«Vendete ciò che avete e datelo
in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei
cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma. Perché, dov’è il
vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore» (Lc 12,32-48).
Continuiamo
la lettura del capitolo 12 del Vangelo di Luca. Un capitolo estremamente
importante, perché traccia il percorso che ogni discepolo deve seguire per
fondare il Regno di Dio nella sua vita.
Oggi Luca
insiste particolarmente sulla “tensione” verso la Vita, una “molla” che nella nostra
vita di cristiani non deve mai allentarsi. Per questo dobbiamo spogliarci di
tutta quella zavorra che ci impedisce di camminare speditamente, dal peso,
dalla stanchezza del “fare” troppo, del nostro voler apparire ad ogni costo:
sono cose che inevitabilmente addormentano la nostra anima.
Dobbiamo mantenerci “leggeri”, dobbiamo portare con noi solo lo stretto necessario, le cose che “durano”, che non ci rallentano, cose ed emozioni che servono a darci la carica nel nostro percorso. E sono tante, come per esempio quelle emozioni intime, quel tesoro che nessuno potrà mai portarci via: l’amicizia e la vicinanza di quelle persone che abbiamo aiutato ascoltandole, comprendendole, sostenendole; di quelle persone che senza di noi si sentivano perse, disperate, angosciate, e grazie a noi hanno ritrovato la luce; l’ebbrezza di sentirci vivi, la consapevolezza di essere grandi perché figli di Dio e della Vita; la felicità che proviamo nel constatare che la nostra vita ha un senso, un motivo, per il quale siamo disposti a lottare, a combattere, a resistere e a soffrire; la commozione che procura la nascita di un figlio; la profondità che scorgiamo negli occhi di nostra moglie, di nostro marito, quando nel silenzio ci fissiamo e le nostre anime si fondono nel reciproco amore; i colori dell’autunno, il profumo dell’erba appena tagliata, il suono del vento, il canto degli uccelli e quello de cuore; la gioia di sentirsi vita in mezzo a tanta Vita; la percezione che Dio c’è, che non c’è motivo di aver paura perché con Lui ci sentiamo al sicuro, al di là di quanto possa capitarci; tutto quello che abbiamo condiviso con le persone, tutto quello per cui abbiamo lottato insieme: sono tutte queste emozioni il tesoro che nessuno potrà mai portarci via. E tutto questo rimane; tutto questo ci dà carica.
Dobbiamo mantenerci “leggeri”, dobbiamo portare con noi solo lo stretto necessario, le cose che “durano”, che non ci rallentano, cose ed emozioni che servono a darci la carica nel nostro percorso. E sono tante, come per esempio quelle emozioni intime, quel tesoro che nessuno potrà mai portarci via: l’amicizia e la vicinanza di quelle persone che abbiamo aiutato ascoltandole, comprendendole, sostenendole; di quelle persone che senza di noi si sentivano perse, disperate, angosciate, e grazie a noi hanno ritrovato la luce; l’ebbrezza di sentirci vivi, la consapevolezza di essere grandi perché figli di Dio e della Vita; la felicità che proviamo nel constatare che la nostra vita ha un senso, un motivo, per il quale siamo disposti a lottare, a combattere, a resistere e a soffrire; la commozione che procura la nascita di un figlio; la profondità che scorgiamo negli occhi di nostra moglie, di nostro marito, quando nel silenzio ci fissiamo e le nostre anime si fondono nel reciproco amore; i colori dell’autunno, il profumo dell’erba appena tagliata, il suono del vento, il canto degli uccelli e quello de cuore; la gioia di sentirsi vita in mezzo a tanta Vita; la percezione che Dio c’è, che non c’è motivo di aver paura perché con Lui ci sentiamo al sicuro, al di là di quanto possa capitarci; tutto quello che abbiamo condiviso con le persone, tutto quello per cui abbiamo lottato insieme: sono tutte queste emozioni il tesoro che nessuno potrà mai portarci via. E tutto questo rimane; tutto questo ci dà carica.
Il
superfluo, invece, tutto quello che è in più, vendiamolo, buttiamolo via, lasciamolo a chi lo cerca: insomma stiamo attenti a non sovraccaricarci, a non fare
di quello che impropriamente consideriamo il nostro tesoro, l’unico nostro interesse, l’unico riferimento,
l’idea fissa del nostro vivere quotidiano.
Fatti borse vere, procurati
nutrimento e beni che non passano, che durano, che non invecchiano, dove la
ruggine, i ladri e le tarme non arrivano.
I
soldi? Ci possono essere rubati. Le ricchezze? Possiamo perderle. L’auto? Ce la
possono distruggere. Gli oggetti? Possono rompersi. Le persone? Possono morire.
Tutto ciò che è materiale è infatti destinato a passare. Solo l’anima, le nostre
emozioni positive, il nostro tesoro celeste, rimarrà inalterato, nessuno mai
potrà sottrarcele.
Impariamo
allora a tenere tutto nella nostra anima e non avremo più bisogno di possedere.
Impariamo ad arricchire la nostra anima e non avremo più bisogno di altre ricchezze.
Tutto ciò che possiamo perdere, prima o poi lo perderemo. Solo ciò che non possiamo
perdere (Dio, l’anima) ci offrirà una vita piena, sempre, ora e in futuro.
Perché
“dove è il nostro tesoro, là sarà anche
il nostro cuore”.
A
tutti noi piacerebbe poter dire: “Il centro della mia vita è Dio; il centro
della mia vita è l’amore, il servizio della carità, la ricerca del nostro e
altrui bene”. Questo però è quello che ci piacerebbe, quello che appartiene
alla sfera dei nostri desideri, il “tesoro” che noi vorremmo conquistare. Ma se
ci poniamo questa semplice domanda: “Qual è la cosa a cui pensiamo di più durante
il giorno? La cosa che occupata continuamente la nostra mente? Se siamo onesti
otterremo una risposta sconcertante: è il sesso!? Sono i soldi!? È il lavoro?
Sono le paure del giudizio altrui!? È l’odio!? Ebbene, questo è il nostro
tesoro! E l’amara realtà è che noi ci siamo trasformati proprio in questo
“tesoro”; siamo diventati esattamente così (sesso, soldi, paure, odio ecc.) perché
dov’è il nostro tesoro (il nostro pensiero, le nostre emozioni, il centro del
nostro interesse) lì c’è anche il nostro cuore, quelli siamo noi!
Tutte
le raccomandazioni di Gesù riportate qui da Luca, hanno motivazioni diverse, ma
sono legate tra loro da un unico tema: “Siate svegli, non dormite, siate
consapevoli, state attenti, in tensione continua per non prendere sonno”.
Perché, in qualunque situazione, il sonno della ragione genera mostri, il sonno
dell’anima genera morte.
Vi
sono peraltro due tendenze nell’uomo: la tendenza ad accontentarsi, a fermarsi,
a rinunciare a nuove esperienze, e quella di avanzare, di evolversi, di progredire,
di continuare ad andare avanti. Quante volte capita anche a noi di dire o di
pensare: “Va bene così: sono abbastanza religioso; so amare gli altri; sono
impegnato quanto basta, mi sento di essere nel giusto; per cui anche se non
cresco di più, anche se non divento migliore, posso comunque fermarmi, posso finalmente
riposarmi!”. Ma ci sbagliamo di brutto: perché fino a quando un organismo
continua a crescere, ad aumentare, è vivo; ma se si ferma, se smette di
migliorare, di crescere, vuol dire che è morto, senza vita.
Tutte
le nostre crisi esistenziali derivano quindi dallo scontro tra queste due voci:
una che ci suggerisce di fermarci, di riposare, di accontentarci, di lasciar stare,
di lasciar perdere; l’altra, invece che ci sprona continuamente ad affrontare
nuove prove, a provare nuovi stimoli, a superare qualunque ostacolo pur di continuare
ad andare avanti, a progredire”. Questo è il nostro dilemma: perché nella vita o
si va avanti o ci si ferma, o si progredisce o si regredisce.
