«Mentre erano in cammino, Gesù
entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una
sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua
parola» (Lc 10,38-42).
Gesù
in viaggio verso Gerusalemme si ferma dalle sue amiche Marta e Maria, sorelle
di Lazzaro. A noi sembra un gesto normale, ma Gesù in realtà rompe con gli
schemi convenzionali.
Prima
di tutto perché va a casa di due donne e non vi sono uomini presenti! Il gesto
a quel tempo non poteva che venire letto come dubbio, se non scandaloso, o
provocatorio.
Non si poteva incontrare una donna senza la presenza di un uomo.
L’ambiente ebraico era fortemente maschilista, e le innegabili prepotenze cui
venivano sottoposte le donne venivano giustificate come “volontà di Dio”. La
donna era “impura” per definizione, era l’essenza del peccato.
La
legge infatti proibiva alle donne di leggere la Torah, esse non potevano
partecipare alle liturgie nella sinagoga o nel tempio, non potevano neppure
frequentare le scuole.
Ma Gesù
se ne infischia altamente di tutte queste regole assurde e stupide, tenute però
in considerazione da tutti, uomini e donne, e va nella casa di queste due donne
e parla loro proprio di Dio. Perché ogni volta che una legge è contro l’uomo, è
contro Dio.
Quello
di Gesù è un atto sovversivo: facendo così Egli vuole rovesciare un modo di
pensare e di agire. Per questo i maschi del tempo e gli uomini della legge,
quando lo vedevano agire così, lo consideravano un eretico. E per la legge in
effetti, lo era! Come tale, infatti, come bestemmiatore e amico del diavolo, Egli
fu condannato e ucciso! Fu condannato perché la sua esistenza era equivoca,
dubbia, amorale, provocatoria, areligiosa. Ciò che è drammatico della sua
esistenza è che Dio (il Figlio) è stato condannato come un non-Dio, come un anti-Dio.
Pensate
poi cosa dovevano provare le donne, che finalmente si sentivano amate,
rispettate, degne di esistere.
Gesù
non fu l’uomo di pace che intendiamo noi. Noi siamo cresciuti con l’immagine
del Gesù “buono e dolce”, di quello che non litiga mai, che appiana ogni
contrasto, che non entra in conflitto. Le immaginette che una volta si
vendevano lo presentavano con gli occhi azzurri e con la faccia angelica.
Nel
vangelo Gesù non è assolutamente così. Gesù è un punto di rottura, un
rivoluzionario, un uomo che rompe con schemi, idee e falsità. Non dobbiamo mai
dimenticare che Egli fu ucciso non perché il suo messaggio era “buono”, ma
perché era “nuovo”.
Leggendo
il vangelo di oggi, immaginiamo che le cose siano andate in questo modo: Gesù
arriva dal viaggio, è stanco fuori e soprattutto dentro. Marta si agita a
preparargli da mangiare, a far sì che tutto sia in ordine, ad accoglierlo
esternamente. Maria, invece, lo accoglie dentro: lo ascolta, ascolta il suo cuore,
le sue difficoltà e le sue paure.
Nel
tempo questo episodio è diventato un modello dell’ascolto della Parola e della
priorità dell’essere rispetto al fare. Le parole di Gesù, che Maria
ascolta e Marta no, sono diventate la Parola da ascoltare.
La scena
si svolge fra tre personaggi: Marta, Maria e Gesù. Con in primo piano le loro
reazioni.
Marta
non è cattiva, anzi. È lei che accoglie Gesù. Il vangelo dice che lo “accoglie
nella sua casa”. È un’espressione molto simbolica: gli vuole veramente bene e
lo vuole per davvero accogliere nel suo cuore. Quell’uomo, Gesù, le è entrato
dentro e lei lo porta, lo conserva, nella sua parte più intima (casa). Ma non è
questo il punto. Il problema? È lei, Marta, che ha stabilito di cosa avesse bisogno
Gesù.
Ora, qual
è il primo bisogno di ogni persona? Ovvio, l’essere accolti.
Arrivando
a casa noi tutti, adulti e bambini, abbiamo bisogno di essere festeggiati,
accolti, coccolati; solo dopo, ci faremo le domande su come è andata, faremo i
lavori di casa e ciò che c’è da fare.
Quando
Gesù arriva in casa di Marta e Maria, di che cosa ha bisogno? Non ha bisogno di
mangiare, di bere, di una casa pulita. Ha bisogno di essere accolto,
abbracciato, rassicurato, ascoltato.
Marta
è il modello di quelle persone che si distruggono dal lavorare. Di fronte ad
una che è stanca dal lavoro fatto per noi, che ci ha preparato da mangiare, che
ci ha sistemato la casa, che lava, che stira, come facciamo a chiederle qualcos’altro?
Si può dirle qualcosa?
Molti papà
e mamma si schermano dietro frasi del tipo: “Ho dato la mia vita per te! Ci ho
rimesso la salute! Ho vissuto per te! Ho lavoravo anche sedici ore per portarti
a casa il pane!”. Allora il figlio si sente in colpa; di fronte ad uno che dice
così, cosa si può aggiungere? Cosa si può dire? Eppure, se guardiamo più in
profondità, possiamo vedere che questo è un modo per non lasciarsi coinvolgere
in altre cose. È un modo per giustificare il rifiuto di cambiare, di accettare altri
impegni, un sistema per mettersi la coscienza a posto: “Ma come, con tutto quello
che faccio?
Anche
Marta si sentiva al sicuro: faceva tanto, è vero, ma non faceva quello che
serviva a Gesù.
In
realtà è Marta che ha un gran bisogno di essere riconosciuta e accettata da
Gesù. Ma questo suo bisogno non le è chiaro, non lo riconosce, non lo esprime e
così accusa Gesù e sua sorella.
Ha
bisogno di fare bella figura con Gesù, in modo che lui possa dire: “Ma come sei
brava! Ma che cibo squisito! Che bella casa! Ma quanto ti sei data da fare per
me: grazie!”.
Quante
volte ci comportiamo anche noi come Marta! Attacchiamo l’altro e accusiamo!
Perché
è più facile accusare che manifestare i propri bisogni; è più facile colpire
che mostrarsi vulnerabili e bisognosi.
Per
Marta, Gesù deve sentirsi completamente a suo agio, deve trovare ogni confort,
in modo da poter dire: “Che brava donna!”. Ma questo è il suo di bisogno, non
quello di Gesù.
Marta
ha già deciso da sola di cosa Gesù avesse bisogno. Ha le sue categorie in testa,
i suoi schemi, e non si è minimamente posta nessuna alternativa. Lei aveva già
deciso
Perché
non l’ha chiesto a Gesù? Era così semplice! Invece no, si è data da fare come
una forsennata per poi offendersi e sentirsi vittima, delusa, perché lui non l’ha
riconosciuta.
E
quando Gesù se ne sta con Maria, lei si sente offesa: “ma questo è il tuo di bisogno,
cara Marta, non il suo. Sei tu che vorresti che tutto fosse in ordine, a posto,
secondo le tue regole. Sei tu che vorresti essere riconosciuta da Gesù e fare
bella figura con lui. Ma questo è solo il tuo bisogno”.
Spesso
noi proiettiamo sugli altri i nostri desideri e poiché gli altri non li
esaudiscono, ci arrabbiamo con loro. Ci sembrano cattivi, ci sentiamo offesi
perché non hanno risposto alle nostre aspettative. Appunto, hanno fatto secondo
le loro esigenze!
Dobbiamo
imparare a riconoscere i nostri bisogni ed esprimerli. Dobbiamo imparare a
riconoscere le nostre aspettative e a non proiettarle sugli altri, arrabbiandoci
perché non vengono esaudite.
Gesù
usa due parole per definire ciò che sta vivendo e facendo Marta: “merimnas” e “thoribaze”. “Merimnas”
vuol dire “preoccuparsi” nel senso di affannarsi, di angustiarsi, di essere in
pensiero: è l’ansia del fare. “Thoribaze”
vuol dire agitarsi; “thoribos” è il
tumulto, la confusione, il mormorio di voci dentro di noi.
I due
verbi indicano il frullare dei pensieri, nella testa di Marta, che poi diventano
azioni. È chiaro: arriva Gesù, è un personaggio importante, è una persona a cui
Marta vuole bene. Vuole fare una gran bella figura e vuole sentirsi stimata da
lui. Ma è preoccupata di deluderlo, di non essere come lui si aspetta. Allora
fa’, fa’ e fa’, si agita e si dimena come un’ossessa. Allora emergono tutti i
pensieri della mente: “Sarà contento? Sarà soddisfatto di essere stato qui con
noi? Gli andrà bene quello che gli ho preparato da mangiare? Lo deluderò?”.
Quando
si innesca questo meccanismo è la fine. Perché i pensieri diventano un
ossessione che si ripete all’infinito. E finché non diciamo basta, tutto
diventa possibile e pericoloso.
Marta
e Maria non si parlano mai, non si dicono niente.
Perché
Marta non è diretta con sua sorella? Perché non glielo dice in faccia? Perché
mugugna di nascosto? Perché cerca di portare Gesù dalla sua parte, contro
Maria? È qui che Marta sbaglia: deve invece parlare con lei, dirle ciò che non
va! Trovare consensi dagli altri non fa che rinforzare in noi l’idea che siamo
nel giusto, nella ragione, per cui l’altro è dalla parte del torto. Ma questo non
risolve il problema.
Maria,
al contrario, capisce di che cosa Gesù ha bisogno e lo ascolta. Maria non ha
deciso prima, per conto suo, cosa doveva fare per Gesù. Lo ascolta quando
arriva. Maria non dice una sola parola, si fa vuoto, spazio, perché Gesù possa
entrare. Questa è l’ospitalità che tutti noi cerchiamo: trovare qualcuno con
cui poter essere noi stessi, senza essere giudicati.
Il
vangelo dice che Maria stava ai piedi di Gesù. Stare a contatto con i piedi,
indica il suo atteggiamento di umiltà. Maria è lì, tutta per lui. E Gesù lo
sente.
“Puoi
stare qui; sono felice che tu sia qui; qui sei a casa; qui sei amato; qui puoi aprirti
e farti vedere per quello che sei; puoi essere te stesso”. Questo è l’amore!
Trovare
Maria è trovare uno spazio d’amore dove poter esprimere le proprie paure, le
proprie angosce, le proprie aspettative, i propri bisogni, i propri amori, le
proprie contraddizioni, le proprie ambiguità, i propri lati d’ombra; uno spazio
dove piangere e dove ridere; uno spazio dove disperarsi ed essere abbracciati e
accarezzati; uno spazio dove si è al sicuro, protetti, dove rifugiarsi e dove
essere accolti. Questo è l’amore.
Allora,
invece di “chiuderci” dentro di noi, apriamoci, costruiamo distese d’amore, diamoci
da fare per ascoltare e accogliere l’altro, il bisognoso, l’ultimo, quello che
è stanco: perché solo così il mondo sarà migliore. Di questo noi abbiamo
bisogno. Poi verrà Marta con il lavoro, il cibo, le cose da fare, i problemi,
le pulizie, il riordinare e quant’altro. Ma prima di tutto deve esserci Maria:
questa è l’unica cosa di cui abbiamo veramente bisogno. Questo è l’essenziale, che
non ci può essere tolto, altrimenti soffriamo e moriamo dentro. Amen.
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