giovedì 22 dicembre 2022

25 Dicembre 2022 - DOMENICA DI NATALE DEL SIGNORE


Lc 2,1-14 
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nazareth, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

Gesù è la più grande dimostrazione d'amore che Dio, nostro Padre, ci abbia mai donato. Il suo Natale è la festa dell'amore gratuito, profondo, sincero, puro. Il Natale è la più bella notizia che si possa ancora raccontare a tutti gli uomini di questo mondo tristi, sofferenti, confusi, feriti: Dio, l'infinito, si è fatto “finito”, umano, legandosi a noi in maniera indissolubile per puro amore, per la sua irresistibile esigenza di amarci, di consolarci, di lenire le nostre sofferenze, i nostri dolori, con la sua costante, misericordiosa, presenza: una realtà che deve assolutamente rassicurarci, farci amare la vita, ricolmarci di ottimismo. 
Noi oggi non ce ne rendiamo conto, ma siamo coinvolti in mille altre cose, siamo completamente presi da mille stupidaggini inutili, quando un evento simile dovrebbe invece scuoterci profondamente, dovrebbe commuoverci, intenerirci, colmarci di gioia! 
È infatti impossibile non avvertire che qualcosa di grande è veramente accaduto nel mondo. Oggi siamo illuminati da una stella che è penetrata nel nostro buio, rischiarandolo per sempre: accorgiamoci di Gesù; accogliamolo nella nostra vita, lasciamo germogliare e crescere in noi quella novità, quella santità, quell’amore che con Lui sono sbocciati a Betlemme. 
Dio si è fatto uomo! L'Infinito, l'Eterno, l'Onnipotente, continua a preoccuparsi di noi, ad avere cura di noi, a dimostrarci amore, misericordia. Dio l'infinto ci ama da sempre: ci ama al punto da mandare suo Figlio in questa nostra storia così dura, ingrata, sterile. Dio Padre non ha avuto esitazioni nell’inviare suo Figlio in mezzo a noi, che non eravamo più figli; e continua sempre a farlo ogni anno, perché ci ama; perché vuole caparbiamente trasformarci, vuole darci un cuore nuovo, un cuore innamorato, di figli autentici. 
Purtroppo, quanta pena, quanta sofferenza, quanto dolore c’è oggi nel cuore degli uomini! Quanto desiderio di felicità, quanto bisogno di consolazione, di sollievo, di bontà.
Ebbene: oggi, tutta l’umanità, il mondo intero, è a conoscenza che la felicità esiste veramente, ha un suo preciso riferimento: l'Emmanuele, Gesù, Dio. 
Occorre uscire dalla prigione del nostro egoismo, dalla freddezza dell’orgoglio e dell'indifferenza. Facciamoci piccoli e umili: andiamo a Betlemme, cioè a Cristo Gesù; apriamo il cuore ai fratelli, tendiamo la mano a chi ci sta accanto, rendiamo ospitale il nostro cuore, la nostra casa, il nostro lavoro, il nostro paese, il nostro mondo. Perché è soltanto sulla via dell'amore che potremo fare esperienza di Dio. Ed è soltanto in Lui che troveremo quella pace, quella fiducia, quella serenità, quell’amore che tanto ci mancano. 
Se facciamo attenzione, noteremo che sono quattro le parole guida che la Liturgia di Natale ci propone con insistenza: sono “luce, gioia, bontà, pace”.
Sono parole che illustrano perfettamente l’immagine di Gesù, parole che rappresentano in sintesi tutto ciò di cui abbiamo bisogno estremo, che ogni uomo desidera ardentemente.
In questi giorni particolari, sentiamo di frequente ripetere, che il Natale è bello come un sogno: ed è vero; perché ogni uomo di questo mondo sogna in cuor suo luce, gioia, bontà, pace. È quel classico clima “da sogno” che questa ricorrenza riesce ogni anno a creare con le sue luci, con i presepi, con gli alberi, le strade e le vetrine illuminate, con le musiche semplici e nostalgiche, lo scambio di doni e di auguri, la riscoperta della famiglia, con il ricordo degli amici lontani, dei parenti scomparsi, di quanti si trovano nella sofferenza, nell’angoscia, nel dolore...
Lasciamoci prendere allora, cari amici, da questo sogno! È Dio che in Gesù vuole farci sognare una vita con Lui, piena di luce, di gioia, di bontà, di pace: esattamente come lui l'ha pensata per l’intera umanità, perché Lui ama tutti. 
Lasciamoci penetrare da questo sogno, sempre più in profondità, in modo che diventi desiderio concreto, nostro progetto, nostro impegno, nostra vita reale.
Come? Ce lo suggerisce Gesù stesso: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Abbiamo ricevuto da Dio luce, gioia, bontà, pace? Doniamo a tutti, anche noi, luce, gioia, bontà, pace.
Spesso sentiamo dire: “Non ci sono più i valori di una volta! Non c'è più vero cristianesimo”. Ebbene, che aspettiamo? Diffondiamoli noi i valori inalienabili! Viviamolo noi il vero cristianesimo! In questo consista il nostro Natale! Perché se riuscirà a far emergere il meglio di noi stessi, sicuramente renderà la nostra vita più sensibile, più responsabile, più bella: sensibilità, responsabilità, bellezza, che possiamo condividere ogni giorno con i nostri fratelli.
Chiediamoci allora a questo proposito: io cosa faccio di particolarmente valido per incontrare Gesù? Che posizione occupa nella graduatoria dei miei interessi, nella mia vita concreta? Come posso accoglierlo perché sia realmente luce, pace, forza, salvezza nella mia vita, nella vita dei fratelli, nel mondo, nella società attuale? Semplice: dobbiamo vivere ogni giorno il nostro Natale; dobbiamo cercare di incontrare ogni giorno Gesù, il Dio Bambino, il nostro Salvatore.
Dio non è mai lontano, è sempre con noi: anche oggi, anche domani: lo possiamo incontrare nella vita della Chiesa, nella Parola di Dio, nella preghiera, nei Sacramenti, negli uomini nostri fratelli: è la Chiesa infatti che continua la presenza e l'opera di Gesù. Quando ascoltiamo o leggiamo la Bibbia, il Vangelo, è Cristo che parla al nostro cuore, al cuore della Chiesa. Così pure quando ci accostiamo ai Sacramenti, quando ci confessiamo, quando ci comunichiamo, quando incontriamo il prossimo, è Gesù che noi incontriamo, è a Gesù che noi chiediamo perdono, è Gesù che si offre a noi in cibo, in nutrimento, in sostegno e forza.
È in questo modo che Dio è veramente con noi, sempre: e noi possiamo essere sempre con Lui, possiamo vivere in Lui, accogliere e rendere viva la sua grazia in tutte le nostre azioni.
Dipende solo da noi: perché siamo noi che possiamo trasformare con la luce, con la grazia del Natale, ogni nostra giornata, ogni istante della nostra vita. Amen.

