a fare le stesse scelte.
Con i quattro ex pescatori, ora suoi discepoli, è a Cafarnao. Di sabato entra e parla nella sinagoga. C'è molta gente. La sua parola provoca un ascolto eccezionale. Tutti stanno a orecchi aperti. Non si sente nemmeno il movimento del respiro. In tutti c'è un grande stupore: avvertono di trovarsi davanti a un uomo fuori del comune. Lui non conosce che l'aramaico, la lingua dialettale; non ha studiato la Scrittura presso alcuna scuola rabbinica; è un illustre sconosciuto. Eppure parla con autorità. Gli scribi e i rabbì del tempo sono dei 'ripetitori'; Gesù no. La sua è una parola che genera meraviglia, perché è novità assoluta, parla di Dio come uno che 'ci vive dentrò, da sempre. Leggendo i vangeli si nota come questo sia il suo stile costante. Possiamo davvero chiamarlo l'uomo che stupisce. Il 'maligno' è molto più acuto della gente: non è preso dallo stupore, ma dalla rabbia e dall'odio. Egli sa che quell'uomo di Nazaret è venuto a sbancarlo dal suo trono. Il suo dominio indiscusso sull'uomo è finito. È scoccata l'ora di fare i conti con «il Cristo di Dio». E Gesù davanti a lui non si piega, perché ha qualcosa in più degli altri uomini: egli è «il Santo di Dio» e il maligno lo sa. Nello scontro è Cristo che vince, ma non con la forza dialettica, Gesù non discute con il demonio. Gli impone addirittura di «tacere e di andarsene». Cristo non scende a patti con lui. Può discutere con il peccatore pentito, mai con colui che compie il male con piacere. Il pasticcio in cui l'uomo d'oggi è impantanato è proprio questo: andare a braccetto con Dio e con il diavolo. Non esiste più distinzione: bene e male, onestà e disonestà, fedeltà e adulterio, purezza e lussuria, danaro pubblico e danaro sporco sono realtà così intrecciate da non essere più riconoscibili. L'arte del doppio gioco, della doppia morale, della doppia coscienza, è pane quotidiano. Gesù ha una parola che taglia come una spada, che fa male, che invita a scegliere, che scuote, che libera e salva. Questa pagina di vangelo ci mette con le spalle al muro e ci invita a fare delle scelte precise, che abbiano il sapore di una libertà interiore ritrovata. A costo di apparire di un altro mondo. Infatti, noi cristiani siamo «nel mondo, ma non del mondo». Di fronte a Gesù che insegna, qual è il nostro atteggiamento? Di fronte a Gesù che ingaggia la sua lotta contro il male, quali comportamenti ci sono richiesti? "Che c'entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci?" Anche nelle nostre "possessioni", nei nostri limiti, compromessi... abbiamo bisogno di essere "rovinati". La parola di Dio scuote e toglie la "tranquillità" di chi la predica e a chi l'ascolta. A volte essa fa male, ma è un male, come nel caso dell'ossesso del vangelo, che si converte nel nostro vero bene. Gesù è venuto per accendere una speranza nel cuore di ogni uomo e di ogni donna. E tutti subito percepiscono che la sua parola non è come quella degli scribi. Perché Gesù non si limita a commentare quello che Dio ha detto, magari con dotti riferimenti. No, la sua parola nasce da un'esperienza di Dio, da una comunione con lui che è del tutto unica. È questa la fonte della sua «autorità».
Un annuncio, però, per quanto consolante, non può bastare. Una buona notizia può riscaldare il cuore, può ridare fiducia a chi ormai si è rassegnato, può risollevare da terra chi non ce la faceva più ad andare avanti... Ma viene il momento in cui c'è bisogno di vedere dei segni concreti, di quel cambiamento che è stato annunciato. Ed è proprio quello che Gesù fa', in giorno di sabato, nella sinagoga di Cafarnao. Mostra come Dio provi compassione per le nostre infermità e si impegni, in prima persona, nella lotta contro il male: il male fisico e quello, più profondo, che intacca l'anima, il male che coincide con la cattiveria del cuore e quello che ha i connotati di una prigionia, da cui non si riesce più ad uscire con le proprie forze. Marco, nel suo racconto, è abbastanza sobrio e quasi avaro di particolari: ci presenta un uomo, «posseduto da uno spirito immondo» che è lì, nella sinagoga. E mette sotto i nostri occhi l'azione di Gesù che libera questa persona dalla sua sofferenza, dalla sua lacerazione, dalla sua schiavitù. È bene, tutto sommato, che la descrizione di quell'uomo e della sua malattia sia generica. È bene perché ognuno di noi può vedere nel gesto di Gesù un compito che è affidato anche a lui. In fondo il gesto della liberazione non ha nulla di strano: è un'ingiunzione allo spirito del male ad uscire da quella creatura, è una parola forte che si propone di portare liberazione e speranza in una vita oscurata dalla presenza mortificante del male. E in quel male ci è lecito ravvisare ogni male di cui soffrono i nostri fratelli, ogni situazione di disagio, di abbandono, di strazio, di scoraggiamento. In Gesù ci viene offerto un segno chiaro, senza alcuna ambiguità: Dio non esita ad ingaggiare una lotta senza quartiere contro ciò che ci tiene in schiavitù, Dio impegna se stesso fino in fondo per la nostra felicità. Per questo il suo Figlio si è fatto uomo. Per questo non esiterà a lottare a mani nude contro ogni cattiveria e contro ogni odio, contro ogni brutalità e contro ogni menzogna. Fino a ferirsi. Fino a venir condannato alla morte di croce. Fino a versare il suo sangue. Storia di un amore che non sopporta l'umiliazione, l'abbruttimento, il sopruso, l'emarginazione. Storia di un amore che non si manifesta attraverso proclami, ma con gesti precisi, costosi, audaci, in cui la liberazione dell'uomo comporta rischi e costi molto alti. Storia di un amore che possiamo annunciare solo se siamo disposti a compiere gli stessi gesti, a fare le stesse scelte.
venerdì 23 gennaio 2009
25 Gennaio 2009 - III Domenica del Tempo Ordinario
Quelle di Gesù non sono promesse elettorali o specchietti per le allodole: quando promette ai primi discepoli di farli diventare “pescatori di uomini”, (cosa ben più grande del pescare pesce) chiede qualcosa di notevole: aver fiducia in lui, mettersi DIETRO di lui, come discepoli di un maestro che indica il cammino, di CONVERTIRSI e CREDERE nel VANGELO, cioè nella bella notizia di un Dio che è venuto a sporcarsi le mani per ridare dignità e gioia a persone bloccate, angosciate, timorose. Persone che riconosce come figli amati e desiderati. Figli a cui lascia la libertà di decidere della loro vita, ma offre prospettive e risorse per prospettare e costruire qualcosa di più bello ed entusiasmante.
“Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino”: sono queste le prime parole che Gesù pronuncia nel Vangelo di Marco:
- è questo il tempo opportuno e improrogabile per accogliere Dio. E’ come il tempo della raccolta o della vendemmia: aspettare oltre significa rischiare di vedere i frutti della terra e del nostro lavoro marcire, rischiare di rimanere senza cibo, senza vino, senza sostentamento e senza la gioia della festa.
- E’ il tempo opportuno e improrogabile perché il Regno di Dio è vicino: è presente in mezzo a noi, come un seme che è stato seminato e che ora sta germogliando e richiede la nostra collaborazione perché diventi grande e porti frutto. Il Regno di Dio indica il fatto che è Dio finalmente a regnare, a governare, guidare: non è più il potere e il prepotere degli uomini a decidere delle nostre sorti, non è più la superbia, l’avidità, la violenza… il motore della storia, ma è il desiderio di Dio d’amore, di pace, di comunione, di fraternità, di solidarietà a voler prendere le redini delle nostre vicende umane: come un seme, Gesù, venuto in questo mondo, ma ancora presente e operante per guidarci alla realizzazione di questo mondo che tutto desideriamo, ma a cui a fatica crediamo e vi collaboriamo.
Questo nuovo mondo, questa speranza inizia con l’invito a convertirci e a credere nel Vangelo: a cambiare vita e a iniziare a credere seriamente e fermamente in questa possibilità, in un futuro diverso che possa coinvolgere il nostro presente.
Per questo Gesù passa nella nostra storia ed è capace di vedere dentro le persone che incontra, andare oltre ai loro miseri ruoli e riconoscere delle potenzialità grandi: in Simone ed Andrea, semplici pescatori, vede dei pescatori di uomini, persone capaci di raccogliere moltitudini, cercatori di uomini, scopritori di tesori sepolti in ignare persone… in particolare in Simone vede la Pietra su cui poggerà la Chiesa futura, il sostegno che darà fondamento, solidità e durata alla costruzione. In Giovanni vedrà il discepolo che trasmetterà, con la profondità del suo Vangelo, parole sublimi d’amore di Gesù. Un giorno guarderà l’adultera e in lei vedrà non la peccatrice, ma la donna.
Passando anche oggi vede ciascuno di noi e vi scopre potenzialità a noi invisibili, capacità di amare che non sappiamo di avere, doni da condividere che non abbiamo mai sospettato in noi.
Penso a me, alla mia gioventù in continua ricerca, desiderosa di autenticità e di luce, e ha visto e donato un futuro di servizio, come prete e come uomo, che non avevo certo programmato per la mia vita.
Convertitevi e venite dietro di me e vi farò diventare…persone felici e realizzate. Una felicità che siamo chiamati a conquistare a caro prezzo, seguendolo su una via che prevede anche la croce, la morte, ma per poter con lui risorgere a vita nuova, piena ed eterna. A condizione di condividere il suo amore e di donarlo senza riserve.
Domenica scorsa abbiamo ascoltato il racconto di Giovanni che sembra molto differente da quello riportato da Marco e con lui dai sinottici: erano loro a decidere di seguire Gesù in seguito alla testimonianza del Battista che indica in lui il Messia. Eppure alla base di queste esperienze c’è la stessa lezione: i quattro del lago, già discepoli del Battista, seguono Gesù (che li chiama o risponde alla loro ricerca dicendo di venire dietro di lui) non perché attratti dalla sua dottrina, ma perché sentono di potersi fidare di lui, fanno una esperienza che li spinge a lasciare la vecchia vita e iniziare una nuova vita incerta, ma affascinante e ben più luminosa.
Fidarsi e affidarsi precede la missione di diventare pescatori di uomini, di tirar fuori dall’invisibile i tesori sepolti, di riportare alla luce chi era sommerso nel mare dell’oscurità. Li scelse perché stessero con lui e per inviarli: c’è sempre prima una esperienza personale che siamo chiamati a fare. Gesù poi li invia, come oggi può inviarci a formare famiglie cristiane, a testimoniare con l’amore coniugale l’amore di Dio: come portare avanti questo compito grande senza una esperienza personale in Dio? Come donare sapore e gioia nelle nostre famiglie se non attingiamo tutto ciò dalla fonte? Quante volte ci limitiamo a portare nelle nostre case solo la nostra fatica, le ansie quotidiane, le frustrazioni che ci avvolgono? I nostri figli e i nostri coniugi hanno bisogno del nostro amore come noi abbiamo bisogno del loro: ma possiamo portare amore anziché frustrazione solo se ci dissetiamo alla fonte. Non sarà allora mai tempo perso, tempo rubato alla famiglia o alla società quello che dedichiamo alla preghiera, al servizio, alla formazione spirituale, ma tempo risanato che ci carica e ci fornisce di doni da condividere. Solo così il nostro mondo si trasformerà pian piano nel regno di Dio, nel regno d’amore.
“Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino”: sono queste le prime parole che Gesù pronuncia nel Vangelo di Marco:
- è questo il tempo opportuno e improrogabile per accogliere Dio. E’ come il tempo della raccolta o della vendemmia: aspettare oltre significa rischiare di vedere i frutti della terra e del nostro lavoro marcire, rischiare di rimanere senza cibo, senza vino, senza sostentamento e senza la gioia della festa.
- E’ il tempo opportuno e improrogabile perché il Regno di Dio è vicino: è presente in mezzo a noi, come un seme che è stato seminato e che ora sta germogliando e richiede la nostra collaborazione perché diventi grande e porti frutto. Il Regno di Dio indica il fatto che è Dio finalmente a regnare, a governare, guidare: non è più il potere e il prepotere degli uomini a decidere delle nostre sorti, non è più la superbia, l’avidità, la violenza… il motore della storia, ma è il desiderio di Dio d’amore, di pace, di comunione, di fraternità, di solidarietà a voler prendere le redini delle nostre vicende umane: come un seme, Gesù, venuto in questo mondo, ma ancora presente e operante per guidarci alla realizzazione di questo mondo che tutto desideriamo, ma a cui a fatica crediamo e vi collaboriamo.
Questo nuovo mondo, questa speranza inizia con l’invito a convertirci e a credere nel Vangelo: a cambiare vita e a iniziare a credere seriamente e fermamente in questa possibilità, in un futuro diverso che possa coinvolgere il nostro presente.
Per questo Gesù passa nella nostra storia ed è capace di vedere dentro le persone che incontra, andare oltre ai loro miseri ruoli e riconoscere delle potenzialità grandi: in Simone ed Andrea, semplici pescatori, vede dei pescatori di uomini, persone capaci di raccogliere moltitudini, cercatori di uomini, scopritori di tesori sepolti in ignare persone… in particolare in Simone vede la Pietra su cui poggerà la Chiesa futura, il sostegno che darà fondamento, solidità e durata alla costruzione. In Giovanni vedrà il discepolo che trasmetterà, con la profondità del suo Vangelo, parole sublimi d’amore di Gesù. Un giorno guarderà l’adultera e in lei vedrà non la peccatrice, ma la donna.
Passando anche oggi vede ciascuno di noi e vi scopre potenzialità a noi invisibili, capacità di amare che non sappiamo di avere, doni da condividere che non abbiamo mai sospettato in noi.
Penso a me, alla mia gioventù in continua ricerca, desiderosa di autenticità e di luce, e ha visto e donato un futuro di servizio, come prete e come uomo, che non avevo certo programmato per la mia vita.
Convertitevi e venite dietro di me e vi farò diventare…persone felici e realizzate. Una felicità che siamo chiamati a conquistare a caro prezzo, seguendolo su una via che prevede anche la croce, la morte, ma per poter con lui risorgere a vita nuova, piena ed eterna. A condizione di condividere il suo amore e di donarlo senza riserve.
Domenica scorsa abbiamo ascoltato il racconto di Giovanni che sembra molto differente da quello riportato da Marco e con lui dai sinottici: erano loro a decidere di seguire Gesù in seguito alla testimonianza del Battista che indica in lui il Messia. Eppure alla base di queste esperienze c’è la stessa lezione: i quattro del lago, già discepoli del Battista, seguono Gesù (che li chiama o risponde alla loro ricerca dicendo di venire dietro di lui) non perché attratti dalla sua dottrina, ma perché sentono di potersi fidare di lui, fanno una esperienza che li spinge a lasciare la vecchia vita e iniziare una nuova vita incerta, ma affascinante e ben più luminosa.
Fidarsi e affidarsi precede la missione di diventare pescatori di uomini, di tirar fuori dall’invisibile i tesori sepolti, di riportare alla luce chi era sommerso nel mare dell’oscurità. Li scelse perché stessero con lui e per inviarli: c’è sempre prima una esperienza personale che siamo chiamati a fare. Gesù poi li invia, come oggi può inviarci a formare famiglie cristiane, a testimoniare con l’amore coniugale l’amore di Dio: come portare avanti questo compito grande senza una esperienza personale in Dio? Come donare sapore e gioia nelle nostre famiglie se non attingiamo tutto ciò dalla fonte? Quante volte ci limitiamo a portare nelle nostre case solo la nostra fatica, le ansie quotidiane, le frustrazioni che ci avvolgono? I nostri figli e i nostri coniugi hanno bisogno del nostro amore come noi abbiamo bisogno del loro: ma possiamo portare amore anziché frustrazione solo se ci dissetiamo alla fonte. Non sarà allora mai tempo perso, tempo rubato alla famiglia o alla società quello che dedichiamo alla preghiera, al servizio, alla formazione spirituale, ma tempo risanato che ci carica e ci fornisce di doni da condividere. Solo così il nostro mondo si trasformerà pian piano nel regno di Dio, nel regno d’amore.
venerdì 16 gennaio 2009
18 Gennaio 2009 – II Domenica del Tempo Ordinario
Giovanni e Andrea, discepoli del Battista, fissano lo sguardo su Gesù che passa.
Anche noi Fissiamo lo sguardo, cioè affiniamo il nostro sguardo interiore, diamo spazio al "dentro" come l'adolescente Maria, perché il Signore Gesù passa. Passa nelle nostre vite, mescolato alle tante persone, ai tanti avvenimenti, alle tante preoccupazioni. Passa il Signore e corriamo il rischio di perderlo, travolti dalle troppe cose che ci ingombrano il cuore e la vita.
"Ecco l'agnello" dice il rude Giovanni, spiazzato anche lui nel vedere l'atteso mischiato all'immensa folla dei penitenti in coda per ricevere il battesimo. Attonito, il più grande dei profeti, spiazzato (lui!) per l'inatteso volto del Messia. Lo vede e lo indica ai suoi due discepoli, e profetizza: "ecco l'agnello".
L'agnello, animale mansueto, mite, che non si fa notare, che si lascia uccidere senza neppure belare. L'agnello che richiama la capra cui venivano addossati i peccati del popolo il giorno dello Yom Kippur, giorno dell'espiazione, per poi essere mandata nel deserto a morire per le infedeltà di Israele. L'agnello: profezia, intuizione, stupore nel vedere un Messia nascosto e determinato, un Messia che ha già scelto di stare con gli ultimi, di portarne la fatica e il peccato, di condividerne la fragilità e il tormento.
I discepoli, sentendolo parlare così, seguono il Nazareno.
E' sempre qualcuno che ci indica il Signore, sempre qualcuno che ce ne ha parlato, ce lo ha indicato. Poi sta a noi seguire, scegliere, divenire discepoli. Ma la fede si comunica così: da bocca a orecchio, da vita a vita. Se siete discepoli, amici, qualcuno vi ha parlato del Rabbì, qualcuno che già era discepolo. Se qualcuno conoscerà il Rabbì, sarà attraverso la vostra esperienza, la vostra luce interiore.
Giovanni Battista non è un guru che si specchia nell'adorazione dei suoi seguaci: si stacca da loro con forza, vuole che essi, ora, crescano nella conoscenza autentica di Dio.
Vero modello del Pastore, il Battista rifiuta di essere al centro dell'attenzione, accetta volentieri di sparire per nascondersi dietro quella Parola cui egli ha imprestato la voce.
Una volta raggiunto Gesù, questi si volta e, sorprendentemente, chiede ai due discepoli di Giovanni: "Che cercate?". Potremmo a ragione tradurre "Che volete?". Cosa cerchiamo quando ci mettiamo alla ricerca di Gesù? Chi cerchiamo veramente?
E' una domanda all'apparenza dura e che pure rivela il profondo rispetto che Gesù ha nei confronti della nostra umanità. Può succedere, e lo vediamo, che la fede non sia ricerca, ma rifugio; che Dio non diventi Signore ma padrone; che la sua azione non sia grazia ma supplenza alle mie difficoltà... esiste, cioè, un modo di avvicinarsi alla fede che non ci fa crescere come uomini, ma che ci fa fuggire i problemi.
Il Signore mette a fuoco il senso della ricerca dei due discepoli, li invita a non lasciarsi andare al facile entusiasmo ma a riflettere sulla loro sequela. Anche per noi la ricerca della fede può essere un momento passeggero, euforico, legato ad un momento particolarmente carico di emotività.
Il Signore ci scrolla: vuole accanto a sé degli uomini consapevoli delle loro scelte.
La risposta dei discepoli rivela tutta l'insicurezza della loro scelta: "Maestro, dove abiti?". Non cogliete una richiesta di certezze in questa domanda? Un dire: "Prima di seguirti, facci vedere dove ci conduci"? Quanto bisogno di certezze abbiamo prima di poterci fidare... Quanti "se" e "ma" mettiamo prima di dire il nostro "sì" definitivo al Signore. E' lui che, allora come oggi, ci risponde: "Venite a vedere".
Non chiedere, fidati, muoviti, fa' diventare questa ricerca un'esperienza, investi...
La fede - quante volte lo dico! - non è "fare", "sapere" ma "conoscere".
Noi per primi siamo chiamati ad andare a vedere, noi per primi siamo chiamati a fare l'esperienza della sequela. Ed essi andarono. videro e restarono con lui. Dopo essersi fidati restano, accettano, si lasciano coinvolgere.