Per
questo è fondamentale essere sempre svegli, vigili, in tensione.
Tanti cristiani,
invece, e sono troppi, dormono credendo di essere svegli. Sono convinti di
andare avanti e non si accorgono che sono immobili, immersi nelle loro
fantasie, nei loro sonni.
Per
essi il risveglio al sopraggiungere del Padrone sarà decisamente duro, sarà
come una sberla in faccia, un pugno allo stomaco. Si accorgeranno di non avere
nulla da offrirgli.
Corriamo
allora ai ripari, recuperiamo l tempo perduto. Il suo ritorno non va preso alla
leggera, ma esige tutta la nostra attenzione; esige il nostro stare svegli, la
nostra continua applicazione, in nostro fattivo interesse, perché aspettarlo,
in questa nostra “veglia” che si chiama vita, significa “convertirsi”, significa
cioè mettere a frutto i nostri talenti, quei doni che Egli ci ha consegnato al
nostro ingresso nel mondo. Dobbiamo farlo: dobbiamo cambiare radicalmente questa
nostra vita, perché tutto quello che fino ad oggi abbiamo definito “vita”, in
realtà altro non è che sopravvivenza, illusione, falsità.
Ricordo
una storiella molto carina che dice: «Un tizio bussa alla porta di suo figlio: “Carlo,
svegliati”. Carlo risponde: “Non voglio alzarmi papà”. Il padre urla: “Alzati
devi andare a scuola”. Ma Carlo: “Non voglio andare a scuola”. “E perché no?”,
gli chiede il padre. “Per tre motivi, risponde Carlo. “Prima di tutto, è una
noia; secondo i ragazzi mi prendono in giro; terzo odio la scuola”. E il padre
gli risponde: “Bene, ora ti dico io i tre motivi per cui devi andare a scuola;
primo, perché è tuo dovere; secondo, perché hai quarantacinque anni, e terzo
perché sei il preside».
Una
storiella che farebbe anche ridere, se in fondo non fosse così vera. Nella vita
siamo tutti dei campioni per campare scuse, per giustificare la nostra poca
voglia di impegnarci, di continuare a dormire. Noi che ci consideriamo “adulti”,
preparati, impegnati, in realtà stiamo ancora giocando, ci trastulliamo con i nostri
giocattoli (soldi, auto, vestiti, fama, potere). Diciamo, è vero, che siamo ben
intenzionati, che vogliamo crescere, che desideriamo vivere in regola con Dio, che
vogliamo, insomma, uscire dall’asilo nido in cui viviamo, ma le nostre promesse
sono più volubili del vento, decisamente inaffidabili. In realtà quello che vogliamo
sono soltanto dei giocattoli nuovi: un’altra moglie, un altro marito, un’altra
casa, un altro lavoro, più denaro, più benessere, più divertimenti. Non vogliamo
“crescere”, non vogliamo guarire; stiamo bene così, ci basta il sollievo
effimero delle cose. Una cura radicale, definitiva? È impensabile: troppo
dolorosa, troppo impegnativa, troppo compromettente. Ci bastano le “nostre”
compresse curative. I nostri “placebo”, i nostri “salvavita” assolutamente inutili.
Ecco
perché “svegliarsi” improvvisamente, e Gesù ce lo dice un sacco di volte nel
vangelo, è tanto doloroso: perché è il momento della verità, è il momento in
cui tutte le nostre illusioni cadono, in cui tutto ciò in cui credevamo, che costituiva
il nostro riferimento, il nostro sostegno, ci si rivela improvvisamente inconsistente,
inaffidabile. Non ci rimane più nulla, ci ritroviamo senza strade, senza
vestiti, senza coperture: nudi davanti a Lui e a noi stessi.
Solo
allora capiamo il valore della vita: “Come ho fatto a vivere così? Come ho
fatto a non accorgermi? Incredibile!”.
Nel
sonno avevamo confuso l’irreale col reale. L’importante è che da svegli, nella
realtà, non continuiamo a vivere questo sogno inesistente, perché equivarrebbe
a non “svegliarci” mai, a “non vivere” per l’intera nostra vita.
Svegliarsi
è vedere le cose per come sono, è vedere le persone per come realmente sono e
non per come noi vorremmo che fossero. Significa vedere le cose nella loro
realtà, perché soltanto ciò che esiste è reale: desideri, sentimenti,
pregiudizi, ricordi, traumi, complessi, idee giuste e sbagliate; guerra e
amore; vita e morte; potenza e impotenza. Svegliarsi significa vedere tutto ciò
che ci riguarda e dire: “Tu ci sei”. È la consapevolezza, la conoscenza che
giunge al nostro cuore e lo trasforma, perché da quel momento potremo chiamare ogni
cosa col suo nome, anche se quello che abbiamo scoperto non è per nulla
edificante. Significa dire: “Tu sei violenza: questo è il tuo nome. Tu sei
trauma: questo è il tuo nome. Tu sei paura, terrore, soffocamento: questo è il
tuo nome. Tu sei fallimento, abbandono, tradimento: questo è il tuo nome. Tu
sei energia, forza, possibilità: questo è il tuo nome”. Chiamare ogni cosa per
nome è fondamentale, perché dà forza, vigore, alla vita. Chiamare una cosa per
nome significa farla esistere, renderla reale, dirle: “Mi piaccia o no, tu esisti!”.
A
questo porta il senso di parole come “vegliare”, “consapevolezza”, “lucerna
accesa”; termini che indicano appunto il vedere tutto ciò che c’è da vedere, il
rendersi conto di ogni cosa, il non nasconderci nulla, il chiamare tutto per
nome, con il suo nome.
“Se il padrone di casa sapesse
a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi
tenetevi pronti, perché il Figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate”.
Quando
viene Dio? Quando meno ce l’aspettiamo. Per questo non dobbiamo perdere tempo, per
questo dobbiamo prepararci per essere pronti. Non sappiamo quando, ma egli
verrà. Dio è come il ladro: viene nel momento in cui meno ce l’aspettiamo, viene
al di fuori delle nostre logiche umane, viene secondo le Sue logiche, quelle
divine.
Molte
volte vorremmo che il nostro cammino di fede fosse programmato, vorremmo sapere
quali sono i passi che dobbiamo fare, quali i pericoli da evitare; vorremmo che
la nostra “salita” fosse graduale, comoda, in modo da poter vedere bene il
percorso, gli ostacoli, la meta.
Ma non
è così! Questi sono desideri che appartengono al nostro innato bisogno di
sapere tutto: dove stiamo andando, chi e cosa incontriamo, data e ora della
fine del viaggio. È il nostro bisogno di gestire, di programmare, di
manipolare, di avere tutto sotto controllo! Ma Dio è ingestibile: non possiamo
in alcun modo programmarlo, manipolarlo, controllarlo.
“Allora Pietro disse: Signore,
questa parabola la dici per noi o anche per tutti?”. Il Signore rispose: “Beato quel servo che il padrone, arrivando,
troverà al suo lavoro. In verità vi dico, lo metterà a capo di tutti i suoi
averi”.
Le
parole di Gesù valgono per tutti. La vita non è nostra: noi ne siamo solo gli amministratori
e un giorno dovremo restituirla. Il tempo non è nostro, dobbiamo solo gestire
quel po’ che ci è stato concesso, mettendolo a frutto. Nulla ci appartiene, niente
e nessuno è di nostra proprietà.
Da qui
il dovere di trattare ogni cosa, ogni essere umano, ogni creatura vivente, con
tutto l’amore di cui siamo capaci. Soprattutto dobbiamo iniziare ad avere più cura
di noi stessi, del nostro mondo interiore, della nostra anima, evitando di
“addormentarci”, di vivere nelle distrazioni, “fregandocene” di tutto e di
tutti.
Perché il Padrone improvvisamente verrà e, che ci crediamo o no, pur nella sua misericordia, ce ne renderà conto. Amen.
Perché il Padrone improvvisamente verrà e, che ci crediamo o no, pur nella sua misericordia, ce ne renderà conto. Amen.
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