BUON NATALE, AMICI, A VOI E A TUTTI I VOSTRI CARI!

 

giovedì 15 dicembre 2022

18 Dicembre 2022 - IV DOMENICA DI AVVENTO



Mt 1, 18-24 
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”. Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Quella notte per Giuseppe non fu certamente facile! Lui i suoi progetti li aveva, eccome. Progetti modesti, da giovane artigiano: la bottega andava bene, merito della sua bravura e della sua affabilità con i clienti. Certo, non era una gran piazza, Nazareth, ma col tempo, chissà, avrebbe potuto ingrandirsi e, addirittura, trasferirsi nella vicina Sefforis. Da lì a poco avrebbe preso in casa la sua promessa sposa Maria, che tutti gli invidiavano per la bellezza e la sua naturale modestia. Insomma, per Giuseppe, il pensiero di una famiglia con quella ragazza che gli aveva rapito il cuore, era fonte di gioia incontenibile.
Improvvisamente però, tutti i progetti di Giuseppe vengono frantumati da un evento incredibile, impensabile: la gravidanza di Maria; lui sa di non esserne il responsabile, e questa certezza lo getta in una tremenda angoscia. Ma come: Maria? Proprio lei? Com’è potuto succedere? 
Ovviamente soltanto lui è a conoscenza di quel figlio non suo. E allora, cosa deve fare? Non è questo, però, il tempo per covare rabbia, né per autocommiserarsi; deve solo agire: ma come? Seguire la prassi, denunciandola alle autorità, e abbandonarla al suo destino? Lui sa bene che il destino delle donne adultere, in Israele, è la morte per pubblica lapidazione. No, non può fare questo a Maria. 
È ormai molto tardi; la notte lo attende con le sue ansie tremende; è ancora completamente sveglio, e nel suo continuo rigirarsi nel pagliericcio, orribili visioni del domani continuano a gettarlo nella disperazione più cupa. Ha sempre davanti agli occhi il volto sorridente di Maria: non riesce a capacitarsi, non vuole arrendersi all'evidenza, alla realtà. Il suo orgoglio di maschio è sicuramente ferito, ma nulla può demolire l’amore granitico che egli nutre per la sua giovane sposa. La sua mente, ora, è tesa, concentrata nel valutare ogni possibile alternativa. Finalmente una soluzione gli sembra meno traumatica: al rabbino avrebbe dichiarato di essersi stancato di Maria, di non amarla più, per cui intendeva annullare il contratto matrimoniale. Maria ne sarebbe uscita con l'onore compromesso, è vero, ma avrebbe avuto salva la vita. Ecco, sì, questa è l’unica strada percorribile. 
Sul fare del mattino, sfinito dai dubbi, dal dolore e dall’angoscia, Giuseppe cade in un sonno profondo. Ed è qui che Dio irrompe nella sua vita: un angelo improvvisamente si materializza nel sonno, e gli parla di una missione che lui doveva necessariamente compiere, di un figlio di Maria che doveva nascere per salvare il mondo, che pertanto egli doveva accogliere Maria come sua legittima sposa, per proteggere lei e quel bimbo che portava in grembo, perché questa era la volontà di Dio, l’Altissimo. Certo, Maria era già la sua sposa, ma Dio dall’eternità si era innamorato di lei, e aveva scelto il suo grembo verginale per la nascita del Verbo, suo Figlio. 
Giuseppe, di fronte a quella figura autorevole, tace; rimane in ascolto, sbalordito, senza parole; non reagisce, non discute, non chiede neppure qualche spiegazione o altre informazioni. Ascolta e basta: ma nello stesso istante, ancora nel sonno, Giuseppe abbraccia e fa suo quel “progetto eterno di Dio”, anche se non era quello il “suo” progetto, anche se non lo riguardava, se non gli apparteneva: ma questo lo ha reso grande agli occhi di Dio, e agli occhi degli uomini, l’uomo esemplare dell'ascolto e dell’obbedienza a Dio! 
A questo punto, in un sussulto, si sveglia: è sereno; i pensieri tenebrosi sono scomparsi, dissolti dalla luce del mattino: ora Giuseppe ha riacquistato tutta la sua lucidità, la sua forza, il suo entusiasmo, la sua fede: se Maria ha accettato di prestare il grembo a Dio, lui, Giuseppe, è pronto a fare da padre a quel Dio che nascerà uomo da lei. Non gli servono altre spiegazioni; ha capito che Dio vuole entrare nella storia umana, e che per farlo, ha scelto di servirsi della sua giovane sposa come madre, e di lui, come solerte figura paterna, nonché “garante” del progetto divino. 
Matteo, ottimo conoscitore dell’animo umano, ci tiene a sottolineare che Giuseppe è un uomo “giusto”: è cioè corretto, autentico, di grande onestà morale; uno che non giudica dalle apparenze; uno che accetta all’istante, senza recriminazioni, il disegno salvifico del suo Dio; è un “giusto” perché, nella generosità del suo cuore, accetta di condividere con Lui la sua sposa immacolata; è “giusto” perché, scrupoloso “custode” di quel progetto soprannaturale, si oppone alla follia umana dominante, al giudizio di morte della gente “ignorante”; è “giusto” perché aderisce responsabilmente, con entusiasmo, alla prospettiva di assumere, di fronte all’intera umanità, il ruolo apparente di “padre” per un nascituro divino, per un “debole” e “indifeso” Dio bambino. Per questo egli è l’uomo “giusto”, l’icona perfetta della santità per quanti, in ogni tempo, tenteranno di seguire umilmente, tra infinite difficoltà, le istruzioni di quel “suo” Figlio divino, che ha insegnato ad amare tutti nello stesso modo con cui Lui stesso ha amato. 
Purtroppo, però, ci sono uomini che, diversamente da Giuseppe, polemizzano, discutono, contestano, bestemmiano il loro Dio; nel loro farneticante delirio rifiutano il suo amore, disconoscono la sua grazia, rifiutano la sua rassicurante presenza, il suo aiuto misericordioso; inebriati di falsa onnipotenza, di illusoria autosufficienza, si prostituiscono alle stolte divinità di questo mondo, sperperando la loro breve e instabile vita. 
Non solo: ma quante volte anche noi “cristiani”, rispondiamo svogliatamente alla chiamata di Dio: prendiamo tempo, puntualizziamo, rimandiamo, dimentichiamo. In pratica non lo “ascoltiamo”: e se anche al momento sembriamo disponibili, poi continuiamo a comportarci comunque a modo nostro. “Ascoltare”, invece, significa accettare, significa agire di conseguenza, eseguire con molta umiltà quanto ci viene suggerito: significa accettare la volontà di Dio, farla immediatamente nostra, senza porre condizioni o “distinguo” personali. 
Per professarci buoni cristiani infatti non basta evitare di compiere il male; non basta nemmeno essere caratterialmente giusti, onesti, ma dobbiamo saper accettare, volere, amare, fare nostri, quei consigli, quelle indicazioni che Dio suggerisce alla nostra coscienza. Perché ciò richiede sempre un amore vero, concreto, vissuto: un amore che non sboccia a cose fatte, quando tutto ci appare chiaro, quando tutto è pianificato e sicuro: ma un amore preventivo, un amore che cresce, si sviluppa, si perfeziona in corso d’opera, quando ancora non vediamo alcun risultato certo, un amore che nasce dalla piena fiducia in Lui. Questo è il miracolo che dobbiamo chiedere a Dio nel suo Natale: un miracolo d’amore, che faccia sbocciare nel mondo e nel nostro cuore un amore veramente nuovo, impegnato, operante, positivo. Amen.

