venerdì 24 luglio 2020

26 Luglio 2020 – XVII Domenica del Tempo Ordinario


“Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra” 
(Mt 13,44-52).

Il vangelo di oggi ci presenta tre similitudini: il regno dei cieli è simile ad un tesoro nascosto nel campo, ad un mercante alla ricerca di perle preziose e infine ad una rete da pesca gettata in mare. La prima e la seconda sono molto affini. Anche se Gesù le deve aver dette in occasioni diverse, il tema è identico: trovare il Regno dei cieli significa scoprire qualcosa di molto prezioso.
Vediamole più da vicino: l’uomo della prima similitudine, un contadino, mentre un giorno sta dissodando un campo, trova sepolto un tesoro molto prezioso, una autentica fortuna: lo sotterra nuovamente, vende tutto quello che possiede e compra quel campo.
La seconda parabola-similitudine racconta invece di un commerciante alla ricerca di perle preziose. Trovatane una particolarmente splendida, vende tutto pur di comprarla.
Ora, mentre il primo trova il tesoro per pura casualità, il secondo lo trova dopo una lunga e meticolosa ricerca. In ogni caso, entrambi trovano un oggetto di così grande valore, da rendere insignificante quanto già possedevano. Nessun prezzo è adeguato per l’acquisto di quel tesoro e di quella perla.
Entrambe le parabole ci dicono in sostanza che Dio, il regno dei cieli, è un qualcosa di meraviglioso, di incredibile, un qualcosa che non ammette confronti: il suo valore è talmente elevato che per ottenerlo è necessario rinunciare a tutto quanto si possiede.
Ebbene, Dio è questo “tesoro nascosto”: è lo Spirito di Dio che ci inabita fin dal primo istante della nostra esistenza, dal momento in cui il Padre celeste ha “alitato” in noi la Vita.
Se lo incontriamo veramente, se lo sperimentiamo, sarà impossibile abbandonarlo: perché è Lui che ci spinge ad osare, a diventare noi stessi, a realizzarci umanamente, a cercare nuove soluzioni per servirlo; Lui ci stima, ci ama, ci fa sentire vivi, vibranti; con Lui ritroviamo la nostra autonomia di vita e di pensiero, diventiamo liberi, vinciamo le paure; è grazie a Lui che sentiamo sprigionarsi dentro di noi il fuoco della vita e dell’amore.
È impossibile fare a meno di Lui, perché Dio ha impresso un marchio indelebile dentro di noi. Quando nelle prediche ci parlano di Lui, di come comportarci per trovarlo e custodirlo nella nostra vita, sentiamo insistere continuamente sulla necessità di pregare, di frequentare riti e liturgie; ma Dio non è una preghiera, una cerimonia (ancorché sublime) o una professione di fede; non è un “Credo” o un “Padre nostro” recitati stancamente insieme ad altri: Dio non è un qualcosa di lontano, statico, immobile, in attesa di venire raggiunto dalle nostre svogliate e frettolose incensazioni spirituali.
Dio è coinvolgimento, dinamismo, azione: è un “incontro”, a volte casuale come il tesoro nel campo, a volte cercato e voluto caparbiamente come la perla preziosa. Dio non vuole un’ora di preghiera al giorno; Dio non vuole una parte (magari anche grande) della nostra vita: lui la vuole tutta. Lui vuole “sposarsi” con noi, vuol fare “alleanza” con noi, vuole rapirci, prenderci, assorbirci completamente. Perché Lui è amore allo stato puro, è passione che travolge, è necessità di una nuova vita.
È per questo che gli apostoli lo hanno seguito abbandonando ogni cosa. Quando Gesù guardava Maria Maddalena, mentre tutti vedevano in lei una donnaccia o una pazza, lui vedeva il suo valore, le sue potenzialità. Gesù la faceva sentire importante, preziosa; Gesù con i suoi occhi, con le sue parole e con i suoi gesti le diceva: “Tu sei un tesoro nascosto. Ma io ti ho vista”. E con questo la salvò. Pietro, Matteo e tutti gli altri erano gente comune, persone che si sentivano insicure e inadeguate. Ma lui li valorizzò, Lui li amò, Lui credette in loro. E loro si sentirono dei “tesori” importanti, e come tali si comportarono.
Dio è dunque il nostro tesoro nascosto: ma noi lo cerchiamo veramente? Nella società di oggi qualcuno si preoccupa ancora di cercarlo, di trovarlo? Certo, se siamo continuamente occupati a cercare soldi, sicurezza economica, piaceri, benessere, tranquillità, non ci accorgeremo mai di Lui: abbiamo un tesoro preziosissimo accanto a noi, basterebbe poco per scoprirlo, ma preferiamo lasciarlo nell’indifferenza e nell’abbandono più totale.
Allora, scendendo nel concreto, dovremmo chiederci: “Chi o cosa cerco io nella mia vita?”.
In particolare: “Dove cerco?”. Se infatti pensiamo che la felicità assoluta risieda in qualcuno o in qualcosa “fuori” da noi, il nostro cercare sarà inutile, continueremo cioè a cercare per tutta la vita e non troveremo mai nulla, perché il “tesoro” che dobbiamo cercare non è fuori di noi, ma dentro di noi. Il tesoro è nascosto in noi; trovarlo, significa riconquistare quell’immagine, quella somiglianza divina che Dio ha impresso in noi fin dalla nascita, significa “ricopiarla”, con la nostra vita, direttamente dall’Originale che abita in noi. Possiamo quindi dire che il tesoro, la perla preziosa, sono la nostra anima che si specchia costantemente in Dio.