L'annotazione finale di Giovanni è simpaticissima: "erano circa le quattro del pomeriggio". Quel giorno, quell'istante, è così importante per lui che segna l'inizio di una vita nuova.
Sono passati forse sessant'anni da quell'evento e il discepolo ricorda l'ora precisa, tutto è cambiato, ormai, per Giovanni e Andrea: quel giorno è stato come l'inizio di una nuova Creazione.
Per chi incontra il Signore i giorni non sono più uguali, ma diventano gravidi di una luce nuova. Ecco ciò che ci attende nell'ordinarietà del nostro tempo: l'incontro con il Signore, l'esperienza della sequela. Se sapremo ogni giorno spalancare gli occhi e riconoscere l'Agnello che passa, potremo cambiare la nostra esperienza di vita in autenticità e in maggiore luce interiore.
Anche noi Fissiamo lo sguardo, cioè affiniamo il nostro sguardo interiore, diamo spazio al "dentro" come l'adolescente Maria, perché il Signore Gesù passa. Passa nelle nostre vite, mescolato alle tante persone, ai tanti avvenimenti, alle tante preoccupazioni. Passa il Signore e corriamo il rischio di perderlo, travolti dalle troppe cose che ci ingombrano il cuore e la vita.
"Ecco l'agnello" dice il rude Giovanni, spiazzato anche lui nel vedere l'atteso mischiato all'immensa folla dei penitenti in coda per ricevere il battesimo. Attonito, il più grande dei profeti, spiazzato (lui!) per l'inatteso volto del Messia. Lo vede e lo indica ai suoi due discepoli, e profetizza: "ecco l'agnello".
L'agnello, animale mansueto, mite, che non si fa notare, che si lascia uccidere senza neppure belare. L'agnello che richiama la capra cui venivano addossati i peccati del popolo il giorno dello Yom Kippur, giorno dell'espiazione, per poi essere mandata nel deserto a morire per le infedeltà di Israele. L'agnello: profezia, intuizione, stupore nel vedere un Messia nascosto e determinato, un Messia che ha già scelto di stare con gli ultimi, di portarne la fatica e il peccato, di condividerne la fragilità e il tormento.
I discepoli, sentendolo parlare così, seguono il Nazareno.
E' sempre qualcuno che ci indica il Signore, sempre qualcuno che ce ne ha parlato, ce lo ha indicato. Poi sta a noi seguire, scegliere, divenire discepoli. Ma la fede si comunica così: da bocca a orecchio, da vita a vita. Se siete discepoli, amici, qualcuno vi ha parlato del Rabbì, qualcuno che già era discepolo. Se qualcuno conoscerà il Rabbì, sarà attraverso la vostra esperienza, la vostra luce interiore.
Giovanni Battista non è un guru che si specchia nell'adorazione dei suoi seguaci: si stacca da loro con forza, vuole che essi, ora, crescano nella conoscenza autentica di Dio.
Vero modello del Pastore, il Battista rifiuta di essere al centro dell'attenzione, accetta volentieri di sparire per nascondersi dietro quella Parola cui egli ha imprestato la voce.
Una volta raggiunto Gesù, questi si volta e, sorprendentemente, chiede ai due discepoli di Giovanni: "Che cercate?". Potremmo a ragione tradurre "Che volete?". Cosa cerchiamo quando ci mettiamo alla ricerca di Gesù? Chi cerchiamo veramente?
E' una domanda all'apparenza dura e che pure rivela il profondo rispetto che Gesù ha nei confronti della nostra umanità. Può succedere, e lo vediamo, che la fede non sia ricerca, ma rifugio; che Dio non diventi Signore ma padrone; che la sua azione non sia grazia ma supplenza alle mie difficoltà... esiste, cioè, un modo di avvicinarsi alla fede che non ci fa crescere come uomini, ma che ci fa fuggire i problemi.
Il Signore mette a fuoco il senso della ricerca dei due discepoli, li invita a non lasciarsi andare al facile entusiasmo ma a riflettere sulla loro sequela. Anche per noi la ricerca della fede può essere un momento passeggero, euforico, legato ad un momento particolarmente carico di emotività.
Il Signore ci scrolla: vuole accanto a sé degli uomini consapevoli delle loro scelte.
La risposta dei discepoli rivela tutta l'insicurezza della loro scelta: "Maestro, dove abiti?". Non cogliete una richiesta di certezze in questa domanda? Un dire: "Prima di seguirti, facci vedere dove ci conduci"? Quanto bisogno di certezze abbiamo prima di poterci fidare... Quanti "se" e "ma" mettiamo prima di dire il nostro "sì" definitivo al Signore. E' lui che, allora come oggi, ci risponde: "Venite a vedere".
Non chiedere, fidati, muoviti, fa' diventare questa ricerca un'esperienza, investi...
La fede - quante volte lo dico! - non è "fare", "sapere" ma "conoscere".
Noi per primi siamo chiamati ad andare a vedere, noi per primi siamo chiamati a fare l'esperienza della sequela. Ed essi andarono. videro e restarono con lui. Dopo essersi fidati restano, accettano, si lasciano coinvolgere.
L'annotazione finale di Giovanni è simpaticissima: "erano circa le quattro del pomeriggio". Quel giorno, quell'istante, è così importante per lui che segna l'inizio di una vita nuova.
Sono passati forse sessant'anni da quell'evento e il discepolo ricorda l'ora precisa, tutto è cambiato, ormai, per Giovanni e Andrea: quel giorno è stato come l'inizio di una nuova Creazione.
Per chi incontra il Signore i giorni non sono più uguali, ma diventano gravidi di una luce nuova. Ecco ciò che ci attende nell'ordinarietà del nostro tempo: l'incontro con il Signore, l'esperienza della sequela. Se sapremo ogni giorno spalancare gli occhi e riconoscere l'Agnello che passa, potremo cambiare la nostra esperienza di vita in autenticità e in maggiore luce interiore.
venerdì 9 gennaio 2009
11 Gennaio 2009 - Battesimo del Signore
Sappiamo che Gesù non ha bisogno di lasciarsi alle spalle il male e il peccato, però sappiamo anche che da questo momento in poi, anche Gesù cambia la sua vita!
Per 30 anni, nessuno ha saputo granché di lui: lo conoscono solo i suoi parenti e la gente di Nazareth. Ha trascorso una vita normalissima, una vita come tante, senza che lasciasse capire che era il Figlio di Dio, il Messia atteso da sempre. Adesso, di fronte a Giovanni Battista, sulle rive del Giordano, Gesù sa che la sua vita sta per cambiare completamente. Non più solo figlio di Maria e Giuseppe, ma Rabbi, Maestro, sulle strade di tutta la Palestina che mostra il volto del Padre suo e Padre nostro.
Il battesimo che Gesù riceve da Giovanni non è per il perdono o per la rinuncia al male, ma è il segno del completo cambiamento che sta cominciando nella vita di Gesù.
Perciò insiste tanto con il cugino, fino a convincerlo; possiamo infatti immaginare una fila di persone che vanno da Giovanni per essere immerse nel Giordano: in quella fila si mette anche Gesù, che Giovanni ha appena definito «più forte di me, colui che battezzerà in Spirito Santo e fuoco»!