 

giovedì 8 dicembre 2022

11 Dicembre 2022 - III DOMENICA DI AVVENTO


Mt 11, 2-11 
In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

Oggi, la Parola ci fa incontrare ancora una volta Giovanni: questa volta però è un uomo ben diverso dall’esaltato e scontroso urlatore del deserto: è in carcere e sa che sta per essere giustiziato a causa della sorda rabbia covata nei suoi confronti da una isterica cortigiana che manovrava la debolezza di un re-fantoccio. 
Giovanni ha vissuto tutta la sua vita di predicatore scomodo solo per preparare la strada al Messia, senza alcun riguardo verso coloro che vivevano nel peccato e nel vizio; e quando lo ha finalmente riconosciuto, il Messia, nascosto tra la folla dei penitenti che giungevano a farsi battezzare, lo ha accolto schernendosi, riconoscendo in lui il “potente” che dopo di lui avrebbe battezzato non con l’acqua ma con lo Spirito santo e fuoco; in cuor suo però era rimasto stupito, confuso per l'atteggiamento riservato e umile, con cui si era presentato colui che doveva essere il Salvatore del mondo.
Ora, nella solitudine del carcere, Giovanni è perplesso; pensa, è dubbioso. Le notizie che i suoi inviati gli riportano non fanno che accrescere le sue perplessità, lasciandolo costernato: il Messia non si sta comportando come un condottiero, un capo del popolo, non incita con veemenza la gente, non è rivoluzionario né tantomeno catastrofico, non annuncia l’imminente giudizio di Dio, non minaccia la sua vendetta con il fuoco divorante. Gesù, al contrario, continuando nel suo profilo basso, semplice, suadente: offre perdono incondizionato a tutti, rimette le colpe, non minaccia né attua vendette, dice che quel “fuoco divorante” Lui lo vuole accendere, certo, ma partendo dall'amore, non dal terrore. È insomma un Messia troppo dissimile da quello che Giovanni e Israele si aspettavano, è un personaggio completamente fuori schema, fuori da ogni loro sospirata previsione.
Del resto Dio spiazza sempre tutti: anche quelle persone che, come Giovanni, vivono la radicalità della fede, rischiando di costruirsi un Dio a propria immagine e somiglianza. La venuta di Dio che Giovanni si aspetta, è una venuta plateale, una irruzione nella storia con un frastuono assordante, accompagnata da schiere di angeli trionfanti. Gesù, invece, è solo; ci svela il volto di un Dio riservato, quasi nascosto: evidente, certo, ma pieno di ogni tenerezza e sensibilità, in ogni caso mai in maniera banale.
Gesù praticamente ci svela un Dio che divide il mondo in chi ama, o cerca di amare, o almeno si lascia amare, e chi no, in chi cioè gli volta le spalle. L'amore è una possibilità immensa, è l'unica cosa che ci lega tutti. Non i risultati, non gli sforzi, non le buone azioni ci salvano, ma la volontà di amare, nella fragilità di ciò che siamo o che ci impegniamo di essere.
Ma noi, dal canto nostro, siamo certi di Dio? Riprendiamo allora in mano il Vangelo e chiediamo a Dio, nella preghiera, di condurci sempre per mano nella nostra autenticità. Siamo sempre pieni di dubbi? Consoliamoci, non siamo i soli: anche il più grande degli uomini, l'ultimo dei profeti, è stato assalito dai dubbi.
“Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete…” replica Gesù ai discepoli che il Battista aveva inviato per informarsi sulla sua identità; non dà loro una risposta esauriente. Devono trarla da soli. La fede non richiede l’evidenza, non necessita di “prove certe”, Dio non è il risultato di un teorema scientifico, con buona pace di quei simpaticoni, che pretendono di vedere l’anima nelle radiografie! Ci vengono offerti degli indizi, solo deboli indizi che lasciano intatta l'ambiguità del segno. Non è Dio che deve dimostrare qualcosa, siamo noi che dobbiamo trovarlo, accantonando le nostre ideologie, prendendo coscienza e conoscenza di noi stessi e del Dio che abita in noi. 
“Guardati intorno, Giovanni”, è in pratica l’incoraggiamento di Gesù a suo cugino, dopo avergli elencato i grandi segni messianici profetizzati al popolo da Isaia. 
Ecco, questo è il punto: per riconoscere i segni della presenza di Dio, dobbiamo anche noi “guardarci intorno”: renderci conto di quante persone nel mondo hanno già incontrato Dio, e continuano ad incontrarlo: magari gente disperata, che trovandolo, ha dato un senso alla loro vita, convertendo il proprio cuore; persone straziate dal dolore, arrabbiate con Dio, che hanno imparato grazie a Lui, a perdonare; persone accecate dall'invidia o dalla cupidigia che con Lui hanno messo le ali, trasformandosi in gioia, in bontà, in amore quotidiano, in donazione di sé stessi! Dobbiamo guardare anche noi, come Giovanni, quelli che sono i segni della vittoria silenziosa del Messia, la forza dirompente del Vangelo sulle persone che cambiano, che guariscono, che scoprono Dio, potendo così ammirare, nelle pieghe del nostro mondo corrotto e inquieto, gesti di totale gratuità, vite consumate nel dono e nella speranza, squarci di fraternità in deserti di solitudine e di egoismo.
Dobbiamo guardare e riconoscere in questi segni la presenza del Regno di Dio.
Purtroppo spesso non li vediamo, non ce ne rendiamo conto, non li vogliamo vedere, non li possiamo vedere, perché il problema tragico del nostro tempo è proprio quella cecità interiore che impedisce di vedere, di toccare con mano la presenza di Dio, nascosta, silenziosa, ma decisamente reale e concreta, in tutto ciò che ci circonda.
Quante sfumature, nella natura e nelle persone, i nostri occhi, ispessiti dall’egoismo, non riescono a cogliere! Meraviglie che ci lasciano indifferenti, che non ci colpiscono, non ci stupiscono! Se la folgorante luce di Cristo non ci illumina l’anima e il cuore, nulla purtroppo di ciò che vediamo potrà mai estasiarci. Senza di Lui rimaniamo solo dei biechi famelici. Qualunque cosa tocchiamo, la sviliamo, la insudiciamo; la osserviamo, ma solo per desiderarla, per prenderla, per possederla. Guardiamo tutto ma non “vediamo” nulla, perché siamo completamente “ciechi”. 
Vivere l’Avvento significa, allora, modificare il nostro sguardo, far constatare ai tanti distratti, ovviamente a noi per primi, che il Regno avanza, è presente, che tutti noi possiamo renderlo visibile, contribuendo a realizzarlo. Impariamo tutti a riconoscere i segni della presenza di Dio, alziamo lo sguardo dalla nostra indifferenza, dal nostro dolore, per accorgerci della presenza e della salvezza di Dio, che si attua continuamente nelle nostre soffocate città.
In questa manciata di giorni che mancano al Natale, diventiamo anche noi segno di speranza per quanti a Natale si sentono abbandonati, soli, dimenticati! Pochi giorni, per assicurare a chi ancora non ha trovato Dio, che Dio c'è, che è amore: diciamo loro come Dio abbia cambiato la nostra vita, come ci abbia soccorso nel dolore e nelle prove della vita. Perché Dio c’è veramente, e ci segue sempre da vicino, passo dopo passo! Ecco, sia questa la nostra prospettiva, in un mondo che si dibatte tra problemi irrisolti, ipotesi strampalate, dubbi laceranti, dilaganti incertezze. Domandiamoci, come singoli credenti e come Chiesa, se siamo la risposta vivente alle domande profonde e incalzanti di tante persone che si dibattono nel buio; domandiamoci se siamo veramente quella risposta, che si trasforma in offerta di solidarietà, in atteggiamento di ascolto, in annuncio di speranza. Amen.

 

venerdì 2 dicembre 2022

04 Dicembre 2022 - II DOMENICA DI AVVENTO


Mt 3,1-12
In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!». E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

 Il vangelo di oggi ci presenta la figura di Giovanni Battista: uno che non aveva paura dell’opinione della gente, che lottava per ciò in cui credeva, che aveva il coraggio di esporsi e di pagare di persona per le proprie scelte. Per Gesù, fu una persona di sicuro riferimento.
Anche noi, abbiamo tanti punti di riferimento, modelli esemplari da seguire, da imitare; abbiamo a disposizione, insomma, persone che, guardandole, conoscendole, ascoltandole, ci prendono il cuore; persone sante che meritano la nostra stima, per la loro forza d’animo, la tenerezza, l’amore, il coraggio di osare: persone, insomma, franche, vere, che non si sono mai svendute al sistema, all’opinione pubblica, al “così fan tutti”. Ma non ci bastano.
Infatti, nel dilagante materialismo della nostra società, possiamo constatare amaramente come troppa gente preferisca idealizzare, mitizzare, innalzare ad idoli, personaggi decisamente discutibili, personaggi “costruiti”, lanciati da pubblicità insulse, da trasmissioni mediatiche “spazzatura”, prive di ogni dignità; sono gli “eroici” predicatori del nostro tempo, pronti a svendere la faccia, la personalità, la dignità, pur di ottenere un fugace lampo di notorietà, destinato a dissolversi già sul nascere.
Ecco allora che la Liturgia corre in nostro aiuto per offrirci concretamente la possibilità di scelta, di ricorrere, in questo tempo di preparazione al Natale, agli esempi biblici di santità, di dedicarci alla nostra “conversione”, di “tornare indietro”, di mettere un punto fermo alla nostra corsa alienante: in pratica ci dice: “Non svendere la tua dignità per gli scarti, scegli il meglio, vai all’origine, guarda e segui il Battista”.  
In effetti, scegliere il Battista come esempio da “vivere”, piuttosto che una influencer stupidotta o un tarantolato da quattro soldi, significa porsi decisamente su un altro piano, significa distaccarsi dalla mentalità corrente, raggiungere un’altra maturità, inseguire altri ideali!
Gesù stesso ce lo indica: lui stesso fu suo discepolo, lo seguì, si fece battezzare da lui: che sublime meraviglia: un Dio che ìmita una creatura; una creatura che diventa guida, “maestro”, dell’unico Maestro, degno di questo nome.
È proprio questa creatura, questo maestro, che Matteo ci presenta nel vangelo di oggi: un Giovanni Battista che “predica” nel deserto: ma perché proprio nel deserto? Chi è quel predicatore che oggi va a cercare la “sua” folla di ascoltatori nel deserto? Ovviamente nessuno. E allora, perché Giovanni se ne sta nel deserto?
Semplice: perché il deserto, il “proprio deserto”, è il luogo obbligato in cui tutti devono ritirarsi se vogliono riappropriarsi sul serio della loro autenticità, della loro dignità.
Nel nostro “deserto” siamo infatti assolutamente soli: noi, con noi, e nessun altro; siamo degli invisibili anacoreti. È qui che impariamo a stare con noi stessi, a non dipendere dal giudizio della gente, a non farci contaminare dalle mode, dalle idee, dai luoghi comuni. È qui che possiamo stare, noi e Dio, in completa solitudine, in silenzioso amichevole colloquio: è il luogo ideale in cui metterci di fronte a Lui, specchiarci in Lui, e capire di quanto ci siamo allontanati da quella sua immagine che originariamente ha impresso in noi. È qui, nel deserto, che abbiamo pertanto la possibilità di modificare radicalmente le nostre scelte di vita.
Giovanni Battista, a differenza di Gesù, vive stabilmente del deserto.
È un uomo selvatico, uno che non teme di guardarti in faccia, uno integro, tutto d’un pezzo: non veste riccamente come i “cittadini” di Gerusalemme, la gente bene, i “vip”, i sacerdoti del tempio: ha un vestito grossolano, fatto di pelli di cammello, apertamente in contrasto con le prescrizioni di purezza giudaiche. Ma a Giovanni non interessano le leggi religiose sull’aspetto esteriore. A lui interessa la vita interiore, la coscienza, la Verità. Non mangia i cibi della società ma cavallette e miele selvatico, il nutrimento degli esclusi, degli emarginati. Non ha bisogno di maschere esterne, né di lifting, né di mantenersi giovane, né di mostrarsi “macho”, né di esibire il suo potere o i suoi soldi: perché è un uomo libero, coerente con sé stesso, trasparente, che trova in sé e in Dio la sua unica ragione di vita.
Egli è consapevole della sua missione. È “voce di uno che grida nel deserto: preparate le vie del Signore”. Sa che non sarà ascoltato, sa che lo derideranno, sa che rischia grosso, perché insiste nel gridare a tutti: “Amico mio, se non cambi vita, finisci male!”.
ciono; eppure ne abbiamo tutti un grande bisogno: abbiamo veramente bisogno non soltanto di persone semplicemente buone, ma di profeti che ci sveglino in maniera rude dal nostro torpore, che ci diano uno scossone, che ci facciano sussultare, che ci stampino in faccia quattro sberle, prima che sia troppo tardi. Abbiamo bisogno di “profeti” veri, autentici, innamorati di Dio; di “profeti” che leggano dentro di noi, che ci scrutino l’anima, che ci dicano chiaramente, in nome di Dio: “Ricordati che se continui così perderai la tua anima. Se non ti apri agli altri, se non perdoni, se non ami, finirai per vivere nell’odio, nell’avversione. Se non smetti di illuderti, di raccontarti “balle”, non ne uscirai più. Se non piangi le tue infedeltà, non proverai mai l’emozione risanatrice del sentirti amato e perdonato. Se non ti prendi cura dell’anima, ti condannerai all’infelicità eterna”.
A volte la loro rude franchezza di santi potrebbe anche ferirci, indispettirci, perché ci rinfaccia apertamente la verità, ci pone davanti a ciò che non vorremmo né vedere né sentire, né condividere. Noi infatti dall’alto del nostro ego, proviamo rabbia, stiamo male, quando qualcuno rimprovera con franchezza le nostre ipocrisie, le nostre miserie, le nostre falsità.
Ma questo è l’amore “duro”, l’amore “vero”, l’amore del vero profeta che ci chiama a tornare nella Verità. È lo stile del “deserto”. Lo stile che rinnova, che fa rinascere, che ci ridona vita vera.
E allora, perché ostinarsi a vivere in “città”, nella Gerusalemme del mondo, tutta lustrini e falsità, rifiutando categoricamente l’esperienza del “deserto”?
«Il regno dei cieli è vicino!» ci urla il Battista. Il tempo è breve: decidiamoci! Amen.

