giovedì 24 novembre 2022

27 Novembre 2022 - I DOMENICA DI AVVENTO – ANNO A -


 Mt 24, 37-44 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. 
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

 Dio arriva quando meno ce l’aspettiamo. Magari lo cerchiamo tutta la vita, o crediamo di cercarlo, e magari convinti scioccamente di averlo trovato, ci adagiamo senza fare più nulla, lasciando che la vita ci scorra addosso, con le sue illusioni, le sue delusioni, le sue paure, i suoi entusiasmi, i suoi fallimenti.
Per questo abbiamo bisogno di fermarci, almeno qualche minuto, per guardare dove stiamo andando, per trovare (o ritrovare) quel filo conduttore che dia un senso alla nostra storia personale, a questa nostra vita.
Con l'Avvento, tempo liturgico di raccoglimento, di meditazione, di revisione interiore, un nuovo anno liturgico si apre davanti a noi, portandoci al primo dei grandi appuntamenti, quello del “Dio con noi”, il Natale. Una solennità che non ha nulla a che vedere con l’omonimo Natale delle vetrine, dei lustrini, della corsa agli acquisti senza senso, a quella fiera insopportabile di bontà posticcia e fasulla, che ha ridotto il Natale di Gesù ad una festa di “compleanno”, priva di qualunque espressione d’amore per il “festeggiato”. No, non è questo il Natale della fede cristiana, il Natale di quanti sentono il bisogno di incontrare quel Dio, che per amor nostro ha accettato di nascere uomo, di entrare nella storia umana, offrendosi alla nostra contemplazione nella fragilità di un neonato, di un Dio bambino adorabile, sorridente, invitante; un Dio che ogni anno, rinascendo nel cuore di chi lo ama, diventa completamente percepibile, incontrabile, affidabile: un Dio amore, che con le sue piccole braccia spalancate, fa capire al mondo di essere venuto per “trarre a sé” l’intera umanità. 
L’“Avvento”, però, (da “advenio”, vengo, arrivo) non si esaurisce nel ricordo di questa prima “venuta” di Dio tra gli uomini, ma ci proietta anche in una prospettiva futura, con altre due “venute”, altri due “incontri” di Cristo con ciascuno di noi: uno privato, alla fine dei nostri giorni per la verifica personale della nostra vita, l’altro universale, definitivo, trionfale, alla fine del mondo. Ed è esattamente a queste due “venute finali” che si riferisce il testo del vangelo di oggi. 
Il brano di Matteo è infatti tipicamente “escatologico”, nel senso che si riferisce al ritorno glorioso di Dio alla fine dei tempi: proprio per questo, molti suoi riferimenti sono di non facile e immediata comprensione.
Come abbiamo sentito, Gesù sta parlando della venuta del “Figlio dell’uomo”, evento imprevedibile, di estrema gravità, in quanto decreterà per ogni singola persona la sua destinazione eterna, se vivere cioè nella gloria dell’elezione o nella sofferenza della condanna: 
«Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo»; cioè: la venuta finale del Figlio dell’uomo, sarà identica a quella verificatasi ai tempi di Noè: “è la vostra storia biblica – dice in pratica Gesù -  tutti conoscete i particolari di quella tragedia: quei popoli infatti non pensavano certo ciò che sarebbe loro capitato: continuavano tranquillamente a vivere disprezzando ogni regola morale, concentrati unicamente sul godimento dei piaceri materiali (mangiare, bere, copulare, fare figli, divertirsi), senza mai preoccuparsi della loro condotta morale, dei loro doveri nei confronti di Dio. Ecco: la mia raccomandazione è che evitiate assolutamente di comportarvi anche voi in quel modo”: perché, (conclude Gesù) essi «non si accorsero di nulla, venne il diluvio, e li travolse tutti»
“Tenetevi pronti” è dunque l’invito solenne di Gesù: “vegliate, state allerta, state pronti, perché non conoscete la data di quando il Signore vostro verrà”.
L’appuntamento con Dio, infatti, è sempre incombente; nessuno ne conosce il “come” e il “quando”; sappiamo solo che avverrà improvvisamente, come avviene con i ladri: è successo così ai tempi di Noè, succederà sempre così, anche ai nostri giorni; non illudiamoci, noi non siamo assolutamente migliori, più bravi, più santi, dei nostri antenati. 
Diciamo anzi che la cosa, oggi, non interessa praticamente più, nessuno la tiene più in considerazione: addirittura c’è il rifiuto di tale prospettiva, perché anche solo pensare a quell’evento, richiederebbe una immediata riprogrammazione della propria vita. Vivere al contrario nell’illusione, far finta di nulla, è molto più facile, più gradevole, ma così facendo inganniamo noi stessi.
Il Figlio di Dio è venuto su questa terra con lo scopo preciso di redimerci, di salvarci: ci ha indicato con precisione quale percorso seguire, ci ha lasciato consigli e disposizioni in quantità; noi però non ce ne curiamo abbastanza, preferiamo condurre una vita spiritualmente inutile, ci lasciamo trascinare dalle cose materiali, dai piaceri, dalle futilità passeggere, salvo poi al dunque esclamare: “Che sfortunato! Che destino orribile!”.
Nossignori: non è sfortuna, non è destino, non è Dio ad essere crudele: siamo noi gli insensati, gli incoscienti; siamo noi che avevamo il dovere di preoccuparci per tempo, noi che invece abbiamo preferito dormire, vegetare, divertirci: e siamo sempre noi che alla fine ci meravigliamo, ci sorprendiamo, ci angosciamo: no, Dio non c’entra! Gesù ce l’ha detto e ripetuto, l’ha predicato al mondo intero: «Tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo!». 
Non abbiamo dunque attenuanti, l’avvertimento è chiaro: come pure, sappiamo molto bene che in quell’occasione uno sarà “portato via”, l'altro “lasciato”; uno cioè verrà scelto per rimanere nell’amore di Dio, l'altro no; uno sarà salvato, l'altro abbandonato a sé stesso. 
Sono parole, concetti, consigli, sentiti e risentiti: ma Gesù, col Vangelo iniziale di questo Avvento, vuole riproporceli ancora una volta. Egli, durante l’intera nostra vita, è sempre discreto, riservato; puntuale nello starci vicino, pronto nel darci un aiuto: non impone mai la sua presenza. Completamente diversa sarà, invece, la sua apparizione finale, la sua “parusia”: un evento tremendo, improvviso, ineludibile, spaventoso, perché scuoterà terribilmente il mondo e tutti gli illusi, i perdigiorno, i credenti nullafacenti, che lo abitano. 
Approfittiamo allora di questo tempo “favorevole”: pensiamo seriamente a questo nostro rendez-vous conclusivo, riappropriandoci della nostra dignità di cristiani, di figli, di fedeli discepoli; ascoltiamo con profitto la Parola di Dio, accogliamo con fede il soffio divino dello Spirito di Dio nostro Padre, che “anima”, con la sua grazia, la nostra vita. Accettiamole umilmente tutte le sue continue esortazioni; e se ci scopriamo in difetto, approfittiamo per tempo della sua infinita misericordia: un dono sempre attuale, fruibile sempre, in ogni momento, anche ora; evitiamo soprattutto di trasformarla scioccamente in un nostro diritto, contando di esigerlo alla nostra fine! Amen.

 

 

Nessun commento: