«Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva».
Da questa domenica c’è una scelta diversa per l’autore del vangelo: le tre pericopi che scandiscono la terza, la quarta e la quinta Domenica di Quaresima, che ci conducono alla domenica delle palme e alla settimana santa, venivano usate come spunto di studio, di riflessione e di scrutinio nella formazione dei catecumeni, i quali concludevano il loro percorso di iniziazione cristiana nella notte di Pasqua, ricevendo il Battesimo. L’incontro di Gesù con la samaritana al pozzo di Sicar, la guarigione del cieco nato e la risurrezione di Lazzaro, segnano anche oggi le tappe di questo cammino (in presenza di catecumeni possono essere ripetute in queste domeniche anche nei cicli B o C), poiché si prestano egregiamente non solo a descrivere il percorso di fede dei vari protagonisti, ma anche a fare, da parte dei battezzati, un serio esame critico sui progressi della loro vita cristiana.
Abbiamo quindi un passaggio di consegne da Matteo a Giovanni. Ma perché proprio Giovanni? Perché parlando di Gesù, Giovanni non si accontenta di accennare ai fatti in maniera distaccata e scarna, come fanno gli altri, ma nel suo Vangelo ogni singolo episodio viene affrontato con estrema ricchezza di particolari, di sfumature, di annotazioni psicologiche, soprattutto nel descrivere gli incontri faccia a faccia. Sono scene così ben descritte che si impongono alla nostra attenzione, che toccano le corde più sensibili del nostro cuore e trasmettono un profondo insegnamento. Un immediato riscontro lo abbiamo infatti oggi stesso, nella prima delle tre pericopi, che descrive appunto in maniera stupenda il colloquio fra Gesù e la donna di Samaria, presso il pozzo di Giacobbe.
Siamo nel periodo dell’anno che precede la mietitura, quindi in estate già avanzata. Gesù, stanco per il lungo camminare, accaldato, si ferma a riposare in prossimità di Sicar, ai bordi di quel pozzo che fu di Giacobbe. Gesù è solo: i suoi discepoli lo hanno lasciato per cercare qualcosa per il pranzo. Il caldo è insopportabile; ha una gran sete, ma essendo sprovvisto di qualsiasi tipo di recipiente, non può attingere l’acqua, laggiù in basso, a circa una trentina di metri. Caso veramente fortunato per quell’ora, si presenta una donna che ha con sé una brocca. Certo deve essere una donna piuttosto singolare, se ha scelto di andare al pozzo nell’ora meno indicata: una donna che sceglie di attingere acqua sotto il solleone, lo fa sicuramente per evitare incontri imbarazzanti o per sottrarsi all’ascolto delle maldicenze sussurrate dalle altre donne nei suoi confronti. La sua reputazione, per motivi sentimentali, è in realtà molto compromessa: è una donna leggera, una poco di buono, giudicata e condannata dai benpensanti di ieri e di oggi. Per questo il giudizio su di lei è molto pesante, come molto pesante ed arido è il suo cuore, per essersi dissetata fino ad allora soltanto con acqua “inquinata”.
Ed è lì, al pozzo, che incrocia quell'ebreo stanco e assetato, che attacca bottone.
È guardinga, la samaritana: è stufa di farsi sedurre, è stufa di essere illusa, pensa subito che quel tale che le chiede da bere, voglia corteggiarla. Non sa ancora che quell’incontro è unico, irripetibile, determinante, profondo e miracoloso proprio per entrambi: si, perché Gesù trova la fede in una persona che, a giudizio di tutti, non l’aveva mai avuta o non l’aveva più; la donna invece incontra l'Amore: l’Amore quello vero, quello totale e coinvolgente, quell’Amore che tutti aspettavano da secoli. Un incontro, quello tra i due, che sconvolge ogni regola, che va contro il buon senso, che è contrario ad ogni norma religiosa. Gesù, il maestro, scavalca impassibile tutte le barriere di quel tempo: la barriera del sesso (un rabbino, un maestro, non doveva mai rivolgere la parola ad una donna fuori di casa, fosse pure la moglie!); la barriera di razza (i samaritani erano considerati dei bastardi in quanto erano mescolanza con gli assiri); la barriera di nazionalità ( i samaritani erano considerati forestieri); la barriera di religione (erano considerati scismatici e impuri); la barriera del buon comportamento (parlare al pozzo ad una donna era corteggiarla, farle delle avances, "provarci" insomma, e la cosa sarebbe andata sulla bocca di tutti; gli stessi discepoli ne rimangono scandalizzati!).
A Gesù tutto questo non interessa, egli rompe ogni schema e le parla. Egli è un uomo al di sopra di qualunque pregiudizio, ed è per questo che nella sua vita ha sempre fatto incontri meravigliosi. Gesù non si ferma a ciò che si dice in giro; è completamente indifferente a ciò che gli uni pensano e dicono degli altri. Gesù non dice: “Questo è ricco (Zaccheo), questa è una donna di malaffare (adultera, samaritana), questo è un ladro (Matteo Levi), questo la legge non lo permette (guarire di sabato), questo non sta bene (la donna che lavò con le lacrime i suoi piedi e con i capelli glieli asciugò), questi sono pagani, eretici (samaritani), questi sono peccatori (pubblicani, prostitute)!” Gesù è al di fuori di ogni schema umano: per questo risulta scomodo e fastidioso a tutte quelle persone che sono piene di regole, a tutte quelle persone che sono rigide, con una mentalità bacchettona e ristretta.
Il dialogo che Gesù intavola con la Samaritana è dunque un capolavoro di finezza psicologica e di delicatezza divina.
Allo straniero che gli chiede un piacere, la Samaritana si presenta subito insofferente e molto sicura di sé. Alla richiesta di aiuto: “Dammi da bere!”, la sua secca risposta: “Come mai un Giudeo si abbassa a chiedere da bere a me che sono samaritana?” non è delle più incoraggianti per Gesù; ma a Lui è comunque sufficiente, perché se ne serve come aggancio, come pretesto, per portare subito il discorso là dove Egli voleva; è la sete della donna per “un’altra acqua” quella che interessa a Gesù: tant’è che la sua sete personale, il suo “dissetarsi”, viene accantonato, dimenticato, non se ne parla più. Gettato il ponte della comunicazione, Gesù dimentica la sua “arsura” e tutta la sua attenzione è volta a lei, alla samaritana: alla sua persona, al suo credo, al suo cuore. Ebbene, quella samaritana siamo tutti noi, fratelli, con le nostre necessità, i nostri problemi, le nostre difficoltà. Succede sempre così: se da un lato il Signore usa il pretesto di chiederci qualche inezia, lo fa per darci di più: anzi egli ci dà tutto, ha sempre cose molto più importanti da offrirci; ce lo fa capire chiaramente anche in questo racconto, attraverso questa donna, in apparenza molto disinvolta e sicura di sé, ma in realtà molto angosciata e insoddisfatta della sua vita. Si, fratelli: perché, lo ripeto, lei e noi siamo sullo stesso piano, entrambi abbiamo sete, tanta sete: una sete profonda, totale, subdola. È la sete di amore, di bene, di affetto, di luce, di pace, di senso che inquieta le nostre vite.
Una sete profonda, misteriosa, che rischiamo di sottovalutare o, peggio, di saziare con acqua inquinata e “salata” che, dopo una prima apparente soddisfazione, amplifica a dismisura l’arsura e il desiderio di bere. Lei ne sa qualcosa. E anche noi. Entrambi siamo fragili, non abbiamo trovato in questo mondo niente e nessuno che ci possa dissetare sul serio. Abbiamo ancora sete, sete d'Amore. Come tutti.
Gesù ci ha aspettato al nostro pozzo battesimale: continua ad aspettarci sempre alla sorgente di acqua viva dei suoi sacramenti: qui egli ci cerca, uno per uno. Egli continua ad aspettarci, continua ad avere sete di noi, non per giudicarci, ma per dissetarci. Egli ha sete della nostra fede, del nostro amore. Stanco di aspettare, è Lui che per primo prende l'iniziativa: si, stanco; perché Dio è stanco di correre dietro alle sue pecore infedeli, che insistono a dissetarsi in cisterne fatiscenti, piene di acqua putrida, ignorando volutamente le fresche e vive sorgenti di acqua limpida che sgorgano dal suo cuore. Stolti!
E Gesù insiste: “se vuoi essere dissetata - fa capire alla donna - devi essere onesta con te stessa. Dio non ti giudica, Dio non ti condanna, gli altri sì, sempre, sistematicamente, tutti, anche quelli che si dicono uomini di Dio: più si sentono di chiesa, peggio ti giudicano; no, stai serena: con me non hai nessun esame da superare, devi solo renderti conto dei tuoi limiti”. Beh, per chi è carico di pregiudizi, anche un’offerta così vantaggiosa è difficile da accettare, non vi pare?
La donna infatti svicola, non capisce e la mette sul religioso: “Ma Dio non bisogna pregarlo a Gerusalemme, nel tempio, o qui in Samaria, sul Garizim?”. Domanda ingenua! Domanda pretestuosa, tanto per prendere tempo: lei sa perfettamente infatti che, pubblica peccatrice, non può entrare in alcun Tempio, né in quello di Gerusalemme, né tantomeno in quello dei Samaritani, in quanto inesistente, già distrutto. La religione esteriore ha le proprie regole, e lei è decisamente fuori. “E invece no”, dice Gesù: “il tuo cuore è già un tempio; la tua verità, il tuo spirito, il tuo cuore ti permettono di entrare nella gloria. Tu sei un tempio e lì puoi incontrare Dio”. Tace, la donna. Mai nessuno le aveva detto di essere un tempio, di essere amata. Mai nessuno l'aveva amata. Il mondo si era diviso in chi l'aveva usata e in chi l'aveva condannata. Nessuno, mai, le aveva detto di essere amata senza condizioni. E beve, ora, la samaritana: beve avidamente, a garganella, come se mai avesse provato il gusto dell'acqua, come sei mai avesse assaggiato l'acqua fresca di sorgente. Beve, e sente aprirsi dentro di lei una sorgente impetuosa, sente il suo cuore, costretto e inaridito dal dolore, spalancarsi con l’impeto di un fiume in piena, sente la roccia del suo cuore frantumarsi in un Amore nuovo, sconosciuto, senza limiti, un Amore che la travolge. E corre. Abbandona la brocca (che le importa, ora?), corre dai suoi vicini, dai suoi concittadini e grida: è arrivato il Messia! La peccatrice diventa discepola, la donnaccia, si trasforma in un'opera d'arte. Il suo limite diventa il trono della gloria di Dio, la sua vita disordinata l'epifania del volto di Dio.
Continua a bere, ora, la samaritana: perché anche lei è diventata sorgente inarrestabile.
Follia, fratelli, follia. Riusciremo mai anche noi a convertirci a tanto?
Incontrare Gesù, fratelli, è ammettere la realtà di noi stessi, è come guardarsi allo specchio. Incontrare Gesù, aver fede in lui, non si risolve in un pio esercizio ascetico, ma è l'incontro con ciò che siamo realmente. Perché Gesù ci conosce. Gesù è colui che ci smaschera, che se nascondiamo qualcosa, Lui ce lo rinfaccia, davanti e subito. Non si può incontrare Gesù e pensare di nasconderci. Di fronte a Lui non si può mentire, scappare, raccontarsi “balle”. E chi vuol evitare quest'incontro, evita Dio stesso, evita l'Incontro, perché Dio è Spirito e Verità. Non facciamo come la donna samaritana al pozzo: pur di evitare la verità, pur di non vedersi per quello che è, sposta il discorso sul piano religioso. Eppure, fratelli, quante volte ci appelliamo anche noi ad un “dialogo sui massimi sistemi”! Quante volte ci tuffiamo in discorsi che riguardano Dio, la teologia, la spiritualità, la preghiera, pur di non guardare dentro di noi, pur di non leggere i segnali della nostra tremenda arsura che cuore e anima disperatamente ci lanciano. Certo è più facile parlare di Dio, di vera religione; è più semplice parlare della società, della politica e soprattutto degli altri, piuttosto che mettere in piena luce il nostro spirito aggressivo, capire il nostro cuore ferito e impaurito, per correre ai ripari. Gesù è chiaro: se non incontri il tuo spirito nella verità, non puoi crescere. Se vuoi l'acqua viva, devi scendere nel pozzo della tua vita e bagnarti, lavarti, lavarti nella Verità. Neanche la tua fede è vera se non tocca il tuo spirito, il tuo cuore, il tuo profondo. Neanche la tua fede è vera se non passa al vaglio della Verità. Ogni uomo, ogni donna si porta in cuore "un crepaccio assetato di Infinito", scriveva Kierkegaard. È l’infinito dell’Amore di Dio, la nostra salvezza.
Purtroppo la nostra vita è tutta un vagare da un pozzo all'altro e spesso ci illudiamo di spegnere la nostra grande sete con cento, mille piccoli sorsi di un'acqua imbevibile. E così la sete aumenta... la ricerca spasmodica di una vita più felice, più bella, più gratificante, diventa una corsa ossessiva, disperante e disperata: si riduce ad un comprare, consumare, fare esperienze sempre più sensazionali, provare emozioni sempre più forti, cercare di guadagnare sempre di più per godere più che si può. Il risultato? Insoddisfazione crescente, nausea dominante, il baratro della noia e della depressione.
È in questo deserto del mondo contemporaneo che l’umanità, divorata dalla sete, continua a gridare, come gli Ebrei a Mosè: “Dacci da bere! Stiamo morendo di sete...”. Un grido che sale imperioso anche verso chi governa, verso le ideologie, verso la cultura. Ma è il grido soprattutto rivolto alla Chiesa: “Dacci da bere!” Un grido che, volenti o nolenti, raggiunge anche noi, popolo e chiesa di Dio. Una responsabilità che è anche nostra, fratelli. Che fine ha fatto l'acqua viva che dobbiamo offrire a questi fratelli assetati? Che cosa possiamo mai offrire di nostro alle immense attese degli uomini contemporanei? Che ne abbiamo fatto del nostro Battesimo? Dove abbiamo messo l’acqua viva che ci è stata donata? Dove sono le nostre riserve di cristiani? Tremenda richiesta di aiuto, fratelli! Tremenda nostra responsabilità, se per negligenza abbiamo lasciato ostruire i canali di trasmissione! Certo, è inquietante se pensiamo che Dio prende i suoi annunciatori tra la feccia, come la samaritana, che raccoglie per strada i reietti come noi, e li innalza alla dignità di discepoli! È inquietante, ma ci deve far coraggio: una cosa che ci deve far meditare profondamente fratelli. Ma allora, se le cose stanno così, che aspettiamo ancora? Riallacciamoci immediatamente alla Sorgente: diamo nuovo flusso e nuova vita nel nostro cuore a quel Dio, a quell’Amore inesauribile, che i nostri fratelli si aspettano da noi; diventiamo torrenti, canali, fiumi impetuosi di quell’Acqua Viva che, lo sappiamo bene, è l’unica che può mitigare la sete ardente e implacabile del mondo. Dissetiamoci e facciamo dissetare! Tutti quelli che ci avvicinano. Il tempo è breve, fratelli: siamo già col sole allo zenit, non aspettiamo la sera! Amen.
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