Questo recarsi di Gesù da Giovanni per essere battezzato apparirà azione scandalosa persino per i primi cristiani, alcuni dei quali cercheranno di minimizzare l’evento. Eppure tutti e quattro i Vangeli ce lo testimoniano: Gesù si associa ai peccatori nel chiedere a Giovanni il Battesimo. L’altro si oppone, ma Gesù ribatte: «Lascia fare per ora!», invitandolo a compiere la volontà di Dio, la sua giustizia: e la giustizia di Dio è quella particolare coerenza con cui egli intende realizzare la sua misericordia verso i peccatori, il suo disegno universale di salvezza. Giovanni allora acconsente e si sottomette al volere di Gesù, il quale a sua volta si sottomette a lui nel Battesimo.
Gesù realizzerà in pieno questa missione attraverso il battesimo pasquale (“C’è un battesimo che devo ricevere”) nelle acque simboliche della morte, da cui riemerge con la risurrezione. Dal suo fianco trafitto sgorgheranno acqua e sangue, cioè il battesimo e l’eucarestia, sacramenti della nuova vita. (Gv 19,34)
La festa del Battesimo del Signore conclude il tempo di Natale e dà inizio al Tempo Ordinario. Come l’evento del Battesimo di Gesù fu l’avvio della progressiva manifestazione del suo mistero al mondo, così la festa corrispondente è il principio di quel percorso che la Chiesa ci offre ogni anno per approfondire la nostra conoscenza vitale del mistero di Cristo. È, quindi, il periodo non soltanto per smontare il presepio e togliere gli addobbi dalla chiesa e dalle nostre case, ma di conoscere sempre più e sempre meglio il Signore che è nato per noi.
Proprio nel momento in cui Gesù risale da quell’acqua carica dei peccati dell’umanità, «si aprono i cieli ed egli vede lo Spirito di Dio scendere come colomba su di lui. Ed ecco una voce dal cielo: "Questi è il mio Figlio amato, nel quale ho posto la mia gioia"».
Così si compiono le Scritture e la giustizia di Dio si è realizzata: Dio voleva vedere Gesù così, in mezzo ai peccatori, e in quell’atto di abbassamento voleva riempirlo di Spirito Santo. È in questa inattesa epifania che ci è dato di cogliere l’unità dell’azione di salvezza di Dio: il Padre opera attraverso il Figlio Gesù conferendogli tutta la potenza dello Spirito.
La festa del Battesimo di Gesù è anche memoria del nostro Battesimo e, nel contempo, della voce di Dio rivolta a ciascuno di noi: «Tu sei mio figlio!». Ognuno di noi è figlio di Dio, ed è causa della sua gioia se, riconoscendosi peccatore, intraprende il cammino di conversione; su ognuno di noi scende e riposa lo Spirito se sappiamo invocarlo e apprestare tutto per accoglierlo. È così che possiamo sentirci figli di Dio, capaci di gridargli «Abbà, papà amato!» e di vivere delle energie dello Spirito: energie nascoste che pure non cessano di mostrarsi efficaci nella nostra vita, energie più forti del peccato e della morte.
Per 30 anni, nessuno ha saputo granché di lui: lo conoscono solo i suoi parenti e la gente di Nazareth. Ha trascorso una vita normalissima, una vita come tante, senza che lasciasse capire che era il Figlio di Dio, il Messia atteso da sempre. Adesso, di fronte a Giovanni Battista, sulle rive del Giordano, Gesù sa che la sua vita sta per cambiare completamente. Non più solo figlio di Maria e Giuseppe, ma Rabbi, Maestro, sulle strade di tutta la Palestina che mostra il volto del Padre suo e Padre nostro.
Il battesimo che Gesù riceve da Giovanni non è per il perdono o per la rinuncia al male, ma è il segno del completo cambiamento che sta cominciando nella vita di Gesù.
Perciò insiste tanto con il cugino, fino a convincerlo; possiamo infatti immaginare una fila di persone che vanno da Giovanni per essere immerse nel Giordano: in quella fila si mette anche Gesù, che Giovanni ha appena definito «più forte di me, colui che battezzerà in Spirito Santo e fuoco»!
Questo recarsi di Gesù da Giovanni per essere battezzato apparirà azione scandalosa persino per i primi cristiani, alcuni dei quali cercheranno di minimizzare l’evento. Eppure tutti e quattro i Vangeli ce lo testimoniano: Gesù si associa ai peccatori nel chiedere a Giovanni il Battesimo. L’altro si oppone, ma Gesù ribatte: «Lascia fare per ora!», invitandolo a compiere la volontà di Dio, la sua giustizia: e la giustizia di Dio è quella particolare coerenza con cui egli intende realizzare la sua misericordia verso i peccatori, il suo disegno universale di salvezza. Giovanni allora acconsente e si sottomette al volere di Gesù, il quale a sua volta si sottomette a lui nel Battesimo.
Gesù realizzerà in pieno questa missione attraverso il battesimo pasquale (“C’è un battesimo che devo ricevere”) nelle acque simboliche della morte, da cui riemerge con la risurrezione. Dal suo fianco trafitto sgorgheranno acqua e sangue, cioè il battesimo e l’eucarestia, sacramenti della nuova vita. (Gv 19,34)
La festa del Battesimo del Signore conclude il tempo di Natale e dà inizio al Tempo Ordinario. Come l’evento del Battesimo di Gesù fu l’avvio della progressiva manifestazione del suo mistero al mondo, così la festa corrispondente è il principio di quel percorso che la Chiesa ci offre ogni anno per approfondire la nostra conoscenza vitale del mistero di Cristo. È, quindi, il periodo non soltanto per smontare il presepio e togliere gli addobbi dalla chiesa e dalle nostre case, ma di conoscere sempre più e sempre meglio il Signore che è nato per noi.
Proprio nel momento in cui Gesù risale da quell’acqua carica dei peccati dell’umanità, «si aprono i cieli ed egli vede lo Spirito di Dio scendere come colomba su di lui. Ed ecco una voce dal cielo: "Questi è il mio Figlio amato, nel quale ho posto la mia gioia"».
Così si compiono le Scritture e la giustizia di Dio si è realizzata: Dio voleva vedere Gesù così, in mezzo ai peccatori, e in quell’atto di abbassamento voleva riempirlo di Spirito Santo. È in questa inattesa epifania che ci è dato di cogliere l’unità dell’azione di salvezza di Dio: il Padre opera attraverso il Figlio Gesù conferendogli tutta la potenza dello Spirito.
La festa del Battesimo di Gesù è anche memoria del nostro Battesimo e, nel contempo, della voce di Dio rivolta a ciascuno di noi: «Tu sei mio figlio!». Ognuno di noi è figlio di Dio, ed è causa della sua gioia se, riconoscendosi peccatore, intraprende il cammino di conversione; su ognuno di noi scende e riposa lo Spirito se sappiamo invocarlo e apprestare tutto per accoglierlo. È così che possiamo sentirci figli di Dio, capaci di gridargli «Abbà, papà amato!» e di vivere delle energie dello Spirito: energie nascoste che pure non cessano di mostrarsi efficaci nella nostra vita, energie più forti del peccato e della morte.
sabato 20 dicembre 2008
25 Dicembre 2008 - Natale del Signore
«Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce. Su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (Is 9,1).
