giovedì 10 marzo 2011

13 Marzo 2011 – I Domenica di Quaresima

«Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse…».
Dopo la lunga paternale delle beatitudini con cui Gesù in queste ultime domeniche ci ha messo di fronte alle nostre responsabilità, è arrivata finalmente la quaresima. Beh, finalmente per modo di dire, perché la quaresima non è il tempo dell’adagiarsi, del riposare sugli allori, del tirare finalmente il fiato dopo le sberle che abbiamo incassato; nossignori. Quaresima vuol dire “convertirsi” da “con-vertere”, ossia fare una inversione ad “u” rispetto alla direzione che stavamo seguendo; significa tornare indietro, tornare sui nostri passi, sui valori autentici del vangelo, per ripartire, questa volta, col piede giusto. Quaresima è il tempo della prova, il tempo del rodaggio su strada dei nostri buoni propositi, di quelli cioè che di fronte a Dio abbiamo deciso di portare avanti: “Sì, Signore, hai ragione; è come dici tu: se mi misuro con quanto hai detto, sono proprio zero, una nullità. Non ho ancora capito nulla di te; debbo proprio rimboccarmi le maniche: e questa volta ti farò vedere…”. Ecco, è quel “ti farò vedere”, quella decisione presa in un istante di vergognosa sincerità, sgorgata giù, nell’intimo del nostro cuore, che automaticamente spazza via ogni velleità di “riposo”.
Non c’è riposo nel cammino che ci porta a seguire Cristo. Illusi noi, se pensassimo ad una tale eventualità. Quaresima, dunque: tempo di bilanci, tempo di verifiche, tempo di analisi sulla nostra salute spirituale, tempo per pianificare concretamente la nostra “conversione”, la nostra ripartenza, ma soprattutto tempo di far vedere a Dio che siamo persone serie e non i soliti burattini.
Finalmente il carnevale è finito, fratelli: ora è tempo di gettare le maschere, quelle maschere che da anni, troppi, ci portiamo incollate addosso, quelle che ci fanno illudere di essere diversi, quelle che ci piace tanto ostentare davanti agli altri, per essere considerati migliori di quello che siamo! Quelle che a volte non ci vergogniamo di indossare neppure quando siamo soli, a tu per tu con Dio! Quanto siamo meschini! Eppure “ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai!”. Lo abbiamo sentito mercoledì scorso dal sacerdote che ci imponeva le sacre ceneri. Polvere, fratelli, siamo solo polvere; insignificante e arida polvere del deserto primordiale. Senza il soffio di Dio, siamo polvere senza vita. Senza di Lui, siamo polvere inutile: perché è Dio che ci riempie di immortalità, di speranza, di sogni.
Purtroppo viviamo in un mondo carico di odio, di lotte e di continue contrapposizioni a tutti i livelli: politico, religioso, culturale, sociale, economico. L’unico scopo della nostra vita sembra essere quello di vincere battaglie, tutte le battaglie, e di assicurarci un posto dalla parte “ricca” del vincitore. Siamo in continua ansia da guerra: e quel che è peggio ci siamo convinti di essere noi i più forti, di essere sempre noi i vincitori, gli indistruttibili, gli unici, i migliori. E questo nonostante Gesù con la sua vita ci abbia insegnato il contrario: egli infatti non è venuto tra noi per vincere. Non è venuto per dimostrarsi potente e senza problemi. Non è venuto per vincere nessuna battaglia; si è calato nei nostri deserti quotidiani, nelle nostre fragilità umane fatte di fame, di debolezza e di peccato, per dimostrarci che non siamo soli e soprattutto che non siamo senza speranza. Gesù è entrato in questo nostro deserto, altrimenti invivibile: è entrato, e resta con noi, come uno di noi.
E nel vangelo di oggi, con il suo ritirarsi nella preghiera e nel silenzio, ci insegna come fare la nostra “con-versione”, come ripartire per un nuovo cammino, ci indica la nuova strada, quella sicura di seguire le sue orme, la strada dell’amore e della felicità; e per prima cosa ci insegna a liberarci dalle striscianti e ambigue illusioni del nemico tentatore.
