«Sono venuto a gettare fuoco
sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale
sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!» (Lc
12,49-53).
Gesù è
venuto a portare “fuoco” agli uomini, su questa terra.
La
sacralità ed essenzialità di questo elemento ci viene già attestata dall’antica
mitologia greca che ci racconta come il titano Prometeo, dopo aver creato
l’uomo su invito di Zeus, lo dotasse anche di qualità divine, come l’intelligenza
e la memoria, che egli animò rubando a Zeus una scintilla del suo fuoco divino.
Un gesto sacrilego che gli avrebbe procurato una tremenda punizione da parte di
Zeus: incatenato sul monte Caucaso, un’aquila gli avrebbe divorato ogni giorno
il fegato. Siamo nella mitologia, è vero: ma il mito di Prometeo, in tutte le
sue variabili, ha perlomeno il pregio di sottolineare il valore del fuoco sacro
per l’umanità, quanto esso sia indispensabile per la vita degli uomini di ogni
tempo.
Il “fuoco”
di Gesù ha sicuramente, rispetto a quello mitologico, un valore e una simbologia
molto più ampia e profonda. Nel Vangelo e nella Bibbia, infatti, la parola “fuoco”
assume di volta in volta significati diversi: è luce, simbolo della divinità, indica la presenza di Dio (vedi il
roveto ardente di Mosè, la lampada del tabernacolo). Esprime calore, fraternità,
focolare, protezione: significa intimità, famigliarità, amore divino. Fuoco è
anche il fulmine che distrugge, che spezza, che disintegra; fuoco è la prova che trasforma, che brucia, che purifica:
“passare per il fuoco” significa affrontare, superare una prova, un
momento difficile, pericoloso; la cenere,
residuo della fiamma che brucia, simboleggia il lutto, la rinuncia, la perdita di qualcosa, la morte (vedi il mercoledì
delle ceneri). Il fuoco però è anche fiamma, energia di vita, vitalità che esplode, voglia irrefrenabile di
vivere; la lingua di fuoco è lo Spirito, l’elemento vitale che ognuno ha dentro
di sé: la sua luce è la luce della fede, della speranza; il suo calore è l’amore,
la carità, che vive in noi; col suo bruciare ci procura la forza necessaria per
sconfiggere i mostri maligni, i nostri fantasmi del male.
Il
fuoco che Gesù ha portato nel mondo, come ci dice il vangelo di oggi, ha qui un
suo significato particolare: è il fuoco della passione, della gioia,
dell’amore, dell’entusiasmo, dello schierarsi dalla parte di Dio: è quell’ardere
di “zelo” per il Signore, già sperimentato dal profeta Elia (cfr. 1Re 19,10).
Gesù stesso
è l’immagine del fuoco; nessuno può avvicinarlo e rimanerne indifferente: o lo
si ama o lo si odia. O lo si accoglie o lo si rifiuta. O si è con lui o contro
di lui. Non ci sono alternative: o bruciamo noi, o bruciamo lui.
Se
bruciamo noi, è perché ci siamo innamorati di Lui, ci siamo infervorati per la
sua causa, ci siamo appassionati per il suo messaggio: succede insomma che dentro
di noi esplode un desiderio, una forza, un ardore così struggente per lui, un
incendio di tale potenza, che niente e nessuno potrà mai spegnere.
Ma può
essere anche lui a bruciare, a venir fatto fuori: in tal caso siamo noi a
volerlo uccidere, noi uomini da “nulla”, uomini inetti che non vogliamo
accettarlo, amarlo veramente, seguirlo: perché uno come Gesù, per gente tiepida
come noi, per gente che preferisce risparmiarsi, è troppo intenso, troppo forte, troppo pericoloso, troppo passionale, troppo
esigente; in una parola troppo “infuocato,
bollente”.
Chi l’avvicina
deve necessariamente cambiare vita. È il nostro dilemma, il nostro dover fare
costantemente delle scelte fondamentali: scegliere Lui significa decidere con
passione di seguirlo, abbandonando qualunque altra soluzione. È la nostra risposta
all’aut aut della vita: con Lui è sempre o bianco o nero, o caldo o freddo, o buono
o cattivo: una sola è la nostra scelta; scegliere entrambe le soluzioni è impossibile!
Il
fuoco di Gesù è “passione”. Passione, dal greco “pathos”, significa sentire. Passione allora vuol dire sentire le cose, sentire le persone, sentire
la vita, sentire Dio: entrarvi dentro,
toccarlo e lasciarsi toccare, farsi emozionare, farsi bruciare, farsi
ricaricare. Il contrario è superficialità, anestesia, sonno, insensibilità;
vuol dire una vita insipida, senza sapore, senza sussulti, senza passione. L’Apocalisse
in proposito usa parole tremende: “Non
sei né caldo né freddo per questo ti vomito” (Ap 3,16).
Troppo
spesso, purtroppo, il nostro essere cristiani si riduce proprio a questa “tiepidezza”:
per esempio, dov’è la “passione” in quelli
che, come noi, vanno in chiesa tutte le domeniche e tornano a casa tranquilli come
se nulla fosse stato, senza emozioni, indifferenti a quanto hanno visto, fatto
e sentito, e dicono soddisfatti in cuor loro: “Anche questa è fatta”? È solo un
obbligo, un “dovere”, nessuna passione: anzi in questo modo dimostriamo di non
conoscere Gesù, dimostriamo di non avere neppure la più pallida idea di chi Egli
sia. Ci siamo costruiti un nostro Gesù, un Gesù addomesticato, che non ci deve
dare troppi fastidi, che non ci deve “rompere” eccessivamente, che deve essere
accomodante, che deve stare da parte, pronto però a correre in nostro aiuto nel
momento del bisogno. Ma questo non è Gesù. Gesù è lotta, è partecipazione, è
passione, è “divisione”. Seguirlo significa “viverlo
dentro”. Un po’ come succede al vero innamorato: egli vive la “sua” donna, la difende, combatte per lei, la ammira, raggiunge
e conquista i suoi pensieri, entra nella sua anima, aprendole completamente la propria.
Le trasmette tutto il suo entusiasmo, la sua passione, il suo fuoco interiore,
i suoi programmi, tutte le vibrazioni più intime del suo cuore. Quando sta con lei,
sta solo ed esclusivamente con lei: niente e nessuno riuscirà mai a distoglierlo.
Questo
è il fuoco che dovrebbe bruciare la nostra anima, questa è la passione che dovrebbe incendiare il nostro
cuore. Questo e nient’altro.
“C’è un battesimo che devo
ricevere e come sono angosciato finché non sia compiuto”.
A
quale battesimo si riferisce Gesù? Egli era già stato battezzato nell’acqua del
Giordano (Lc 3,21-22); ma non è
quello il battesimo che qui gli interessa. Il vero battesimo, quello più
importante per Lui e per noi, è il battesimo del fuoco.
Molte
persone sono convinte di essere cristiani solo perché sono battezzati; nulla di
più falso: il battesimo ci ha sì aperto una strada, ma non basta, dobbiamo
camminare, percorrerla tutta quella strada, dobbiamo andare sempre avanti. Dire
“Sono battezzato e quindi sono cristiano” è una frase riduttiva, una frase che
non dice assolutamente nulla. È come dire: “Posso progettare e costruire qualunque
viadotto perché mi sono iscritto a ingegneria!”. Ne abbiamo di strada da fare!
Il
battesimo di fuoco non è teoria, non assegna titoli: esso coincide con l’attimo
in cui iniziamo a “vivere” sul serio, l’attimo in cui traduciamo in vita
vissuta, in scelte, in atteggiamenti, ciò che diciamo con le parole, ciò che
vorremmo o ci piacerebbe fare. Il battesimo di fuoco avviene nel momento in cui
scegliamo concretamente di spendere la nostra energia interna, il nostro fuoco,
la nostra passione, per la causa di Dio, per la salvezza della nostra anima: perché
solo allora dimostreremo di aver capito chi è Lui veramente e cosa si aspetta
da noi.
“Pensate che io sia venuto a
portare la pace sulla terra? No, la divisione!”.
Uno
dei nostri grandi desideri è sicuramente quello di “vivere in pace”. Ma cosa
vuol dire “stare, vivere in pace”? Vuol forse dire “non alzare la voce, tacere
se si è in disaccordo, non creare problemi, avere sempre un comportamento tranquillo,
dimesso, composto? “Sta’ un po’ in pace!” diciamo spesso ai ragazzi che si
affacciano alla vita in maniera un po’ troppo irrequieta. Cioè: “Stai calmo, tranquillo,
metti da parte le tue voglie di novità, le tue voglie di emergere, perché quello
che provi tu, non interessa a nessuno; lascia perdere i tuoi sogni, i tuoi ideali,
i tuoi entusiasmi; non servono a nulla, il mondo va comunque avanti per la sua
strada!”. Ma è pace questa? Questo è “piattume”, è la fine di ogni slancio, è guerra
alla vita, è la morte di Dio, è la massificazione individuale più deleteria.
“Padre e figlio contro; madre e
figlia contro; suocera e nuora contro”.