Il nostro mondo è avvolto dalle tenebre e noi siamo stanchi di vivere così! Noi abbiamo bisogno di voltare pagina e di iniziare una storia nuova, una stagione nuova della vita, in cui solo Cristo, la Luce del mondo, può essere la nostra bussola!
Siamo stanchi di sottoporci alle strutture di peccato e di morte che annientano quella dignità umana che oggi Cristo Gesù ha assunto.
Il Bambino di Betlemme ci spalanca le sue braccia, attende la nostra sincera adorazione! Egli è la luce che brilla in mezzo a noi, in mezzo al nostro mondo senza pace! Per questo, ciascuno di noi può sentirsi irradiato dallo splendore della Luce di Dio.
«Un bambino è nato per noi» (Is 9,5).
Ai nostri giorni, con tutta la buona volontà, credo sia difficile cogliere il Natale: quanti problemi accompagnano le nostre famiglie e l'intera società: malattie, guerre, terrorismo, i poveri che diventano sempre più poveri e i ricchi che diventano sempre più ricchi... Non possiamo pensare di celebrare il Natale con le luci, i pranzi, le cene, i regali...
La pagina di Isaia che abbiamo citato è un grande annuncio di gioia per il mondo: se Dio rinnova per noi il suo Natale è segno che Egli non si è ancora stancato di amarci, di darci fiducia, di offrirci il suo perdono e la sua pace, di farci dono della salvezza!
Ai nostri giorni Dio non si è stancato di bussare alla porta del nostro cuore e di attendere la nostra accoglienza sincera e definitiva.
Egli vuole ancora incarnarsi nei nostri cuori e nella nostra società, dove i valori sembrano cancellati dalla memoria, dove l'uomo uccide ancora e brama vendetta, dove aumentano gli abusi sulle donne e sui minori, dove la droga continua a diffondere i paradisi artificiali della morte...
«E' apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini» (Tt 2,11).
Il mistero dell'Amore di Dio è in quel Bambino che vediamo nel presepe!
L'atmosfera del Natale è sempre bella, perché è capace di diffondere davvero tanta bontà, tanta felicità, tanti sorrisi... doni semplici che nulla hanno a che vedere con il consumismo di questi giorni!
Ma Natale può essere anche ogni giorno, se il nostro cuore pulsa d'amore per il fratello che ci sta accanto, con cui condividiamo la strada, la scuola, il lavoro, l'impegno in Parrocchia... La nostra salvezza è l'Amore, l'Amore di Dio che accogliamo e che siamo capaci di condividere con i fratelli, soprattutto con quelli afflitti da antiche e nuove povertà.
«... lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo» (Lc 2,7).
In quest'ora in cui i nostri cuori sono a Betlemme per contemplare la nascita del Salvatore, non possiamo non guardare a Maria e Giuseppe nella difficoltà: non c'è un luogo stabile per accogliere il Figlio di Dio, oggi come allora!
Dio nasce ancora oggi in luoghi peggiori della mangiatoia e spesso viene anche ucciso, perché scomodo! Pensiamo alle tante vite, che oggi non hanno più dignità, che vengono uccise perché considerate un "errore" di giovinezza o un "prodotto" non desiderato di laboratorio...
Ancora oggi non vogliamo fare posto a Dio che si fa' uomo per noi, perché – lo sappiamo bene – Lui ci è troppo scomodo, è troppo esigente, dovremmo fare troppe rinunzie...
Fratelli, non c'è posto per il Figlio di Dio in questo mondo se non c'è posto per la vita, se non c'è posto per l'Amore! «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore» (Lc 2,10-11).
È l'annuncio dell'angelo ai pastori che vegliavano il gregge nella gelida notte. Ma è anche l'annuncio che giunge a noi e che noi dobbiamo portare al mondo, se vogliamo davvero dare un senso alla nostra presenza qui, adesso!
Per tanti, probabilmente, non sarà Natale, perché hanno perso un loro congiunto in tenera età, o perché il dolore ha bussato alla loro porta con un male incurabile, o perché non sanno con chi condividere la gioia di questo giorno... Certo, è difficile poter pensare alla gioia ed alla festa di questo giorno che è spuntato.
Ma, come cristiani autentici, dobbiamo compiere il gesto di contagiare il mondo di gioia e, specialmente, tutte quelle persone che ora sono in difficoltà per i motivi sopra accennati e per altri ancora!
È Natale se sappiamo dire a tutti che Dio è con noi, è dalla nostra parte sempre, è sempre pronto a nascere ed immolarsi per noi!
«Cantate al Signore un canto nuovo» (Sal 97).
Vogliamo uscire dalla chiesa, in questa notte santa, davvero rinnovati, raggianti della luce di Betlemme, non più camminatori stanchi "in questa valle di lacrime", ma viandanti pieni di speranza verso il Cielo, quel Cielo che oggi tocca la terra e la inonda d'Amore senza fine.
Vogliamo, in questa notte, dare lode a Dio con Maria, la Madre di Dio e la Mamma nostra celeste. Diciamo "Grazie!" a Lei per averci donato Gesù! E vogliamo pregarla di tenerci tutti tra le sue braccia come tenne il Figlio di Dio fatto uomo: il suo Amore materno possa raggiungere il nostro cuore e consolarci di quella speranza che è novità di vita.
Sia questo l'augurio che vicendevolmente ci scambiamo in questo giorno di luce, auguri colmi di speranza e di gioia, dove ogni rancore e odio sono spenti dalla pace del Bambino di Betlemme! Buon Natale!
Il nostro mondo è avvolto dalle tenebre e noi siamo stanchi di vivere così! Noi abbiamo bisogno di voltare pagina e di iniziare una storia nuova, una stagione nuova della vita, in cui solo Cristo, la Luce del mondo, può essere la nostra bussola!
Siamo stanchi di sottoporci alle strutture di peccato e di morte che annientano quella dignità umana che oggi Cristo Gesù ha assunto.
Il Bambino di Betlemme ci spalanca le sue braccia, attende la nostra sincera adorazione! Egli è la luce che brilla in mezzo a noi, in mezzo al nostro mondo senza pace! Per questo, ciascuno di noi può sentirsi irradiato dallo splendore della Luce di Dio.
«Un bambino è nato per noi» (Is 9,5).
Ai nostri giorni, con tutta la buona volontà, credo sia difficile cogliere il Natale: quanti problemi accompagnano le nostre famiglie e l'intera società: malattie, guerre, terrorismo, i poveri che diventano sempre più poveri e i ricchi che diventano sempre più ricchi... Non possiamo pensare di celebrare il Natale con le luci, i pranzi, le cene, i regali...