Sì, Gesù ci dice di combattere le tentazioni: ma che sono le tentazioni? Qualcuno oggi parla ancora di tentazioni? In una società in cui tutto è permesso, tutto abbordabile e tutto attuabile (“desidero qualcosa? Me la prendo!”), che senso ha parlare di tentazioni? Eppure il cammino verso la nostra Pasqua, passa proprio di qui: quelle che Gesù vive e combatte in prima persona, sono le nostre grandi illusioni, i grandi inganni della nostra vita, quelli che non conosciamo ancora abbastanza, quelli che addirittura non vogliamo conoscere e che inesorabilmente ci ostacolano il cammino, o addirittura ci sviano. Gesù ce ne indica tre: il primo consiste nel voler sostituire Dio con le “cose”, assolutizzandole: “dì che queste pietre diventino pane”; è l’inganno di pensare che tutta la nostra vita consista e si realizzi qui, nel presente, che serva soltanto a saziare le nostre voglie. Il secondo inganno è quello che costruiamo pretendendo un sistematico intervento di Dio, teso a sanare i nostri egoismi, a rimediare ai nostri errori: «i suoi angeli ti porteranno sulle loro mani…». Infine, l’inganno più ambito, quello di rincorrere ricchezze, successo e potere, esigendoli ad ogni costo e con ogni mezzo, anche calpestando il prossimo e vendendo al diavolo la propria anima: «tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Ebbene, fratelli, sono queste le tentazioni che Gesù ha sconfitto; sono queste le tentazioni da cui ci mette in guardia; ma sono anche queste – idolatrare le cose, pretendere interventi risolutori di Dio, rincorrere le ricchezze e i piaceri materiali – le grandi conquiste dalle quali l’uomo si sente attratto, quelle che lui considera le sue grandi affermazioni personali.
Da qui la lezione di Gesù, chiara come al solito. Nella vita si impone una costante scelta; come diceva Sartre, l’uomo è condannato a scegliere, è condannato ad esercitare la sua libertà. E la libertà, lo sappiamo fratelli, la vera libertà, è un bene difficile da gestire.
Troppo spesso noi siamo “tentati” di delegare ad altri le nostre scelte di vita, le nostre opinioni, in quanto occupati a cercare altrove la sorgente della nostra felicità.
Nuovi Adamo ed Eva, giriamo senza sosta fra i tanti serpenti che ci incantano, facendoci credere che la felicità, la soluzione ad ogni nostro problema, è vicina, evidente, ovvia. E invece poi scopriamo che nessuna cosa di questo mondo riesce a soddisfare e a rendere felice l'incontentabile nostro cuore.
Nei vangeli il peccato è superato, perdonato, scomparso, a causa dell'immensa misericordia di Dio. È considerato solo indirettamente, di riflesso, come cartina di tornasole per dimostrare la bontà e l'amore senza limiti di Dio. Ma il peccato, con le sue suadenti e irresistibili tentazioni, il grande assente dalla nostra moderna mentalità, esiste, fratelli; eccome esiste! È il segno, la dimostrazione del dna dell’uomo, della sua libertà di scegliere e di sbagliare.
Ecco allora perché, in questo deserto della quaresima, è necessario che torniamo all'essenziale; che impariamo a capire chi, o che cosa, conduca la nostra vita, e verso dove; che ci rendiamo conto degli errori che facciamo, soprattutto quando insistiamo sempre negli stessi; quando ci incaponiamo in scelte scellerate, continuando a considerarci altrettanti Dio, a sentirci suoi pari. Già, proprio come successe ad Adamo ed Eva che peccarono pensando di diventare onnipotenti; sperimentarono invece che fu proprio grazie alla loro arroganza che si allontanarono tra loro, dal Creato e da Dio.
Questa quaresima ci metta in guardia su questa realtà; sia un invito a tener sempre presente la nostra innata fragilità, a guardare questa nostra nudità; sia pertanto occasione per riconoscere i nostri peccati, per gettarli tutti nel cuore incandescente di Dio. Appropriamoci così della nostra autenticità, e della nostra integrità morale.
Non cediamo alla tentazione di voler vincere sempre e a tutti i costi, ritenendoci inattaccabili.
Accettiamo con grande umiltà la nostra vita, nella sua precarietà, come ci ha insegnato Gesù. Perché solo allora sentiremo realizzate pienamente in noi le parole divine di amore, di conforto, di speranza. Solo allora ci sentiremo veramente beati, non perché perfetti, ma perché tanto amati. La nostra vita, oltre che deserto e fragilità, sarà allora anche certezza di avere Gesù sempre più vicino a noi, con noi, dentro di noi.
Ecco: questo è quanto ci dice oggi il vangelo: questa è la Parola che Gesù riversa nei nostri cuori; ascoltiamola e viviamola, fratelli. Anzi, diventiamo noi stessi bocca di Dio, voce di Dio, per portare, per condividere questa sua Parola, con tutti i nostri fratelli: perché alle parole ingannatrici di questo mondo, dobbiamo contrapporre la Parola di Dio, che è verità assoluta; alle parole di morte e di odio di questa nostra società, dobbiamo contrapporre la Parola di Dio, che è vita e amore. Amen.

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