Gesù,
essendo fuoco, non può mai essere indifferente. Per nessuno. Non è come l’acqua
che passa via liscia, silenziosa, che prende sempre la forma del suo contenitore.
Dove passa Gesù non possono che nascere scontri, incomprensioni, divisioni,
perché lui costringe ad ottiche diverse da quelle umane, porta a fare scelte
chiare, radicali, spesso in contro tendenza.
Dentro
di noi si è fissata l’idea che seguire il Signore voglia dire essere buoni,
mansueti, dolci e sorridenti. In passato veniva considerato “santo” l’uomo che
sopportava tutto, che si annullava per gli altri, che non proferiva mai alcuna parola
di ribellione, di risentimento; l’uomo insomma che sopportava in silenzio e con
docile umiltà tutte le prepotenze altrui.
Ma la
vita di Gesù non è stata così; basta guardare il Vangelo. La sua non è stata
una vita di “pace”, come la intendiamo noi. La sua vita fu segnata, dall’inizio
alla fine, da conflitti, da lotte, da contrasti e divisioni.
Egli si
trovò in conflitto con la sua famiglia fin dall’inizio. Un giorno, a dodici
anni, a Gerusalemme, disse chiaramente ai suoi genitori: “Non impicciatevi, non
intromettetevi con la mia vita perché io devo fare le cose del Padre mio” (Lc 2,41-50). Con i suoi parenti andò ancora
peggio: un giorno tentarono di “rinchiuderlo” poiché dicevano: “È pazzo da
legare, dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo intervenire e prenderlo. Questo ci
scredita tutti” (Mc 3,21).
Dovunque
andava e dovunque passava, c’era sempre qualcuno che tentava di calunniarlo, di
metterlo alla prova per ciò che diceva e per ciò che faceva, addirittura di
ucciderlo. Sacerdoti e politici non lo potevano vedere, lo odiavano a sangue. Sfidò
i suoi potenti nemici andando a Gerusalemme. E lo fece proprio nel momento più
critico della sua vita, nel momento in cui era maggiormente preso di mira dalle
autorità. Morì infine di morte violenta, assassinato sulla croce, con grande sollievo
per molti. Più che una vita di pace, una vita senza conflitti e contrasti, la
sua fu una vita di guerra.
Il suo
vangelo inoltre non può certo essere considerato un rifugio per chi ha paura di
lottare, di mettersi in gioco, di scontrarsi. Diventare discepoli del Maestro
vuol dire seguire il suo richiamo, qualunque siano le conseguenze: vuol dire
diventare ad ogni costo noi stessi, realizzando ciò che Lui ha seminato nel
nostro profondo. E ciò non è né semplice né facile, lo sappiamo bene: ci sarà molto
da lottare, ci saranno conflitti, divisioni, incomprensioni, perché “diventare
se stessi” vuol dire deludere le aspettative degli altri: e ce lo rinfacceranno!
“Diventare se stessi” vuol dire rispondere “no” a certe richieste, a certe
pressioni, per conformarci alla maggioranza, a ciò che tutti pensano e vivono
da sempre: e ce la faranno pagare! “Diventare se stessi” vuol dire affermarci, combattere
per le nostre convinzioni, per la nostra fede, e questo sarà preso da qualcuno
come un voler entrare in competizione con lui, come un sottrargli visibilità e
spazio pubblico: e ci darà addosso! “Diventare se stessi” vuol dire farci
sentire, e troveremo sempre qualcuno che tenterà di metterci a tacere, di annullarci.
“Diventare se stessi” vuol dire prendere posizione e schierarci contro,
dicendo: “Io non ci sto”. È quindi inevitabile “pestare i piedi” a qualcuno; e ci
si rivolterà contro. “Diventare se stessi” vuol dire denunciare l’ingiustizia,
combattere l’ipocrisia; e cosi facendo ci faremo una moltitudine di nemici che ci
riempiranno di odio. “Diventare se stessi” vuol dire mettere Dio prima dei nostri
cari, dei nostri familiari, di quelli che dicono di amarci: e saremo considerati
degli ingrati, dei pazzi, degli irriconoscenti; e ci faranno sentire in colpa! “Diventare
se stessi” vuol dire insomma lottare
per noi stessi e per Dio.
Diciamo
che vogliamo “diventare noi stessi”: ma quanto ne siamo convinti, se quando è
il momento, quando siamo al dunque, rinunciamo a fare scelte decisive, ad impegnarci,
a lottare per noi stessi? Diciamo di amare Dio: ma quanto lo amiamo, se non siamo
in grado di amare neppure noi stessi? Riflettiamo e decidiamoci! Amen.