La pagina di Isaia che abbiamo citato è un grande annuncio di gioia per il mondo: se Dio rinnova per noi il suo Natale è segno che Egli non si è ancora stancato di amarci, di darci fiducia, di offrirci il suo perdono e la sua pace, di farci dono della salvezza!
Ai nostri giorni Dio non si è stancato di bussare alla porta del nostro cuore e di attendere la nostra accoglienza sincera e definitiva.
Egli vuole ancora incarnarsi nei nostri cuori e nella nostra società, dove i valori sembrano cancellati dalla memoria, dove l'uomo uccide ancora e brama vendetta, dove aumentano gli abusi sulle donne e sui minori, dove la droga continua a diffondere i paradisi artificiali della morte...
«E' apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini» (Tt 2,11).
Il mistero dell'Amore di Dio è in quel Bambino che vediamo nel presepe!
L'atmosfera del Natale è sempre bella, perché è capace di diffondere davvero tanta bontà, tanta felicità, tanti sorrisi... doni semplici che nulla hanno a che vedere con il consumismo di questi giorni!
Ma Natale può essere anche ogni giorno, se il nostro cuore pulsa d'amore per il fratello che ci sta accanto, con cui condividiamo la strada, la scuola, il lavoro, l'impegno in Parrocchia... La nostra salvezza è l'Amore, l'Amore di Dio che accogliamo e che siamo capaci di condividere con i fratelli, soprattutto con quelli afflitti da antiche e nuove povertà.
«... lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo» (Lc 2,7).
In quest'ora in cui i nostri cuori sono a Betlemme per contemplare la nascita del Salvatore, non possiamo non guardare a Maria e Giuseppe nella difficoltà: non c'è un luogo stabile per accogliere il Figlio di Dio, oggi come allora!
Dio nasce ancora oggi in luoghi peggiori della mangiatoia e spesso viene anche ucciso, perché scomodo! Pensiamo alle tante vite, che oggi non hanno più dignità, che vengono uccise perché considerate un "errore" di giovinezza o un "prodotto" non desiderato di laboratorio...
Ancora oggi non vogliamo fare posto a Dio che si fa' uomo per noi, perché – lo sappiamo bene – Lui ci è troppo scomodo, è troppo esigente, dovremmo fare troppe rinunzie...
Fratelli, non c'è posto per il Figlio di Dio in questo mondo se non c'è posto per la vita, se non c'è posto per l'Amore! «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore» (Lc 2,10-11).
È l'annuncio dell'angelo ai pastori che vegliavano il gregge nella gelida notte. Ma è anche l'annuncio che giunge a noi e che noi dobbiamo portare al mondo, se vogliamo davvero dare un senso alla nostra presenza qui, adesso!
Per tanti, probabilmente, non sarà Natale, perché hanno perso un loro congiunto in tenera età, o perché il dolore ha bussato alla loro porta con un male incurabile, o perché non sanno con chi condividere la gioia di questo giorno... Certo, è difficile poter pensare alla gioia ed alla festa di questo giorno che è spuntato.
Ma, come cristiani autentici, dobbiamo compiere il gesto di contagiare il mondo di gioia e, specialmente, tutte quelle persone che ora sono in difficoltà per i motivi sopra accennati e per altri ancora!
È Natale se sappiamo dire a tutti che Dio è con noi, è dalla nostra parte sempre, è sempre pronto a nascere ed immolarsi per noi!
«Cantate al Signore un canto nuovo» (Sal 97).
Vogliamo uscire dalla chiesa, in questa notte santa, davvero rinnovati, raggianti della luce di Betlemme, non più camminatori stanchi "in questa valle di lacrime", ma viandanti pieni di speranza verso il Cielo, quel Cielo che oggi tocca la terra e la inonda d'Amore senza fine.
Vogliamo, in questa notte, dare lode a Dio con Maria, la Madre di Dio e la Mamma nostra celeste. Diciamo "Grazie!" a Lei per averci donato Gesù! E vogliamo pregarla di tenerci tutti tra le sue braccia come tenne il Figlio di Dio fatto uomo: il suo Amore materno possa raggiungere il nostro cuore e consolarci di quella speranza che è novità di vita.
Sia questo l'augurio che vicendevolmente ci scambiamo in questo giorno di luce, auguri colmi di speranza e di gioia, dove ogni rancore e odio sono spenti dalla pace del Bambino di Betlemme! Buon Natale!
21 Dicembre 2008 - IV Domenica di Avvento
C'è una progressione nella liturgia dell'Avvento. Nella prima settimana, la figura dominante è Isaia, il profeta che annunciò la venuta del Messia da lontano; nella seconda e terza settimana, è Giovanni Batista, il precursore che addita il Messia presente; nella quarta settimana, la figura centrale, la guida spirituale è Maria, la Madre che dà alla luce il Messia.
Sull'esempio di Maria Santissima, il messaggio conclusivo dell'Avvento è: "Accogliete!"
Accogliete il Signore! Sarebbe inutile preparargli la strada se non lo si accoglie. Ma cosa significa accogliere il Signore? La parola di Dio ce lo spiega con i personaggi di Davide e Maria.
Davide vuole costruire una casa al Signore. È un desiderio molto buono. Ma rischia di instaurare un rapporto con Dio di sufficienza e di distanza.
Sufficienza: Davide si sente di fare una cosa grande per Dio; invece è sempre il Signore che ci dà ogni cosa, ogni bene, ogni possibilità. Distanza: perché la presenza di Dio nel tempio è una sicurezza, perché abita in mezzo ai suoi; a Lui si va ogni tanto, per i sacrifici e le preghiere, perché faccia quello che gli viene chiesto, ma fuori si svolge tutta la vita ordinaria, dei singoli e del popolo.
Per Maria è il contrario. Accetta di fare entrare Dio nella sua casa, nella sua vita, anche se sconvolge tutti i suoi progetti, anche se è difficile capire cosa voglia, dove desideri portarla.
Accogliere il Signore significa fare come Maria. Accettare i suoi progetti, le sue proposte, lasciarsi portare, fidarsi. Ogni giorno, in ogni luogo, in ogni situazione.
Accogliere Dio significa accettare di diventare la sua casa, avere questo ospite unico, infinito nella sua luce, nel suo amore, nella sua bontà.
Questo è avvenuto in maniera unica in Maria. In lei si realizza il progetto di Dio sull'umanità. Maria, questa umile ragazza dice il suo "Sì". Maria, nella sua delicatezza, nella semplicità di quel piccolo paese, Nazareth, accoglie la sua Parola.
"Non temere, Maria".
Non era facile per Maria accogliere questo progetto. Dio non le ha tolto le difficoltà della scelta, perché la sua fosse una scelta libera.
Tanta gente ha dei dubbi. I dubbi non sono peccati, ma una occasione per dare una risposta cosciente, consapevole, per crescere nella fede. La fede non è un sentimento, ma una certezza, in qualunque situazione bella o triste: Dio, il suo amore, il valore della nostra vita nel suo progetto di salvezza!
Maria è un esempio per tutti noi cristiani. Ci insegna come accogliere la Parola di Dio, nella vita ordinaria, nella libertà e nella generosità delle nostre scelte.
Come è possibile?
Lo Spirito del Signore scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà della sua ombra.
Lo Spirito Santo può compiere sempre cose grandi in chi si apre a Lui nella fedeltà e nella generosità del cuore, come ha fatto Maria.
Niente è impossibile davanti a Dio. Tutto è possibile a chi crede, ha scritto un maestro di vita spirituale.
Ed è così che ci si apre a Dio e ai suoi progetti di salvezza che ama realizzare con la collaborazione degli uomini.
"Eccomi, sono la serva del Signore.", con queste parole Maria ha fatto il suo atto di fede. Ha creduto, ha accolto Dio nella sua vita, si è affidata a Lui. Questo significa credere.
E' importante penare alla fede di Maria, perché ci stiamo avvicinando al Natale e la fede è il segreto per fare un vero Natale. Si potrebbe pensare che quella di Maria fosse una fede facile. Invece è stato l'atto di fede più difficile della storia. A chi potrà spiegare Maria ciò che è avvenuto in lei? Chi le crederà quando dirà che il bimbo che porta in grembo è opera dello Spirito Santo? Questa cosa non è mai successa prima di lei e non succederà mai dopo di lei.
La fede di Maria non è consistita tanto nel fatto di credere a un certo numero di verità. E' conistita nel fatto che si è fidata di Dio, si è completamente rimessa a Lui. H accolto Dio nella sua vita. Ha detto il suo "sì" a occhi chiusi. Ha creduto che "nulla è impossibile a Dio". Ha detto il suo sì totale e gioioso.
S. Agostino ha detto che Maria ha concepito per fede e ha partorito per fede, anzi che concepì Cristo prima nel cuore che nel corpo. Noi non possiamo imitare Maria nel concepire e dare alla luce fisicamente Gesù; possiamo e dobbiamo imitarla nel concepirlo e darlo alla luce spiritualmente, mediante la fede.
"Che giova a me - hanno scritto Origene e S. Bernardo - che Gesù sia nato una volta a Betlemme di Giudea, se poi non nasce di nuovo, per fede, nel mio cuore?"
Si tratta così di accoglierlo veramente nella fede, nella vita, nella grazia e nella santità che ci porta, nell'amore al prossimo così come Lui l'ha insegnato e vissuto fin dalla sua tenerezza di piccolo appena nato a Betlemme.
Sull'esempio di Maria Santissima, il messaggio conclusivo dell'Avvento è: "Accogliete!"
Accogliete il Signore! Sarebbe inutile preparargli la strada se non lo si accoglie. Ma cosa significa accogliere il Signore? La parola di Dio ce lo spiega con i personaggi di Davide e Maria.
Davide vuole costruire una casa al Signore. È un desiderio molto buono. Ma rischia di instaurare un rapporto con Dio di sufficienza e di distanza.
Sufficienza: Davide si sente di fare una cosa grande per Dio; invece è sempre il Signore che ci dà ogni cosa, ogni bene, ogni possibilità. Distanza: perché la presenza di Dio nel tempio è una sicurezza, perché abita in mezzo ai suoi; a Lui si va ogni tanto, per i sacrifici e le preghiere, perché faccia quello che gli viene chiesto, ma fuori si svolge tutta la vita ordinaria, dei singoli e del popolo.
Per Maria è il contrario. Accetta di fare entrare Dio nella sua casa, nella sua vita, anche se sconvolge tutti i suoi progetti, anche se è difficile capire cosa voglia, dove desideri portarla.
Accogliere il Signore significa fare come Maria. Accettare i suoi progetti, le sue proposte, lasciarsi portare, fidarsi. Ogni giorno, in ogni luogo, in ogni situazione.
Accogliere Dio significa accettare di diventare la sua casa, avere questo ospite unico, infinito nella sua luce, nel suo amore, nella sua bontà.
Questo è avvenuto in maniera unica in Maria. In lei si realizza il progetto di Dio sull'umanità. Maria, questa umile ragazza dice il suo "Sì". Maria, nella sua delicatezza, nella semplicità di quel piccolo paese, Nazareth, accoglie la sua Parola.
"Non temere, Maria".
Non era facile per Maria accogliere questo progetto. Dio non le ha tolto le difficoltà della scelta, perché la sua fosse una scelta libera.
Tanta gente ha dei dubbi. I dubbi non sono peccati, ma una occasione per dare una risposta cosciente, consapevole, per crescere nella fede. La fede non è un sentimento, ma una certezza, in qualunque situazione bella o triste: Dio, il suo amore, il valore della nostra vita nel suo progetto di salvezza!
Maria è un esempio per tutti noi cristiani. Ci insegna come accogliere la Parola di Dio, nella vita ordinaria, nella libertà e nella generosità delle nostre scelte.
Come è possibile?
Lo Spirito del Signore scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà della sua ombra.
Lo Spirito Santo può compiere sempre cose grandi in chi si apre a Lui nella fedeltà e nella generosità del cuore, come ha fatto Maria.
Niente è impossibile davanti a Dio. Tutto è possibile a chi crede, ha scritto un maestro di vita spirituale.
Ed è così che ci si apre a Dio e ai suoi progetti di salvezza che ama realizzare con la collaborazione degli uomini.
"Eccomi, sono la serva del Signore.", con queste parole Maria ha fatto il suo atto di fede. Ha creduto, ha accolto Dio nella sua vita, si è affidata a Lui. Questo significa credere.
E' importante penare alla fede di Maria, perché ci stiamo avvicinando al Natale e la fede è il segreto per fare un vero Natale. Si potrebbe pensare che quella di Maria fosse una fede facile. Invece è stato l'atto di fede più difficile della storia. A chi potrà spiegare Maria ciò che è avvenuto in lei? Chi le crederà quando dirà che il bimbo che porta in grembo è opera dello Spirito Santo? Questa cosa non è mai successa prima di lei e non succederà mai dopo di lei.
La fede di Maria non è consistita tanto nel fatto di credere a un certo numero di verità. E' conistita nel fatto che si è fidata di Dio, si è completamente rimessa a Lui. H accolto Dio nella sua vita. Ha detto il suo "sì" a occhi chiusi. Ha creduto che "nulla è impossibile a Dio". Ha detto il suo sì totale e gioioso.
S. Agostino ha detto che Maria ha concepito per fede e ha partorito per fede, anzi che concepì Cristo prima nel cuore che nel corpo. Noi non possiamo imitare Maria nel concepire e dare alla luce fisicamente Gesù; possiamo e dobbiamo imitarla nel concepirlo e darlo alla luce spiritualmente, mediante la fede.
"Che giova a me - hanno scritto Origene e S. Bernardo - che Gesù sia nato una volta a Betlemme di Giudea, se poi non nasce di nuovo, per fede, nel mio cuore?"
Si tratta così di accoglierlo veramente nella fede, nella vita, nella grazia e nella santità che ci porta, nell'amore al prossimo così come Lui l'ha insegnato e vissuto fin dalla sua tenerezza di piccolo appena nato a Betlemme.
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