  


giovedì 24 novembre 2022

27 Novembre 2022 - I DOMENICA DI AVVENTO – ANNO A -


 Mt 24, 37-44 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. 
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

 Dio arriva quando meno ce l’aspettiamo. Magari lo cerchiamo tutta la vita, o crediamo di cercarlo, e magari convinti scioccamente di averlo trovato, ci adagiamo senza fare più nulla, lasciando che la vita ci scorra addosso, con le sue illusioni, le sue delusioni, le sue paure, i suoi entusiasmi, i suoi fallimenti.
Per questo abbiamo bisogno di fermarci, almeno qualche minuto, per guardare dove stiamo andando, per trovare (o ritrovare) quel filo conduttore che dia un senso alla nostra storia personale, a questa nostra vita.
Con l'Avvento, tempo liturgico di raccoglimento, di meditazione, di revisione interiore, un nuovo anno liturgico si apre davanti a noi, portandoci al primo dei grandi appuntamenti, quello del “Dio con noi”, il Natale. Una solennità che non ha nulla a che vedere con l’omonimo Natale delle vetrine, dei lustrini, della corsa agli acquisti senza senso, a quella fiera insopportabile di bontà posticcia e fasulla, che ha ridotto il Natale di Gesù ad una festa di “compleanno”, priva di qualunque espressione d’amore per il “festeggiato”. No, non è questo il Natale della fede cristiana, il Natale di quanti sentono il bisogno di incontrare quel Dio, che per amor nostro ha accettato di nascere uomo, di entrare nella storia umana, offrendosi alla nostra contemplazione nella fragilità di un neonato, di un Dio bambino adorabile, sorridente, invitante; un Dio che ogni anno, rinascendo nel cuore di chi lo ama, diventa completamente percepibile, incontrabile, affidabile: un Dio amore, che con le sue piccole braccia spalancate, fa capire al mondo di essere venuto per “trarre a sé” l’intera umanità. 
L’“Avvento”, però, (da “advenio”, vengo, arrivo) non si esaurisce nel ricordo di questa prima “venuta” di Dio tra gli uomini, ma ci proietta anche in una prospettiva futura, con altre due “venute”, altri due “incontri” di Cristo con ciascuno di noi: uno privato, alla fine dei nostri giorni per la verifica personale della nostra vita, l’altro universale, definitivo, trionfale, alla fine del mondo. Ed è esattamente a queste due “venute finali” che si riferisce il testo del vangelo di oggi. 
Il brano di Matteo è infatti tipicamente “escatologico”, nel senso che si riferisce al ritorno glorioso di Dio alla fine dei tempi: proprio per questo, molti suoi riferimenti sono di non facile e immediata comprensione.
Come abbiamo sentito, Gesù sta parlando della venuta del “Figlio dell’uomo”, evento imprevedibile, di estrema gravità, in quanto decreterà per ogni singola persona la sua destinazione eterna, se vivere cioè nella gloria dell’elezione o nella sofferenza della condanna: 
«Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo»; cioè: la venuta finale del Figlio dell’uomo, sarà identica a quella verificatasi ai tempi di Noè: “è la vostra storia biblica – dice in pratica Gesù -  tutti conoscete i particolari di quella tragedia: quei popoli infatti non pensavano certo ciò che sarebbe loro capitato: continuavano tranquillamente a vivere disprezzando ogni regola morale, concentrati unicamente sul godimento dei piaceri materiali (mangiare, bere, copulare, fare figli, divertirsi), senza mai preoccuparsi della loro condotta morale, dei loro doveri nei confronti di Dio. Ecco: la mia raccomandazione è che evitiate assolutamente di comportarvi anche voi in quel modo”: perché, (conclude Gesù) essi «non si accorsero di nulla, venne il diluvio, e li travolse tutti»
“Tenetevi pronti” è dunque l’invito solenne di Gesù: “vegliate, state allerta, state pronti, perché non conoscete la data di quando il Signore vostro verrà”.
L’appuntamento con Dio, infatti, è sempre incombente; nessuno ne conosce il “come” e il “quando”; sappiamo solo che avverrà improvvisamente, come avviene con i ladri: è successo così ai tempi di Noè, succederà sempre così, anche ai nostri giorni; non illudiamoci, noi non siamo assolutamente migliori, più bravi, più santi, dei nostri antenati. 
Diciamo anzi che la cosa, oggi, non interessa praticamente più, nessuno la tiene più in considerazione: addirittura c’è il rifiuto di tale prospettiva, perché anche solo pensare a quell’evento, richiederebbe una immediata riprogrammazione della propria vita. Vivere al contrario nell’illusione, far finta di nulla, è molto più facile, più gradevole, ma così facendo inganniamo noi stessi.
Il Figlio di Dio è venuto su questa terra con lo scopo preciso di redimerci, di salvarci: ci ha indicato con precisione quale percorso seguire, ci ha lasciato consigli e disposizioni in quantità; noi però non ce ne curiamo abbastanza, preferiamo condurre una vita spiritualmente inutile, ci lasciamo trascinare dalle cose materiali, dai piaceri, dalle futilità passeggere, salvo poi al dunque esclamare: “Che sfortunato! Che destino orribile!”.
Nossignori: non è sfortuna, non è destino, non è Dio ad essere crudele: siamo noi gli insensati, gli incoscienti; siamo noi che avevamo il dovere di preoccuparci per tempo, noi che invece abbiamo preferito dormire, vegetare, divertirci: e siamo sempre noi che alla fine ci meravigliamo, ci sorprendiamo, ci angosciamo: no, Dio non c’entra! Gesù ce l’ha detto e ripetuto, l’ha predicato al mondo intero: «Tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo!». 
Non abbiamo dunque attenuanti, l’avvertimento è chiaro: come pure, sappiamo molto bene che in quell’occasione uno sarà “portato via”, l'altro “lasciato”; uno cioè verrà scelto per rimanere nell’amore di Dio, l'altro no; uno sarà salvato, l'altro abbandonato a sé stesso. 
Sono parole, concetti, consigli, sentiti e risentiti: ma Gesù, col Vangelo iniziale di questo Avvento, vuole riproporceli ancora una volta. Egli, durante l’intera nostra vita, è sempre discreto, riservato; puntuale nello starci vicino, pronto nel darci un aiuto: non impone mai la sua presenza. Completamente diversa sarà, invece, la sua apparizione finale, la sua “parusia”: un evento tremendo, improvviso, ineludibile, spaventoso, perché scuoterà terribilmente il mondo e tutti gli illusi, i perdigiorno, i credenti nullafacenti, che lo abitano. 
Approfittiamo allora di questo tempo “favorevole”: pensiamo seriamente a questo nostro rendez-vous conclusivo, riappropriandoci della nostra dignità di cristiani, di figli, di fedeli discepoli; ascoltiamo con profitto la Parola di Dio, accogliamo con fede il soffio divino dello Spirito di Dio nostro Padre, che “anima”, con la sua grazia, la nostra vita. Accettiamole umilmente tutte le sue continue esortazioni; e se ci scopriamo in difetto, approfittiamo per tempo della sua infinita misericordia: un dono sempre attuale, fruibile sempre, in ogni momento, anche ora; evitiamo soprattutto di trasformarla scioccamente in un nostro diritto, contando di esigerlo alla nostra fine! Amen.

 

 

giovedì 17 novembre 2022

20 Novembre 2022 - XXXIV DOMENICA DEL T.O. - SOLENNITÀ DI CRISTO RE DELL’UNIVERSO


Lc 23, 35-43 
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi sé stesso, se è lui il Cristo di Dio, l'eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell'aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c'era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!».
L'altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio. tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

 La festa di oggi, Gesù Cristo re dell’Universo, è una provocazione alla nostra tiepida fede, una sfida alla nostra fragile contemporaneità, al nostro cristianesimo miope, fatto spesso solo di “grandiosi”, inattuati propositi. 
Dire che Cristo è re dell’universo, significa che Lui avrà l’ultima parola sulla storia, su ogni storia, anche sulla nostra breve storia personale. Dire che Cristo è re, significa non arrendersi alla falsa evidenza della sconfitta di Dio in questo mondo; dire che Cristo è re, significa credere invece che il mondo, nonostante tutto, non sta precipitando nel caos, ma nell’abbraccio tenerissimo e amoroso del Padre. Dire che Cristo è re, significa creare oggi spazi di testimonianza là dove stiamo vivendo la nostra vocazione alla vita: piccoli spazi dimostrativi, per dire a quanti hanno il cuore e la mente smarriti: “ecco, Dio vi ama”. 
Cristo è un re fuori dagli schemi. Anzi: la regalità di Gesù, uomo Dio, è una regalità che va contro ogni nostra umana immaginazione, perché questo Dio Re, agli occhi del mondo, è il più sconfitto di tutti gli sconfitti, più fragile di ogni fragilità: un re senza trono e senza scettro, appeso nudo ad una croce, un re che necessita di un cartello per essere identificato. Non un Dio trionfante, non un Dio onnipotente, ma un Dio osteso, messo alla gogna, sfigurato, piagato, sconfitto.
Una sconfitta, la sua, che in realtà è la più esaltante vittoria dell’amore, un impensabile dono di sé per la salvezza del mondo. Un Dio sconfitto per amore, un Dio che, contro ogni logica umana, manifesta al contrario la sua vittoria assoluta nel dono di sé stesso e nel perdono. Lui si è messo completamente in gioco, consegnandosi al mondo: non in maniera nascosta, non misteriosamente, ma in modo evidente, provocatoriamente evidente! Pur di piegare la durezza del cuore umano, ha accettato l’ignominia e il supplizio della croce.
Gesù, è venuto a dirci di Dio, a raccontarci il suo amore, la sua vicinanza, la sua misericordia. Lui, figlio del Padre, ci dona e ci dice veramente chi è Dio. E nonostante ciò tanti uomini, troppi ahimè, gli rispondono ancora: «No, grazie! Non ci serve un Dio così! Siamo adulti, persone “navigate”, sappiamo come vanno le cose: non vogliamo un Dio assillante, sempre attaccato; ne preferiamo uno più riservato, più distaccato, magari a volte anche scostante, permaloso; l’importante è che sia un Dio bonaccione, un po’ credulone, che quando “serve” lo possiamo facilmente confondere con la nostra parlantina e, con poco, tenercelo buono».
Beh, qualche volta, in fondo in fondo, forse preferiremmo anche noi un Dio così; un Dio che ci lasci soddisfare tranquillamente le nostre “voglie” umane, le piacevolezze di questa vita; un Dio che non ci costringa ad un costante, impegnativo, lavoro per “migliorare”, che non ci chieda di aderire completamente, esclusivamente, continuamente a Lui, alla sua volontà, ma che si accontenti di qualche piccola attenzione ogni tanto; insomma preferiremmo volentieri un Dio che non stia sempre, notte e giorno, con la telecamera in mano per documentare puntualmente ogni nostra infedeltà, ma semplicemente che le ignori, permettendoci di campare un po’ come meglio ci aggrada!  
Fortunatamente queste nostre “geniali” soluzioni alternative, non sono troppo frequenti: anche perché il maligno, evidente ispiratore di queste “trovate”, è più impegnato altrove nel fare al meglio il suo mestiere!
Proseguendo inoltre nella lettura del testo evangelico, una frase colpisce particolarmente la nostra attenzione: sono quelle parole di scherno lanciate a Gesù, innalzato sulla croce, da una folla delirante, eccitata: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso».
