sabato 7 dicembre 2024

08 Dicembre 2024 – II DOMENICA DI AVVENTO


Lc 3,1-6 
Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisania tetrarca dell’Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!

La parola di Dio scese su Giovanni. È un incontro vivo, che lo trasforma, che lo fa fiorire e genera il suo frutto. Dopo questa discesa il Battista se ne va per tutta la regione a predicare.
Quando la parola di Dio all’inizio della storia scende sulla creazione nasce il mondo e ogni essere vivente. Quando la parola di Dio attraverso l’angelo scende su Maria, nasce Gesù. La parola che scende su Giovanni lo invia, lo spinge e lo fa profetizzare. Dio quando scende, quando viene, produce una creazione, una nascita, un rinnovamento.
Allora: l’incontro con Dio è un incontro che ci crea, ci cambia, ci “invia nel deserto”, in noi stessi. Noi eravamo qualcosa ma dopo aver ascoltato la Parola, nel senso di “mangiata, assimilata, gustata, fatta penetrare”, non siamo più la stessa cosa.
Durante la giornata ascoltiamo un numero incalcolabile di parole! Ma la parola di Dio è un’altra cosa. Nella nostra vita abbiamo detto migliaia e migliaia di parole, molte anche buone ed edificanti, ma la parola di Dio è un’altra cosa. In Chiesa abbiamo “ascoltato” innumerevoli volte il vangelo: ma la parola di Dio è un’altra cosa. Sì, perché la parola di Dio è quella Parola che non scivola via come le altre, ci penetra in profondità, ci scuote, ci spiazza, ci destabilizza, ci tocca l’anima, ci colpisce il cuore. È quella Parola che sconvolge la mente, anche se non sappiamo spiegarci il perché; è quella Parola che ci risuona insistentemente nell’anima, che ci vibra dentro, che ci chiama in causa con un invito perentorio che non possiamo ignorare. È quella parola che ci è impossibile ignorare. È quella parola che pretende da noi una risposta concreta: e prima o poi dovremo dargliela. È quella parola insomma che una volta entrata, una volta che ci ha catturati, ci costringe a girare pagina: non possiamo più permetterci di rimanere quelli che siamo.
Il Battista predica nel deserto: “deserto” (in ebraico midebar) vuol dire “ciò che viene dal Verbo”. Geograficamente il deserto palestinese è una regione montuosa, con scarsa vegetazione, poco abitata, sede di pastori, predoni ed eremiti (eremos in greco vuol dire proprio deserto).
Ma nella Bibbia il deserto è un luogo attraverso cui è necessario. Non si può arrivare da nessuna parte, in nessuna terra promessa, se non si affronta e si supera il deserto.
È stato un passaggio necessario dopo la liberazione dall’Egitto (Es 5,1; 13, 17-21), per quella babilonese (Is 40,3); è stato un luogo necessario per Mosè (Es 3), per Elia (1Re 19), per lo stesso Gesù (Lc 4,1-13), e per Paolo (Gal 1,17).
Il deserto più che un luogo fisico è una dimensione della vita. Arriva, cioè, un momento in cui bisogna smettere di sfuggire a sé stessi, smettere di cercare risposte fuori da noi, smettere di riempirci e di imbottirci di idee, filosofie e pensieri stravaganti, e guardarci per davvero in faccia senza mentirci. Nel deserto non c’è nessuno: ci siamo noi, completamente soli.
Molte persone hanno il terrore della solitudine, di stare da soli con loro stessi. È vero, tantissimi cercano un “tempo per sé”: si riposano, leggono, passeggiano, fanno sport, escono con gli amici, vanno a divertirsi; fanno, insomma, quello che di solito non fanno. Bene! Ma “stare con sé” è un’altra cosa: significa entrare dentro la propria anima, rimanere lì, da soli, e ascoltare ciò che ci dice!
Nel deserto il Battista predica un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Ora, “predicare”, “kerysso” in greco, vuol dire urlare, dire ad alta voce, e la sua radice “ker”, indica il cuore. Giovanni quindi non fa lunghi discorsi, non fa catechesi teologiche, non tiene conferenze letterarie; i suoi sono messaggi semplici che partono dal cuore e che arrivano al cuore: messaggi brevi, appassionati, diretti e incisivi. Anche Gesù parlava così. Il messaggio non deve convincere: va solo accettato così com’è, perché ci tocca l’anima.
Il battesimo che lui predica, è conversione, è perdono dei peccati. “Conversione”, sempre in greco, è “meta-noeo” (“tornare indietro”): indica cioè il cambiamento della propria direzione, della propria vita; “perdono (da afiemi) significa “lasciar andare, liberare,  mandare via, condonare”; mentre in ebraico “Peccato”, è una “freccia che non coglie il bersaglio”. Infine “Battesimo” (dal greco “baptizein”, immergersi) indica l’immersione nelle acque.
È una legge della vita: per conoscere Dio, la Vita, bisogna immergersi nelle acque, che contengono sì la luce (fauna e flora meravigliose) ma anche le tenebre pericolose (mostri marini). Nella vita dobbiamo quindi confrontarci anche con i nostri mostri interiori, quelli che noi chiamiamo “il male”, quelli che cerchiamo di evitare, di tenere lontani, di eliminare, quelli con cui non vogliamo misurarci.
Il mondo non è soltanto un Eden meraviglioso, ma anche un territorio difficile, dove possiamo incontrare la luce e l’oscurità, i lati positivi e quelli negativi, i momenti di gloria e quelli di vergogna.
Tutta la storia della salvezza è un cammino difficile, impegnativo, attraverso zone buie, tenebrose, di peccato, per affrontarle e, con l’aiuto di Dio, uscirne vittoriosi. Gli Ebrei dovettero attraversare le acque del Mar Rosso, fare un lungo cammino nelle difficoltà e privazioni del deserto, confrontarsi con tutta una serie di nemici, per uscirne alla fine vittoriosi. Il loro fu un cammino impegnativo, di grande fedeltà, ma anche di grande infedeltà. E dovettero percorrerlo tutto, fino in fondo, per poter raggiungere il loro premio, la Terra Promessa.
Anche Gesù si è immerso nel Giordano; anche Lui è dovuto scendere in questo mondo di poca luce e di molto buio, un mondo di “già” e di “non-ancora”; di incontri promettenti e di false vicinanze; anche Lui ha dovuto confrontarsi con il buio delle tentazioni, con le tenebre del male e la malvagità umana, che alla fine lo uccisero.
Anche noi il giorno del nostro battesimo usciamo dalle acque pure della sorgente: da lì inizia anche il nostro percorso interiore verso la luce del Padre, attraverso lotte continue contro quel buio che ci sovrasta e che cerca di impadronirsi della nostra anima.
Siamo già figli di Dio, ma per esserlo veramente, dobbiamo immergerci, dobbiamo incontrare quel “non-ancora” della vita che ci attira e ci fa paura, dobbiamo scontrarci, combattere, sconfiggere quelle visioni accattivanti, ma false, che invece della gioia del vincitore offrono solo l’amaro della confitta.
Siamo un piccolo seme che può diventare una pianta rigogliosa: e lo diventeremo solo se riusciremo a “preparare la via del Signore, di raddrizzare i suoi sentieri”.
Che vuol dire? Semplice: non è forse vero che siamo spesso aggressivi, talvolta crudeli? Non è forse vero che dentro di noi coviamo tanta rabbia, tanta superbia, tanto egoismo? Non è forse vero che dietro al nostro bel volto sorridente, dietro alla nostra religiosità, ai nostri “Dio ti amo”, nascondiamo indifferenza, cattiveria, rancore, invidia, falsità?
Come possiamo essere figli della luce con tutto questo nascosto, questo buio, questa ambiguità?
C’è di che preoccuparsi: perché solo se faremo in modo che la sua Parola scenda nel nostro cuore; solo se la coltiveremo, se la faremo crescere e irrobustire, in modo che possa produrre i suoi frutti, solo allora vedremo veramente Dio, nostra Salvezza: vedremo cioè emergere da noi la Verità, ci vedremo rispecchiati nel Figlio dell’uomo, ossia torneremo ad essere ciò che veramente siamo, immagine vera di Dio: riacquisteremo la nostra immagine originale in tutta la sua bellezza pura, naturale, divina: perché l’immagine che siamo ora, non gli assomiglia neppure lontanamente. Allora potremo ammirare faccia a faccia il Figlio di Dio. Allora tutto sarà chiaro in noi: non avremo più dubbi o domande, perché quando c’è la Luce, tutto appare luminoso! E finalmente ci sentiremo nelle sue mani completamente autentici, veri, protetti, avvolti e riscaldati dal Suo dolce sguardo. E magari, mentre noi in qualche rigurgito di stupidità, ci intestardiamo ancora a perdere il nostro tempo per conquistare chissà chi o chissà cosa, Lui pazientemente ci guarda, sorride, e con infinito amore ci stringe al suo cuore.
Amen.  

 

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