«Gesù dalla Galilea venne al
Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui» (Mt 3, 13-17).
Oggi
il Vangelo ci parla del Battesimo di Gesù: egli parte dalla Galilea per
raggiungere le acque del Giordano e farsi battezzare dal Battista: questi però è
riluttante a farlo, in quanto vede in Lui quel “più forte di me”, in grado di
battezzare non solo nell’acqua ma “in Spirito Santo e fuoco”, come Matteo ci
dice nei versetti immediatamente precedenti al testo di oggi.
Sono
parole molto chiare e programmatiche, in quanto rivelano la necessità per il
cristiano di sottoporsi a un duplice battesimo: uno d’acqua e uno di “Spirito
Santo e fuoco”.
Cosa
vuol dire: vuol dire che con il battesimo d'acqua noi “nasciamo in Cristo”, iniziamo
cioè il nostro percorso di sequela; siamo abilitati a fare la nostra corsa, a
combattere la nostra “buona battaglia”. Ma è con il secondo, con il battesimo
di fuoco, che noi diventiamo veramente “figli di Dio”: è il superamento della prova che ci saggerà
come “oro nel crogiuolo”, trasformandoci in “olocausto” a Dio, rendendoci
graditi a Lui; in altre parole significa che soltanto testimoniando con il
nostro comportamento, con la nostra vita, ciò in cui crediamo, dimostreremo di
essere fedeli fino in fondo a quel Qualcuno che ci appassiona dentro. Un
battesimo, questo, chiaramente determinante e irrinunciabile, pur essendo in
assoluto anche il più difficile.
È noto
infatti come la “chiamata” (il battesimo d'acqua) dei grandi personaggi della
Bibbia, sia stata sempre accompagnata da prove, da percorsi difficili, duri,
faticosi, nei quali Dio ha forgiato e purificato il suo prediletto. Lo stesso Gesù
ce ne indica l’importanza e la necessità: all’inizio della sua predicazione Egli
infatti si “immerge nel Giordano”, scende cioè in quelle acque, che rappresentano
il collettore di tutte le nefandezze umane: con questa doppia sottolineatura (il
nome Giordano, yared, vuol dire
appunto immergersi) viene sottolineata
la Sua consapevole decisione, per il pieno adempimento del Suo mandato, di
calarsi in una situazione di particolare sofferenza; di “immergersi” cioè nella
fatica, nelle contrarietà, nelle pene, nelle incomprensioni di questo genere
umano, talmente a lui ostile, da cercare di ucciderlo fin dai primi giorni
della sua nascita.
Ora, con
il nostro battesimo d’acqua, noi siamo diventati cristiani. Siamo stati cioè “generati”
alla fede, aggregati alla Chiesa di Cristo. Ma non è questo il punto determinante,
il traguardo finale. Abbiamo appena superato il casello di ingresso dell’autostrada
che conduce alla piena figliolanza con Dio. La strada è tutta da percorrere. Non
enfatizziamo troppo questo nostro battesimo d'acqua, questo inizio; non
illudiamoci di aver assolto con esso ogni nostro “dovere” di credenti. Il vero
battesimo, quello che ci rende cristiani a tutti gli effetti, è quello di
fuoco: è, cioè, quella rinascita interiore, quel rigenerarci, quel ricostruirci
che ci rende esattamente ciò che Dio si aspetta da noi; è insomma quel rispondere
con la vita vissuta alla sua chiamata individuale, quella chiamata “formale” che
Lui ci ha rivolto con il battesimo d’acqua.
Significa,
in altre parole, passare dalla teoria alla pratica, dal poter essere cristiani,
all’esserlo realmente, nella pratica; un passaggio che può avvenire soltanto attraverso
il “fuoco”.
Non
per nulla la radice della parola ebraica “fuoco”
(a-sc) è presente in ebraico sia nella
parola uomo (a-i-sc) che donna (a-sc-ha). Per diventare noi stessi, quindi,
non importa se siamo uomini o donne, dobbiamo necessariamente passare attraverso
il “fuoco”, attraverso il “battesimo dello Spirito”.
Gesù è
molto chiaro in proposito: “Sono venuto a
portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso. C'è un “battesimo”
che devo ricevere; e come sarò angosciato, finché non sarà compiuto. Pensate
che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, la divisione...”. “Non
sono venuto a portare la pace ma una spada...”.
Il nostro
vero battesimo, pertanto, coincide con una nostra vita forgiata attraverso le
difficoltà, il nostro costruirci spiritualmente, il nostro personalissimo rispondere
con i fatti alla chiamata di Dio.
Smettiamola
quindi di pensare che, per il semplice fatto di essere battezzati, siamo
automaticamente cristiani. Quando le inchieste ci documentano che il 95% degli
italiani sono cristiani, affermano il falso. Il 95% degli italiani sarà stato anche
battezzato con l'acqua, ma per essere veri cristiani quello che serve è il
battesimo del “fuoco”, è diventare “immagine” di Dio. E non possiamo certo riconoscerci
in tali percentuali.
La
gente è ancora convinta che seguire Gesù sia una cosa semplice, tranquilla, automatica.
Basta appunto essere battezzati, fare qualche pratica religiosa, andare ogni
tanto a messa, dire qualche preghiera, e il gioco è fatto. Nossignori: seguire
Gesù significa “fuoco”. È quella passione che corrode, che ci brucia dentro,
che non ci fa stare zitti di fronte al male, alle ingiustizie; che non ci fa assistere
indifferenti ad una società che uccide l'anima degli uomini; a genitori irresponsabili
che trattano i loro figli come delle marionette, dei burattini, disinteressandosi
di impartire loro una benché minima formazione morale. “Fuoco” è quella
passione che ci spinge ad uscire, ad esporci, a non essere concilianti con chi oltraggia
impunemente Dio e la sua legge, con chi cerca di sovvertire i suoi precetti
morali. Potremmo benissimo starcene in disparte e farci gli affari nostri (“non
tocca mica a me!”); invece no. Quel “fuoco” ci costringe a rispondere d’istinto,
a metterci in gioco, rischiando in prima persona.
Passare
attraverso il “fuoco” significa anche purificarsi, bruciare tutto ciò che di
impuro c'è dentro di noi; significa renderci conto che noi, e non gli altri, siamo
invidiosi, siamo in continua competizione, siamo tremendamente gelosi. Che noi,
e non gli altri, siamo incapaci di amare: perché vogliamo solo possedere,
gestire, manipolare. Che noi, e non gli altri, abbiamo bisogno dell'umiltà per
cambiare, per crescere, per migliorare e trasformarci.
Non è
facile cambiare, amici miei. Non è piacevole vedere certe cose dentro di noi.
Per questo seguire Gesù è e sarà sempre difficile, impegnativo; un lavorio costante,
senza interruzioni. E questo non è affatto una cosa facile, di poco conto! È certo
una esperienza entusiasmante, passionale, che ci dà la sensazione di vivere in
piena libertà, che ci fa capire che la nostra vita ha finalmente un senso: ma vi
assicuro, non è una impresa facile. Un santo vescovo soleva dire: “Pensavo che la
mia vita fosse la dimostrazione di una fede forte; invece era solo una buona
salute, con una discreta faccia tosta”.
La
parola greca baptizein (yared in ebraico) corrisponde, come ho detto, al nostro immergersi, entrare dentro. Un significato con due sfumature: la prima è “entrare
dentro nel sociale”, immergersi nelle esigenze del prossimo, rispondere alle loro
chiamate di vita, calarsi insomma in un particolare contesto storico. Quante
persone, in questo senso, non hanno “fuoco”, non hanno anima, non hanno niente
dentro di sé. Trascinano stancamente, giorno dopo giorno, l'inutilità di una
vita che progressivamente si spegne nella routine delle solite cose. Non si
sono “immersi”, non hanno superato il “battesimo di fuoco”, non hanno dato cioè
una impronta propositiva alla loro vita, mettendola a beneficio della
collettività. “Fuoco”, in questo senso, significa proprio “solidarietà”: ciò
che succede agli altri ci deve interpellare direttamente, esige una nostra immediata
risposta del tipo: “Io ci sono. Io ti aiuto. Io mi metterò dalla tua parte”.
Solidarietà vuol dire: "Io ho un cuore che pulsa, che ama, che si appassiona.
Non posso rimanere indifferente di fronte a quanto di male ti succede. Io sono
al tuo fianco!”