Per questo dobbiamo cambiare metodo di ricerca, per questo la nostra vita deve necessariamente cambiare. Anche se gli altri ci deridono, anche se ci prendono per dei fuori di testa, noi sappiamo in cuor nostro chi e cosa cercare.
Anche i due uomini della parabola si comportano da folli, da pazzi, perché, pur di entrare in possesso del “tesoro”, si disfano di ogni loro avere: lasciano il certo per l’incerto, vendono tutto quello che hanno, si liberano di tutto, pur di arrivare ad un tesoro di cui ancora non ne conoscono il valore reale. Cose veramente da pazzi. Ma Dio è per i pazzi, per i folli, perché non ci chiede qualcosa, ma pretende tutto, ci chiede noi stessi. Dio non si accontenta di un nostro coinvolgimento parziale, lo vuole tutto, lo vuole completo.
È vero: anche le cose che riusciamo a conquistare nel corso della vita hanno sicuramente un loro valore, ma è un valore legato alla provvisorietà: ci coinvolgono sul momento, per poi dimostrarsi effimere, e cadere nell’indifferenza, nella dimenticanza, nella caducità; perdono insomma la loro attrattiva, il loro interesse, il loro richiamo.
Ci sono anche eventi molto importanti che ci condizionano l’intera vita, è vero; fatti che ci cambiano intimamente, in profondità, che ci maturano: come l’amore sincero del partner, un matrimonio felice, la nascita dei figli; ma anche queste realtà così vitali sono destinate, prima o poi, a finire, a concludersi: i figli stessi, pur coinvolgendo profondamente la nostra esistenza, non sono “per sempre”: un giorno anch’essi se ne andranno.
Ebbene, Dio è molto più di tutte queste cose “transitorie”: più coinvolgente di un figlio, più importante di un partner, più impegnativo di un matrimonio. Egli non esclude dalla nostra vita niente di tutto questo; Egli ci lascia godere di tante cose belle, essenziali per la nostra vita: ma ciò che il vangelo di oggi vuol farci capire, è che Lui è la “cosa” più bella in assoluto, che Lui viene al primo posto nella scala dei valori, è più importante, è al di sopra di tutto e di tutti, perché Lui va oltre i nostri limiti umani: per Lui non esiste un “termine”, dopo il quale verrà meno, sparirà, lasciandoci soli. Una volta che l’avremo trovato, rinunciando all’effimero, Egli rimarrà per sempre nostro, nostro in assoluto, continuerà ad essere sempre il “tesoro prezioso” per ciascuno di noi, anche al di là del tempo, al di là dei nostri giorni terreni.
C'è infine la terza similitudine: quella della “rete” gettata in mare per la pesca. In pratica ci dice che ognuno di noi, ad un certo punto, deve ritirare la propria “rete” e fare la cernita, il bilancio della propria vita. La “rete” simboleggia infatti il nostro bilancio finale, il mettere sotto osservazione la nostra vita; i pesci sono le nostre scelte, tutto quello che abbiamo fatto: i pesci buoni, li mettiamo da parte, perché servono, ci rendono più forti, ci maturano; quelli cattivi, invece, li rigettiamo in mare perché non ci servono, non riescono a migliorare la nostra vita, non la perfezionano. E quando nel momento cruciale del nostro percorso, alla fine dei nostri giorni, ognuno dovrà ritirare la rete contenente i frutti della nostra pesca, di quanto ha costruito, investito, osato, allora non servirà più lamentarci per le situazioni di bonaccia o di tempesta! Quello che è fatto, è fatto. Allora potremo contare soltanto sull’effettivo “pescato”, sulle nostre risorse positive, su quei pochi pesci che abbiamo messo da parte, quelle buone azioni che, durante la nostra vita, abbiamo realizzato. Se nella nostra rete non abbiamo di queste risorse, se in vita non abbiamo messo paletti, non abbiamo saputo controllare la nostra rabbia, non abbiamo saputo vivere e superare il dolore, esprimere i nostri sentimenti di carità, se non abbiamo punti di forza, allora, come da un’onda “anomala” verremo spazzati via dal ponte della nostra barca. Dovevamo pensarci prima! Dovevamo costruire prima! Il futuro della nostra vita è solo nostro, è nelle nostre mani. Tutto quello che facciamo, quello che diciamo, l’intero nostro vivere, è esclusivamente nelle nostre mani, nelle scelte che facciamo: non deleghiamo, non scarichiamo le nostre responsabilità sugli altri e, soprattutto, non atteggiamoci a vittime illustri e incomprese.
Queste piccole parabole ci devono far riflettere pertanto su noi stessi: devono farci guardare al nostro prossimo come degli autentici “tesori” da scoprire. Perché, in Lui, siamo tutti delle creature preziose! Tutti siamo un tesoro unico, poiché tutti abbiamo in noi un tesoro nascosto! Se cerchiamo correttamente lo troviamo, ci troviamo. Ma se non crediamo, se non siamo interessati a queste realtà, non ci troveremo mai, nonostante il nostro cercare non troveremo mai alcun tesoro! Amen.



Nessun commento: