Mt 18,15-20
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
I
cinque “grandi discorsi” del vangelo di Matteo, sono stati elaborati
dall’autore con lo scopo evidente di offrire alla giovane comunità cristiana di
allora, una raccolta ben ordinata di regole precise, di norme, di consigli, per
consentirle di tradurre in comportamenti di vita, le novità fondamentali della
predicazione di Gesù. Il brano che oggi la Liturgia ci propone, è tratto
appunto dal capitolo 18 del vangelo matteano, dal cosiddetto “Discorso
ecclesiale” o “comunitario”.
Ovviamente al giorno d’oggi
noi non dobbiamo prendere alla lettera i suoi contenuti, poiché sono stati
scritti per uomini di oltre duemila anni fa, che vivevano in un determinato
ambiente, con una mentalità e una cultura molto diverse dalla nostra.
L’importante per noi non è tanto di rimanere fedeli a delle “regole”
comportamentali dell’epoca, soggette a mutare nel tempo, quanto di fare nostro
il messaggio spirituale di Gesù, che è quello che rimane fermo e immutabile nei
secoli.
Cosa ci raccomanda allora
“lo Spirito di Dio”, qual è il messaggio profondo del testo di oggi? Che
dobbiamo riservare agli altri un comportamento di sollecitudine, di attenzione,
di umiltà, di discrezione, perché il nostro primo dovere è, e rimarrà, quello
di amare il nostro prossimo. Quante persone invece che si dichiarano osservanti,
che frequentano chiesa e sacramenti, continuano a conservare nel loro cuore
sentimenti di odio nei confronti di parenti, amici, conoscenti? Quante persone
litigano per anni e anni, sempre per lo stesso futile motivo? Ciò vuol dire che
non vivono il vangelo, non hanno imparato nulla dalla vita, dalle loro
esperienze, non si sono mai domandati il perché del loro comportamento: non
hanno capito cioè che insistere nell’odio, oltre che a screditarli come
cristiani, non serve a nessuno, è inutile, fa solo male a loro e agli altri; con
il loro comportamento dimostrano di non voler migliorare spiritualmente, di non
voler vivere la loro fede, di non voler imparare a crescere: in pratica vivono nell’indifferenza,
preferiscono rimanere “tiepidi”: caldi di facciata ma freddi nel loro cuore,
senza preoccuparsi delle parole tremende di Dio: “Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo, e
poiché sei tiepido, sto per vomitarti dalla mia bocca” (Ap 3, 15-16).
Anche
la prima comunità cristiana non era perfetta: anch’essa doveva fare i conti con
discussioni, conflitti, litigi: non per nulla l’evangelista ripete qui con
insistenza (per ben 4 volte!) il verbo “ascoltare”, nel suo significato
più ampio di capire, di sentire tutte le ragioni, di immedesimarsi in esse, di
perdonare sempre con carità cristiana: “In tutte le situazioni, ci sia fra
di voi l’amore”. Punto.
Del resto, la convivenza umana, fin dalle sue origini, non è mai stata
esente da tensioni, da lotte intestine, da scontri a volte cruenti: succedeva
ai tempi di Matteo, è successo in tutte le comunità che da allora si son
seguite, continua a succedere anche oggi, nelle nostre comunità moderne ed
evolute.
È una situazione inevitabile, dovuta alla naturale conflittualità degli
uomini, alla loro personale “mentalità” che li caratterizza come persone
uniche, altamente insofferenti ad ogni genere di sopraffazione: “homo homini
lupus” sentenziava, quasi due secoli prima di Cristo, il commediografo
latino Plauto (Asinaria II, 4, 88).
Bene: col vangelo di oggi Gesù, proprio allo scopo di ovviare a tale
degradante situazione, sottolinea l’importanza dell’amore nei rapporti
interpersonali. Quindi, se litigare è facile, è inevitabile, ciò non deve
assolutamente indurci ad escludere, per partito preso, qualunque tentativo di
chiarimento, fatto ovviamente con carità e amore fraterno. Sono questi infatti
gli elementi fondamentali, indispensabili, per ogni civile convivenza fondata
sulla pace e sulla concordia. La libertà di esprimere apertamente le proprie ragioni
è un diritto inalienabile per chiunque, è vero: ma ciò che determina unioni o
separazioni, armonie o rotture, involuzioni o crescite, è soprattutto il “modo”
con cui ci esprimiamo, la “qualità” del nostro interloquire: nulla infatti è
più indisponente del voler imporre ad ogni costo le nostre vedute, con
supponenza e sarcasmo, come unici e infallibili conoscitori della verità, dell’intero
scibile umano! Sosteneva infatti a questo proposito il poeta Orazio (cito a
memoria): “Ogni conoscenza delle cose, ogni sapere umano, ha dei confini di
verità oltre i quali non abbiamo la certezza di trovarci nel giusto” (Cfr.
Sermones–Satire I,1). E già da sola, questa saggia constatazione dovrebbe
indurci a sentenziare con maggior cautela e umiltà.
Purtroppo, per imparare e praticare bene tutto questo, non c’è un
manuale “ad hoc”, non c’è una scuola specifica che ci insegni a “cum-vivere”,
a “convivere” serenamente con gli altri.
Solo la vita cristiana, con i suoi consigli, può farlo: ma deve essere
una vita convinta, rispettosa degli insegnamenti di Gesù, alimentata dal Suo
Amore, orientata dalla pratica della Sua Parola. Amen.