Il vangelo racconta di una madre che è in ansia per la sorte della figlia. Gesù ha appena concluso una discussione con i farisei su cosa sia puro o impuro. I farisei ne facevano una questione formale, di regole, di leggi, e Gesù aveva tagliato corto: “Non sono le cose o i comportamenti che sono puri o impuri, è il cuore, è l'intenzione con cui fai le cose che le rende pure o impure”. In altre parole, riferito ai giorni nostri, frequentare la chiesa non è determinante per stabilire se siamo o non siamo buoni cristiani: tutto dipende dal perché ci andiamo, dalle nostre intenzioni, dal nostro cuore, da ciò che abbiamo dentro, da ciò che viviamo. Un principio che Gesù mette in evidenza anche nei confronti della donna del vangelo di oggi.
Siamo in
territorio pagano, nella zona di Tiro e di Sidone. Lungo la strada Gesù
incontra una donna che gli chiede aiuto, ma Egli sembra non accorgersene, non
si degna neppure di ascoltarla e continua per la sua strada. Strano
comportamento, decisamente inconsueto per Gesù. Con gli stessi discepoli che
gli chiedono di esaudire le richieste della donna, quantomeno per farla
smettere di seguirli e di gridare, Gesù adotta un modo di esprimersi in
stridente contrasto con le sue abitudini.
Noi ci
saremmo senz’altro aspettati che Lui la ascoltasse secondo il suo solito, che
accogliesse le sue richieste, che fosse misericordioso anche con lei. Ma Gesù
vede le cose con altri occhi rispetto ai nostri: e ce lo fa capire subito,
tornando al senso della discussione con i farisei di poco prima: non basta cioè
desiderare di cambiare, di uscire da certe situazioni; non sono sufficienti le
buone intenzioni. Bisogna essere convinti, consapevoli di ciò che si vuole o
non si vuole, essere pronti ad accettare tutte le conseguenze e quindi agire risolutamente
di conseguenza. Il desiderio, anche se forte, non basta, non è sufficiente.
Se Gesù
avesse esaudito subito questa donna, nessuno avrebbe mai capito se era sincera
o meno, se volesse a tutti i costi la guarigione della figlia; se fosse mossa
da una fede autentica, in grado di affrontare qualunque contrarietà, qualunque
umiliazione, pur di ottenere quello che chiedeva, oppure se si comportasse
così, tanto per mettere Gesù alla prova.
Per
questo Egli esaspera la situazione che gli si era presentata: adotta cioè lo
stesso modo di ragionare del suo tempo, quella mentalità secondo cui i pagani
(e questa donna era pagana) rispetto al popolo ebreo, agli “eletti”, erano considerati
una razza inferiore, delle “pecore perdute” estranee quindi ad ogni progetto di
salvezza messianica futura.
Partendo
da qui, Gesù intende evidenziare la fondamentale novità del suo insegnamento: dopo
essersi attenuto, come ebreo, alla mentalità corrente, con i fatti Egli ne
dimostra l’assoluta incongruenza. Come se volesse dire: “Sono stato fin qui in
linea con le Scritture e le vostre tradizioni: ora però voglio dimostrarvi la novità
della mia missione: per me, pagano o ebreo che uno sia, non fa alcuna
differenza; tutti meritano la mia stessa attenzione, ma ad una condizione: che le
loro azioni e le loro parole siano coerenti con quello che pensano; tutti sono
uguali ai miei occhi; ma l’importante, l’essenziale, è che lo spirito con cui
essi si rivolgono a me sia sincero, senza secondi fini; perché è il loro retto
comportamento, le loro oneste intenzioni, la sincerità dei loro cuori che li
rendono graditi ai miei occhi e degni della mia attenzione!”.
Gesù è
un uomo libero, assolutamente libero; libero di mettere in discussione la
propria tradizione, sia religiosa che sociale: e ne dà immediatamente la prova.
Appena
la donna ha superato l’esame sulla sua sincerità, e tutti i presenti hanno
potuto constatare la “purezza” della sua fede, contenuta nella risposta sui
“cagnolini” che si accontentano di ricevere anche solo le briciole che cadono
dalla tavola degli “eletti”, Gesù cambia improvvisamente atteggiamento: sembra
quasi sorpreso, colpito, meravigliato. Come se dicesse: “O donna, mi hai
conquistato, non l’avrei mai pensato, non l'avrei mai detto. Mi sono sbagliato
sul tuo conto; sia fatto come tu chiedi”. A questo punto la prova della donna è
superata, Gesù l’ha capita, la figlia è guarita: ancora una volta la
misericordia divina ha trionfato.
Possiamo
cogliere qui, per inciso, un altro insegnamento: Se c'è da cambiare idea (e qui
Gesù ha fatto vedere di averla cambiata!), se c’è da ricredersi rendendosi
conto di aver sbagliato, ebbene, bisogna farlo! Non dobbiamo essere come quelli
che rimangono sempre caparbiamente sulle loro posizioni, che non accettano mai,
per principio, la possibilità che le cose possano essere diverse, che i tempi mutino,
che le persone e le opinioni cambino. Chi non cambia mai, non va mai a fondo
nelle cose, vive in superficie. Le sue corte radici non lo alimentano, non riesce
a cambiare, a crescere, e la sua mente muore.
“Morte”
infatti vuol dire rigidità, staticità, sepoltura, significa imbalsamare tutto,
cose e persone. La vita al contrario è divenire, scorrere, mutazione. Tutto è
proiettato nel futuro, niente rimane sempre uguale. Oggi non è ieri. Crescere è
lasciarsi mettere in discussione. Chi cambia si rinnova, è sempre giovane, non
si annoierà mai. Chi rimane immobile, sempre lo stesso, è già vecchio in
partenza, la sua esistenza sarà atona, scontata, insignificante.
Ma
torniamo al personaggio centrale del vangelo, alla donna Cananea, il cui comportamento
merita altre considerazioni.
Lei
dunque, straziata dalla sofferenza, decide di andare da Gesù perché
sua figlia è in preda al demonio. Si sente in ansia, è giustamente preoccupata. Questa
donna ama sua figlia, non c'è dubbio, ma l'amore non basta. Deve fare qualcosa
di più, deve dimostrare con le parole e con i fatti tutto il suo amore.
Ma
perché, raggiuntolo, lo implora a gran voce iniziando a chiedergli, prima di
tutto, misericordia per sé stessa? “Pietà di me!”. Se è la figlia ad essere
invalida, preda del demonio, meritevole di compassione, per quale motivo chiede
pietà per sé e non direttamente per la figlia? Forse si sente in colpa per non
riuscire più a sopportare le sue frequenti esplosioni di violenza? Oppure chiede
perdono a Dio perché si sente lei colpevole della situazione a causa di sue
colpe commesse nel passato? Non sappiamo: probabilmente la sua richiesta di
perdono si spiega proprio con la mentalità di allora, secondo cui le disgrazie,
le calamità che colpivano i figli erano la conseguenza delle colpe, dei
“peccati”, commessi dai genitori. Forse la donna, in cuor suo, pensava: “Se e
quando Dio perdonerà le mie colpe, mia figlia guarirà, perché è giusto che
essendo io la causa della sua infermità, sia sempre io a procurarle la
guarigione”.
La donna
cananea è forte, decisa, ostinata: e quando Gesù, ignorando la sua richiesta,
continua a camminare senza nemmeno voltarsi, invece di desistere come avremmo
fatto noi, lei continua a seguirlo, insiste nel gridare, nell’invocare il suo
aiuto.
I
discepoli la guardano infastiditi, con un certo nervosismo. Ma lei non si
arrende: riesce finalmente ad avvicinarsi a Gesù, si butta a terra e lo
implora: “Signore, aiutami!”, ma Lui, di rimando, le risponde seccamente di no.
“Che vuoi tu da me?”.
A questo
punto delusione, rabbia, disperazione, avrebbero devastato il cuore di
chiunque: chi non si sarebbe sentito umiliato, offeso, da tanta indifferenza?
Nel Padre Nostro, Gesù ci
raccomanda di pregare: “Padre, sia fatta la tua volontà!”. Ma di fronte alla
grande fede della donna, alla sua singolare perseveranza, Gesù fa un’eccezione:
“Donna, sia fatta la tua volontà. Avvenga per te come desideri”.
Un significativo esempio di come,
per ottenere, sia richiesta una fede convinta e dinamica: “credere”, infatti, è
“volere ardentemente”, provarci con tutte le forze, agire, muoversi, crederci
fino in fondo, fino all’impossibile, costi quel che costi. Perché l’importante,
l’essenziale per Gesù, non è tanto “se” crediamo, ma “quanto” e “come”
crediamo! Amen.