Sono parole che Luca attribuisce non solo alla gente, ma ai soldati pagani, ai capi, ai sacerdoti: tutti, insomma, con il loro ironico sarcasmo, lo invitano a scendere dalla croce, a mettere da parte le sue fantasie, a smettere di fare l’inviato di Dio proclamandosi Re: un Re che vorrebbe salvare il mondo, ma che non riesce a salvare neppure sé stesso. 
Gesù però, sulla croce, non raccoglie questo invito farneticante: Egli continua a pensare non a sé stesso, ma soltanto a noi: è la nostra salvezza che gli preme, è la salvezza di tutti gli uomini, perché la missione ricevuta dal Padre è una sola: redimere, salvare l’umanità, il mondo intero! Per questo Egli meritatamente può fregiarsi del titolo di Re dell’universo: lo è diventato rivestendo la nostra umanità: durante l’intera sua vita umana ha donato sé stesso a tutti, ha amato, ha aperto il suo cuore misericordioso ai peccatori, ai derelitti, agli afflitti, ai deboli, a tutti i bisognosi; e alla fine, dall’alto della croce, suo trono patibolare, si è immolato, vittima sacrificale, per l’intera umanità. 
Ma lassù, sul GolgotaGesù non è solo ad essere crocifisso: due ladroni stanno scontando la stessa pena; sono due malfattori, due uomini giustiziati secondo le leggi di quel tempo. La loro non è una condanna iniqua, come quella di Gesù: sono due malfattori, hanno derubato e ucciso. Sono uomini che nella loro vita hanno sbagliato tutto, hanno fallito, e ne sono ampiamente consapevoli. Il primo però non è per nulla pentito: anzi provoca Gesù, lo mette alla prova gridandogli: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!»: le sue parole non sono suggerite dall’amore, ma sono l’espressione di un uomo arrogante, vigliacco, di un egoista frustrato, pronto a qualunque compromesso pur di aver salva la vita. 
L’altro ladrone, invece, ha il cuore affranto, è confuso, pentito; dall’alto del suo patibolo, assiste impotente al martirio brutale, ingiusto, disumano, di quel mite “sconosciuto”, che si era dichiarato Figlio di Dio: e urla; urla a squarciagola tutto il suo sdegno, la sua rabbia contro l’insolenza del compagno: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena?», e con voce strozzata dall’angoscia e dal pianto si rivolge a Gesù implorando perdono, misericordia, grazia, salvezza. E subito una pace sconosciuta inonda il suo cuore: «In verità io ti dico: oggi sarai con me in paradiso!». 
Ecco: questa del delinquente pentito e trasformato dall’amore di Dio, è la vera icona del cristiano, di noi deboli e insicuri viandanti: è l’icona di colui che nelle sue miserie, nelle sue infedeltà, nei suoi tradimenti, capisce di potersi rivolgere fiduciosamente a Dio, capisce di potergli aprire completamente il proprio cuore e ottenere da Lui accoglienza, perdono, tenerezza, amore. 
E allora, nella nostra situazione umana altrettanto deficitaria e compromessa, prostrati ai piedi del nostro Re Crocifisso, riconosciamo anche noi con lo stesso spirito umile e contrito del buon ladrone e del centurione: «davvero quest’uomo è il Figlio di Dio!» "Sì, questi è veramente il nostro Dio, il nostro Re, quel Padre, che noi un giorno vogliamo incontrare!”. 
E se finora abbiamo vissuto senza interessarci a Lui, alla sua presenza, da oggi dobbiamo cambiare. Se finora ci siamo comportati egoisticamente con gli altri, con i nostri fratelli, da oggi dobbiamo cambiare. Se finora ci siamo disinteressati delle nostre infedeltà, dei nostri tradimenti, da oggi dobbiamo cambiare. Se finora abbiamo inveito contro Dio per le contrarietà che la vita ci riserva, da oggi dobbiamo cambiare. Se finora abbiamo vissuto nel disprezzo, nell’avversione, nella diffidenza, da oggi dobbiamo cambiare. 
Perché solo se cambiamo direzione, solo se invertiamo in questa vita il senso del nostro cammino, possiamo finalmente immetterci sull’unica strada sicura che conduce a Dio, che ci permette un giorno di raggiungerlo, per di unirci a Lui nel suo infinito, eterno amore. Amen.



giovedì 10 novembre 2022

13 Novembre 2022 - XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Lc 21, 5-19 
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

 Il vangelo di oggi per noi moderni è sicuramente di non facile comprensione: riferimenti e allusioni sono oscuri, lontani dalla nostra mentalità. Tuttavia è possibile individuare tre passaggi, su cui concentrare la nostra attenzione, e ricavarne un utile insegnamento. 

Primo passaggio: «[…] alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi» (21,5). Il testo ovviamente fa riferimento al tempio di Gerusalemme, uno dei monumenti sacri più belli, più ricchi e lussuosi dell’antichità, di cui tutti gli Israeliti ne magnificavano la preziosità. Bene: e se invece che ad un Tempio materiale, noi adattassimo quelle belle parole ad ogni cristiano, anch’esso Tempio dello Spirito Santo? Se le rivolgessimo a ciascuno di noi, al nostro “interno”, alla nostra vita spirituale, alla nostra coscienza, saremmo anche noi “ornati di pietre preziose”? Beh, c’è sicuramente di che meditare: perché noi (forse io per primo), nel nostro “tempio” personale, ci limitiamo purtroppo solo ad esporle, ad esibirle, le nostre “pietre preziose”: dovrebbero essere “elementi portanti” di grande robustezza, tali da suscitare l’ammirazione e l’imitazione in quanti le guardano, non certo semplici “rappresentazioni decorative”: perché nella realtà,  troppo spesso, “ornamenti preziosi” come le nostre pratiche religiose, le nostre “buone” opere, le nostre messe, i nostri rosari, le nostre elemosine, non sono altro che “mezzi” attraverso cui ostentare una fede, una pietà, una carità che probabilmente non abbiamo! Queste nostre “gemme” che dovrebbero impreziosire l’habitat di Dio nel nostro cuore, si rivelano invece dei meschini “orpelli”, con un valore pari a quello dei “costosi” monili che esibiamo orgogliosamente al collo (corone del rosario, preziosi crocifissi, medaglioni sacri) con cui ci illudiamo di testimoniare sufficientemente la nostra fede di devoti cristiani! Ma: «fate attenzione» ci avverte qui Gesù: «fate attenzione, perché tutto quello che ora appare solo esteriormente, tutto quello che fate per far bella figura, alla fine, quando il Figlio dell'uomo verrà nella gloria, tutto svanirà, tutto inesorabilmente si rivelerà inutile, senza alcun valore». 
E, quel che è peggio, presentandoci a mani vuote, non potremo certo sentirci accogliere con le stesse parole riservate ai suoi servitori fedeli: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo» (Mt 25,34).

Secondo passaggio: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno nel mio nome. Non andate dietro a loro!» (21,8). Di questo dobbiamo stare veramente molto attenti: oggi siamo infatti costretti a convivere con una pletora indescrivibile di pseudo profeti (conferenzieri, studiosi, preti, frati, teologi, santoni, medium, guaritori, ciarlatani ecc.); con gente che pur di consolidare il proprio prestigio economico, pur di avere un “ritorno” di fama modana, di applausi, di gloria mediatica, è pronta, vendendosi l’anima, a promuovere la sapienza venefica di satana, piuttosto che il messaggio salvifico di Cristo. Gente dall’apparenza melliflua, affabile, disponibile, cordiale, che si presenta come testimone e dispensatrice dell’amore di Dio, ma che in realtà è diabolica, poiché mira esclusivamente alla propria personale affermazione.

Terzo passaggio: «Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici…; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto» (21,16-18)
In altre parole: Quando ci sentiamo traditi e abbandonati da tutti, è allora che una certezza interiore ci conforterà, ci sorreggerà: noi non siamo soli! Sempre, puntualmente, Dio è con noi! Anche se non lo vogliamo, anche se ricalcitriamo, anche se lo rinneghiamo continuamente, Egli continuerà sempre e comunque a starci vicino, pronto ad intervenire in nostro soccorso. 
Se siamo convinti di ciò, perché allora preoccuparci? Perché vivere continuamente nell’ansia, nell’angoscia? 
L’angoscia, lo sappiamo, è un male tremendo, mortale: è la sensazione di poter cadere ogni istante in un baratro profondo, vittime del male, senza che nessuno possa aiutarci. 
È un terrore costante che priva di qualunque certezza; è quel sentimento che destabilizza, che mette di fronte all’impotenza umana, ai suoi limiti, che fa temere un crollo improvviso e totale di tutto ciò che ci circonda.
L’angoscia è molto diffusa nella nostra società moderna: noi tutti, in qualche modo, ne siamo vittime: per il nostro domani, per la possibilità di perdere il lavoro, per non riuscire ad arrivare a fine mese. Siamo tutti ossessionati dalla concreta possibilità di malattie, di epidemie, di guerre, di inondazioni e di calamità naturali. E come se non bastasse, quello che più ci angoscia, più ci terrorizza è l’idea della morte, la drammatica e tragica fine della nostra vita, di quando cioè saremo costretti nostro malgrado ad abbandonare, a perdere, a separarci da tutto ciò che siamo, da tutto ciò che abbiamo, da tutto ciò che amiamo. 
Cosa dobbiamo fare, allora, per combattere questa sensazione così nefasta? Quale via dobbiamo seguire per contrastare questa paralisi invalidante? 
Prima di tutto dobbiamo portare luce nel nostro intimo, dobbiamo illuminare il buio che avvolge la nostra anima: non dobbiamo più temere di scoprirci, di mettere il nostro cuore, la nostra coscienza più profonda, alla luce del Sole divino. Perché più cerchiamo di nascondere, più teniamo segrete le nostre frequenti infedeltà, più ci immergiamo in un crescente senso di colpa nel rispondere con l’inganno ai continui interventi d’amore che Dio opera in nostro favore. Gesù nel vangelo dice infatti: “Non v’è nulla di nascosto che non debba essere svelato e di segreto che non debba essere manifestato» (Mt 10,26). Molte persone sono dunque particolarmente angosciate dal guardarsi dentro perché, nel loro orgoglio, temono di scoprirsi peggiori di tante altre. Ma ingannare sé stessi non è certo il metodo più sicuro e celere per raggiungere la serenità; solo portando luce e verità nella nostra coscienza, l’ansia, l’inquietudine, la paura, spariranno, lasciando spazio alla gioia, alla serenità, alla pace. 
Dopo di ciò, dobbiamo vivere umilmente nel presente, nelle realtà della vita, convinti che il più forte antidoto all’angoscia è la fiducia in Dio. Sì, perché aver fiducia in Lui significa percepire, sentire la sua presenza in noi, una presenza discreta che ci guida, ci consiglia, ci dà forza: sapere cioè che Lui c’è, che ci accompagna, che vuole il nostro bene, che ci sostiene nel bisogno, che ci ama: in una parola, “si nobiscum Deus, quis contra nos? se Dio sta con noi, chi potrà essere contro di noi?” (Rom 8,31). Ecco: questa certezza ci basterà a superare qualunque ostacolo. 
Ovviamente, per arrivare a tanto, dobbiamo soprattutto pregare. Pregare sul serio, umilmente, continuamente, in particolare nella solitudine del nostro cuore. 
Del resto, cos’ha fatto Gesù nei momenti della sua più profonda angoscia? Era nel Getsemani: la prospettiva che gli si apriva davanti era una morte terribile: ebbene, Lui ha pregato intensamente, ha affidato nelle mani del Padre tutta la sua vita, il suo affanno, la sua paura; ha avuto anch’egli bisogno, in quel momento terribile, di sentire la vicinanza del Padre. E in quel momento, ha ritrovato la forza, la determinazione, la serenità, per portare a compimento la sua missione redentrice. 
È il grande esempio lasciatoci da Gesù con la sua vita: seguiamolo anche noi umilmente, e potremo compiere con coraggio, dignità e fedeltà, la missione affidataci dal Padre. Amen.