«Allora entrò anche l’altro
discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non
avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai
morti». (Gv 20,1-9)
Pasqua:
una parola profonda, carica di significato. Vuol dire, passare, salvare, risparmiare. La parola ebraica pesah (da cui pasqua) indica appunto il grande passaggio del Mar Rosso. Ricordate? In Egitto gli Ebrei erano
schiavi del faraone; non hanno praticamente nulla; pane, cipolle e un lavoro
massacrante; ma, quel che è peggio, sono affetti da un male ancor più grave e terribile:
l’abitudine. Si sono cioè abituati a questa non-vita, si sono abituati a vivere
da schiavi, a vivere una vita che non è vita, che non ha nulla di “umano”, che
è decisamente morte.Ecco, fratelli, questo può diventare anche il nostro dramma: confondere cioè la “vita” con la schiavitù. Di qualunque genere essa sia. E abituarci, affezionarci a questa schiavitù.
Del resto guardiamoci intorno: non è forse un dramma quello di pensare di vivere da liberi, quando invece siamo schiavi, sottomessi, dominati dai nostri istinti, dal nostro egoismo, dalle nostre passioni, dalla nostra cattiveria? Ebbene: Pasqua deve costituire anche per noi un autentico “passaggio”: passare cioè da uno stato di dipendenza negativa, dal male, dal mondo, da una mentalità “laica”, ad una entusiasmante e rigenerante libertà. Certo, è un passaggio difficile, un passaggio che può sembrare addirittura impossibile, un passaggio per il quale dobbiamo necessariamente ricorrere all’aiuto di Qualcuno, di fidarci ciecamente di Qualcuno. Ed è questo il messaggio che le parole di Cristo, nostra Pasqua, oggi ci trasmettono in tono perentorio: “Vivi da uomo libero. Non buttarti via, non continuare ad illuderti, non vivere più da schiavo. Io ti ho affrancato”.
Ascoltiamo questo invito, fratelli, facciamo in modo che per noi la Pasqua significhi veramente un punto fermo: se dobbiamo compiere questo passaggio, facciamolo, non perdiamo altro tempo! Se ci viene chiesto di vivere la Pasqua, facciamolo, con tutta la generosità del nostro cuore! Se dobbiamo affrontare questo passaggio, così determinante e improrogabile, non rimandiamolo oltre, ma buttiamoci dentro con forza ed entusiasmo! Perché questa è la nostra Pasqua!
Abbiamo detto che pesah, pasqua, oltre che passare, vuol dire anche salvare, risparmiare: come ha fatto Dio con gli Israeliti che, contrariamente agli Egiziani, sono stati risparmiati, hanno avuto salva la vita di tutti i loro primogeniti. L’Egitto invece, succube di un faraone dal cuore “duro”, testardo, irremovibile, è stato colpito da una serie di “segni” divini, da una serie di “prove” della potenza divina. Nove, per l’esattezza, sono stati questi segni. Esattamente come nove sono i mesi necessari ad una creatura per nascere, per entrare nella vita, per “risorgere” ad una nuova realtà. In questo frangente il cuore del faraone non si è sviluppato, non è nato, non è cresciuto: il faraone non è riuscito a formare dentro di sé un “figlio”, un’anima, ed è morto. E questo è quanto succede anche a noi quando non ci sviluppiamo dentro, quando non ci curiamo di formare una nostra vita interiore: automaticamente, con il nulla all’interno, moriamo anche all’esterno, nella nostra vita di relazione. Se all’interno non abbiamo l’anima, all’esterno costruiremo soltanto un arido guscio, un inutile apparire, ancorato nel nulla; otterremmo un fallimento totale che ci porta inesorabilmente al vuoto più assoluto, alla morte.
Pasqua invece è vita: rinasciamo, risorgiamo con Cristo! L’unico invito che Gesù, nostra Pasqua, ci ripete oggi, è “Vivi! Vivi per me! Vivi insieme a me!”. Certo, fratelli, questa non è una vita che si improvvisi, non cade dal cielo; tutti siamo chiamati a sacrificare il nostro agnello: è un procedimento faticoso, a volte lacerante; ma se affronteremo con decisione il cammino nel deserto, se attraverseremo coraggiosamente il nostro “mar Rosso”, sicuramente, alla fine, anche noi conquisteremo la nostra terra della libertà. Allora sì che vivremo per davvero, fratelli. Allora sì che saremo definitivamente vittoriosi sulla “morte”; perché il segreto di Pasqua è il segreto di una Vita immortale, in assoluto la più forte e invincibile.
Una vita che se ascoltiamo l’invito di Gesù, se andiamo al massimo delle nostre possibilità, se investiamo tutta l’estensione del nostro cuore, tutta la ricchezza della nostra anima, tutta l’intensità del nostro amore, tutta la passione di cui siamo capaci, sicuramente è alla nostra portata.
Può capitarci a volte di chiedere a qualcuno come gli vada la vita: “Bene!”, ci sentiamo rispondere. Ma, guardandolo, ci accorgiamo che questo suo “bene” non è altro che un misero “tirare avanti”, un sopravvivere: non c’è “vita” nei suoi occhi, non c’è energia nelle sue parole; il suo “Va bene” in realtà significa: “Non va per niente bene, sono morto, mi sono spento; non ho più fiato, arranco, vado avanti a tentoni; ormai mi sono abituato, e mi va bene così!”.
Ebbene, che non succeda mai una cosa simile anche a noi, fratelli! Non contrabbandiamo l’abitudine ad una non-vita, con la gioia di una vita vera, da liberi, da eredi!
Dovunque andava, Gesù ci provava sempre: cercava cioè di risvegliare in tutti la scintilla della loro vita; una scintilla vitale magari assopita, addormentata, ma mai spenta; perché questa è la verità che Egli ci ha voluto insegnare: la Vita, quella vera, non muore mai. E per quanto sembriamo spenti, prosciugati di ogni energia, lontani dalla realtà, alienati dalla paura, nonostante ciò il respiro della nostra anima, il sigillo di Dio, non cessa; resiste sempre; magari è in letargo, è coperto di incrostazioni, oscurato, ma, sotto sotto, vive tenacemente; anche se in forma minima, la nostra scintilla di Dio sopravvive sempre e comunque. Si tratta di risvegliarla, di ravvivarla, di stimolarla, di riaccenderla.
Noi viviamo nel buio, è vero. Ma quel che è peggio, noi amiamo questo buio; dovremmo guardare in faccia a qualcosa di molto importante e vitale, ma non vogliamo farlo, non lo vogliamo di proposito: abbiamo paura, e chiudiamo gli occhi. Lo so, vedere certe cose di noi, prenderne coscienza, ci fa paura. Ma nel buio, fratelli, non c’è possibilità di Vita; c’è solo menzogna, illusione; significa vivere non da “figli della luce”, ma da “figli delle tenebre” (Gv 1,5).
Ci rifiutiamo di guardare, perché continuiamo a fare cose che la nostra anima non vuole fare, continuiamo a vivere vite moribonde che il nostro cuore non accetta di vivere. Per questo ci paralizziamo, abbiamo paura di scegliere, di sbagliare, di soffrire. Ci blocchiamo perché, non ascoltando il nostro cuore, non troviamo nessun’altra strada, temiamo di ritrovarci soli, e abbiamo paura di percorrere strade nuove, sconosciute, mai percorse.
Ascoltiamo invece Gesù che ci dice: “Amico, alzati, prendi il tuo lettuccio, fai la tua strada con le tue gambe!”. Perché è vero. Tutti abbiamo le nostre gambe: dobbiamo semplicemente rendercene conto, metterle in moto e camminare da soli, smettendo di fare i falsi invalidi, di farci compatire, di affidarci alla pietà altrui. Prendiamo in mano la nostra vita e percorriamola con decisione come Lui suggerisce al nostro cuore. Perché per noi questo è Pasqua!
Ricordate il Vangelo? Lebbrosi, figli morti, padri che si inginocchiano a pregare, madri distrutte dal dolore, persone che sembrano perse nei loro peccati, persone emarginate da tutti, gente insomma la cui vita sembra spenta, morta, persa. Bene: Gesù avvicinava tutti e li guariva tutti. Il suo annuncio era: “Dio, la Vita, è il più forte!”. Ne era convinto. Lo disse, lo visse, lo testimoniò.
Poi però, un giorno, anche lui morì. E per i suoi fu la fine. Se ne tornarono a casa delusi. Avevano creduto e puntato tutto su di Lui, ma la morte sembrava averlo vinto. Sembrava, fratelli; semplicemente sembrava: perché, i pusillanimi, ben presto fecero la scoperta più grande e più imprevedibile della loro vita: non è stata la morte ad avere l’ultima parola. È Lui che ha vinto la morte, è Lui che vive. Lui è vivo. E, forti di questa constatazione, improvvisamente agguerriti, nessuno più riuscì a fermarli; andarono in tutto il mondo, testimoniando nient’altro che questo: “Lui è vivo. La Vita è più forte della morte, di ogni morte. Tutto quello che ci aveva detto, è vero. Lui è la Vita vera”.
Oggi noi, quando sentiamo queste parole, pensiamo immediatamente all’altra vita, a quella vera che viene dopo, al Paradiso. Ed è giusto. Ma se non fosse proprio così? Se non fosse solo questo? E se la nostra vita attuale fosse, già da ora, una pallida sembianza dell’altra vita, quella vera? E se la vita che viviamo all’esterno, il nostro mondo, fosse lo specchio della nostra anima, del nostro mondo interiore? Se il mondo reale fosse non tanto quello che vediamo, che ci circonda, ma quello che abbiamo dentro?
Quando noi diciamo: “Il mondo è proprio cattivo, è irriconoscibile: c’è violenza, c’è odio, ci sono stupri e aggressioni, ci sono imbrogli e ruberie”, ci siamo mai chiesto cosa nutriamo dentro il nostro cuore? E se fosse che il mondo esterno va così proprio perché il mondo che è dentro di noi, va esattamente allo stesso modo? Siamo certi di poter escludere che tutto il male che vediamo all’esterno, non sia già presente dentro di noi? Non dimentichiamo che Gesù dice: “È dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini, che escono le intenzioni cattive!” (Mc 7,21).
Parole sacrosante, fratelli, da meditare seriamente; perché, in verità, il male il più delle volte non è fuori, ma dentro di noi! Non viviamo in due mondi distinti, in due realtà completamente separate: ma quello che pensiamo di fare per noi stessi, finiamo per farlo anche per i nostri fratelli, sia esso bene o male: se ci amiamo, li amiamo. Se ci odiamo, li odiamo.
Pasqua è la vittoria sulla morte. Un tema ostico, per noi, quello della morte: sappiamo bene che un giorno dobbiamo morire, ma non ci pensiamo, è l’ultima delle nostre preoccupazioni; anche perché se ci pensassimo seriamente, ci assalirebbe l’angoscia. Chi però ci osserva, e non crede nella Pasqua, ha ragione di chiedersi che senso ha fare ciò che facciamo, dal momento che poi tutti devono morire e tutto finisce. In effetti, che senso avrebbe il nostro amare, il nostro cercare e dare Amore, il nostro lottare contro il male, se poi tutto passasse e tutto finisse? Ma la Pasqua ci dice che la vita non finisce qui: che è solo un passaggio; che Cristo, sconfiggendo la morte “in un duello prodigioso”, ci ha riservato una esistenza eterna inimmaginabile.
A questo punto la morte perde ogni sua prospettiva terrificante, non ha più alcun valore per noi, perché è la Vita vera che ci attrae: ma allora, scusate, se è la Vita infinita che ci attrae, perché continuiamo a vivere “da morti”? Possibile mai? Non può essere! Eppure è vero, fratelli: cosa esprime infatti il nostro volto perennemente incupito? Cosa dicono le nostre parole stizzite? Non siamo forse noi quelli che serbano rancore per un nonnulla, quelli a cui non va bene mai niente, quelli che sono sempre acidi e nervosi? E le nostre scelte? Non ne facciamo; meglio non farne, piuttosto che sbagliare e venire criticati. Insomma, se amiamo la Vita come diciamo, perché ci comportiamo “da morti”? È semplice: perché nei fatti ancora non crediamo nella Vita; perché, tutto sommato, siamo ancora convinti che solo questa sia la nostra vita, e quindi le siamo terribilmente attaccati, abbiamo tanta paura di perderla. E viviamo nell’angoscia; anzi non viviamo proprio, perché siamo sempre all’attacco, sempre ombrosi, sempre diffidenti. Non ci capacitiamo della precarietà dell’oggi, non alziamo il nostro sguardo a Cristo risorto, a Lui portatore di Vita immortale, a Lui nostra Pasqua di risurrezione.
Anche gli apostoli, mentre andavano al sepolcro, non avevano ancora capito le Parole che Gesù aveva detto loro: che cioè il Cristo “doveva risuscitare dai morti” (20,9). Per questo, morto Lui, se ne tornarono a casa, nello sconforto più profondo. Pensavano: “Beh, è stata una bella esperienza, peccato che ora sia tutto finito”. Anche per loro la morte era la fine di tutto; era ancora impensabile e improponibile una morte come principio di vittoria e di vita, una morte come ri-nascita. Fu lì, al sepolcro, che fecero l’incredibile, l’irrazionale, l’indicibile scoperta: che le cose non erano così come loro le pensavano. La realtà andava ben oltre: nella vita attuale si innesta una Vita più grande, più bella, più intensa, che non ha mai fine.
Questo fratelli è il miracolo della nostra Pasqua, il miracolo che ci deve contagiare, che ci deve radicalmente cambiare: esattamente come è successo con il miracolo “storico” della resurrezione, che riuscì a trasformare definitivamente, in maniera inspiegabile, uomini pieni di paura, traditori (come Pietro), arrivisti (come Giacomo e Giovanni), uomini grezzi, per niente acculturati o speciali. Prima (e anche durante la vita di Gesù) vivevano nella paura e nella difesa; poi andarono pieni di coraggio, di energia, di vitalità e passione in tutto il mondo, senza più alcun timore, senza sottrarsi alle sfide e alle persecuzioni; e tutto questo lo fecero in nome di Cristo.
Questo, fratelli, fu il grande miracolo: capirono che Lui non era morto, che Lui era vivo, così vivo da continuare a vederlo, a sentirlo al loro fianco, da continuare ad accompagnarli. In conclusione, tutto ciò che ora noi viviamo, ci dice la Pasqua, dobbiamo viverlo con tutta la forza del cuore in funzione della Vita vera, quella eterna; come assaggio di quella nostra Pasqua gloriosa, che vivremo sempre con Gesù e il Padre, immersi anche noi nell'estasi del loro Amore. Amen.
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