La
seconda sfumatura di “immergersi” è “scendere dentro di noi”, entrare nella
nostra anima, individuare i nostri demoni, conoscerli, sfidarli, batterli.
Tutti
abbiamo dei demoni con i quali fare i conti: l’odio, l’invidia, i complessi opposti
di inferiorità o di superiorità, la rabbia, la gelosia, l’ansia distruttiva; un
cuore freddo, gelido, dominato dalla paura folle dei sentimenti e delle
emozioni, ecc… Tutti dobbiamo passare di lì, tutti dobbiamo immergerci nel
nostro Giordano per confrontarci con
essi. Perché fino a quando non li avremo affrontati e “bruciati”, saranno loro
a dominarci.
Vivere
nel divino, essere grandi, non è essere perfetti, aver vissuto senza macchia; ma
aver percorso con fatica il proprio “battesimo di fuoco”, individuando quelli
che sono i nostri demoni e sconfiggendoli; non è essere infallibili, ma avere
l'umiltà di riconoscerci peccatori e rimediare ai nostri errori; non è andare
avanti sempre e comunque per la stessa strada, ma avere il coraggio di fermarci,
ed eventualmente di cambiare direzione. Dio non ci ama perché siamo perfetti:
Dio ci ama perché siamo come siamo. Figli suoi.
Un
altro elemento del vangelo di oggi, che ci fa meditare, è infatti quella voce
che esclama: “Tu sei il mio figlio prediletto”. È il Padre che parla, e Gesù a
quelle parole si sente amato, si sente protetto, si sente al sicuro con Lui.
Ebbene,
sono parole che valgono anche per tutti noi. Sono rivolte a tutti; perché tutti
siamo i figli di Dio, amati e prediletti. Quella stessa voce dice a ciascuno di
noi: “Tu sei l’amato... sei il mio figlio prediletto... sei grande ai miei
occhi... non ti lascerò... sei importante per me... non ti abbandonerò... non
mi devi raggiungere: sono già tuo... tutto ciò che esiste l'ho fatto per te...
sei sempre nei miei pensieri... per quanto tu vada lontano io rimarrò sempre
tuo padre e tua madre, e tu sarai sempre mio figlio...”. Certo, se credessimo
veramente a queste parole, nulla potrebbe più farci paura. Non avremmo più
nulla da temere.
Noi abbiamo
imparato sulla nostra pelle che nulla si ottiene gratuitamente dalla vita: l’amore,
l’amicizia, l’ammirazione, l’approvazione degli altri, sono tutte cose che
vanno meritate, che si ottengono soltanto se si eccelle, se si è bravi.
Ma con
Dio non è così. Dio non ci ama perché siamo bravi, Dio ci ama perché “siamo noi”.
Punto.
Il
problema grosso è che noi non riusciamo a capire così tanto amore; non capiamo
e non accettiamo di farci amare così gratuitamente, per sua iniziativa. Non è lui
che non ci accetta, siamo noi che non accettiamo di essere il niente che siamo.
Siamo convinti al contrario di aver fatto molto, di essere “molto in alto”; avanziamo
delle pretese, pensiamo di essere sempre in credito nei suoi confronti e quindi
pretendiamo. “Lui deve” amarci, “Lui deve” ricambiare con l’amore. Noi lo pretendiamo
il suo amore, perché ci “spetta” in cambio dei nostri meriti. Ma quali meriti? Certo,
è proprio difficile lasciarci amare come Dio ci ama! Noi riusciamo sempre a
rovinare tutto, anche l’amore più vero: non riusciamo a capacitarci che Lui ci
ami di un amore incondizionato, di un amore fedele, di un amore perenne, di un
amore gratuito e disinteressato, per il quale non dobbiamo pagare nulla, per il
quale non abbiamo alcuna cambiale in scadenza. Sì, è difficile per noi capire la
vera portata di tutto questo, è difficile perché sovrasta decisamente i limiti
della nostra piccola mente umana.
Allora
pensiamoci ogni tanto: pensiamo che noi, con tutte le nostre miserie, noi che a
volte siamo proprio uno schifo, proprio noi siamo i figli prediletti di Dio. Perché
in conclusione questa è la verità: Dio è nostro Padre, noi siamo suoi figli, e
per questo egli ci ama. Amen.