Il
nostro Dio, cioè, non gradisce l’esteriorità, il manierismo, i giochetti politici; non
ama il doppio gioco, il nostro far vedere una cosa e pensarne un’altra, esibire
in chiesa una grande devozione, come espressione di una fede profonda, e poi,
appena fuori, far finta di nulla e rivestirci disinvoltamente di tutte le
nostre misere furbizie: sono cose che conosciamo già molto bene. Ma conoscerle
non basta!
Perché se
c’è una cosa, una soltanto in particolare, che manda su tutte le furie il nostro
Padre misericordioso, una cosa che lo irrita profondamente, non è tanto il
peccato, il mancargli di rispetto, ma l’ipocrisia sistematica: cioè quel continuo
volergli presentare per buone, sincere e convinte le nostre intenzioni, le
nostre azioni, la nostra vita, quando invece, noi per primi, sappiamo bene che
non lo sono. Diversità
Potremmo
dire che la parabola di oggi stabilisce la fondamentale differenza tra il “dire”
e il “fare”: è in pratica il racconto di due figli che di fronte all’ordine
del padre di andare a lavorare nella vigna, rispondono in maniera opposta: il
primo dice “sì” ma “non ci va”, l’altro dice “no” ma poi,
ripensandoci, obbedisce all’ordine del padre. Ebbene: è esattamente questa inaffidabilità,
questo comportamento irrispettoso, inconcludente, menefreghista, che Gesù
stigmatizza.
Entrambi
i figli reagiscono negativamente: tuttavia Gesù dimostra di preferire tra i due
il ribelle, il contestatore, quello che impulsivamente dice “no”, quello che ha
il coraggio di esprimere con franchezza il proprio pensiero, senza temere di
esporsi, di mettersi in discussione; quello che poi, ragionando con calma in
cuor suo, decide di obbedire al padre e va a lavorare; per Gesù questi è
decisamente più rispettabile dell’altro che, preoccupato di mantenere la sua immagine
di figlio educato, rispettoso, perfetto, gli risponde “sì”, ma in realtà non
muove un dito.
In altre
parole, Gesù fa qui capire di non gradire da parte dei suoi figli, della sua
Chiesa, una risposta inconcludente, una religiosità di facciata, epidermica, senza
senso, che si ferma superficialmente al rito, all’esibizione canora, all’omelia
reboante, ad una fede ostentata, infruttuosa: espressioni indicative di una religiosità
deformata, arida, asservita all’umano, assolutamente inefficace per poter vivere
fedelmente in Lui, per approfondire, amare e diffondere nel mondo la sua Parola.
Purtroppo
oggi, nella progressiva scristianizzazione della società, sono sempre più numerose
le persone che irridono il Figlio di Dio, alla stregua dei pagani del Suo
tempo, vivendo nel disinteresse e nell’ignoranza religiosa! Persone che si
comportano in totale contraddizione con quel che professano di credere; cristiani
che hanno adottato uno stile di vita accomodante, in contrasto con quel “Credo”
che a voce alta professano ogni domenica davanti alla comunità; cristiani che
esternamente rispondono sempre con un “sì”, che poi puntualmente nella realtà si
rivela un “no”! Persone sorde alla chiamata di Dio, insensibili alle vibrazioni
spirituali dell’anima, indifferenti alla passione e all’amore divino che
infiamma i cuori.
Sono
tante, tantissime, troppe.
Purtroppo
siamo tutti assimilabili un po’ a quel pagliaccio di figlio che risponde “si”
senza concludere nulla, deludente icona della nostra cristianità parolaia!
Succede però
talvolta di immedesimarci anche con l’altro figlio: quando infatti Dio ci affida
un compito, reagiamo con un rifiuto: “No, non lo faccio, non ci vado!”.
E perché mai? Semplice: non capiamo, nella nostra ottusa umanità, quello che
Dio vuole da noi; siamo diffidenti; siamo convinti che ciò che ci propone sia
qualcosa di impossibile, richieda una costante volontà, una seria applicazione,
tantissimo sacrificio. No, meglio evitare; ci riduciamo a starcene immobili dietro
la nostra facciata, bloccati dalle paure, dagli scrupoli, dall’egoismo, dalla
vergogna di apparire “troppo credenti” di fronte agli altri: insomma non
vogliamo correre rischi.
Per
fortuna poi, rientrati dentro di noi, riusciamo a capire l’enorme importanza di
essere stati scelti da Dio, di essere delle creature speciali, personalmente “amate”
da Lui; capiamo finalmente che dobbiamo andare, che dobbiamo reagire, scuoterci
dal nostro inutile immobilismo, dirgli di “sì” con ritrovata sincerità, con il
cuore aperto, anche se tutto ciò continua a sembrarci innaturale, pazzesco,
folle.
Evitiamo
allora di fare troppi calcoli, dobbiamo deciderci: dobbiamo semplicemente
andare, dobbiamo fidarci, buttarci; non possiamo aspettare oltre, non possiamo
perdere altro tempo. Appena intuiamo quello che Dio vuole da noi, non possiamo
continuare a tergiversare, far finta di nulla, rifiutare di uscire dal nostro
guscio, dalle nostre false sicurezze: le Sue preziose chiamate rimarrebbero tutte,
unicamente per colpa nostra, delle occasioni mancate, incompiute, mai fiorite,
mai sbocciate. Un vero peccato!
Forse
qualche volta abbiamo anche detto subito di “sì”, trascinati dall’emozione di
udire la Sua voce dentro di noi; ma passato il momento magico della chiamata - di
qualunque genere essa sia: religiosa, sacerdotale, matrimoniale - il nostro “sì”
si è bloccato, si è fermato, non l’abbiamo più curato, approfondito, non ha messo
radici, non ha trovato consistenza e terreno fecondo nel nostro cuore. Nel
tempo è diventato un “no”: la nostra entusiastica adesione iniziale si è totalmente
spenta. Per la nostra aridità.
Ebbene, è
tempo allora di riprendere in mano la nostra vita. Abbiamo bisogno di grande
onestà, è vero: dobbiamo armarci di grande rispetto per la volontà di Dio; un profondo
rispetto morale, umile, sincero, risolutivo. Lasciamo che siano le canne al
vento a fare chiasso. Noi, lavoriamo sodo nel silenzio.
Guardiamo
Gesù, guardiamo l’uomo che Lui è stato: vero, trasparente, coraggioso fino in
fondo, senza le nostre piccole e grandi bugie, senza le nostre meschinità:
seguiamo le sue orme, cerchiamo di essere anche noi uomini “del sì” come Lui.
Essere
veri, sinceri, trasparenti, non ci garantisce certamente una vita tranquilla,
lo sappiamo; ma ci farà sentire uomini e donne completi, realizzati,
soddisfatti. Non ci farà guadagnare tanti soldi e forse neppure tante amicizie,
ma ci riconoscerà una dignità che nessuno potrà mai offrirci: quella di
sentirci cristiani, autentici di figli di Dio.
Ecco,
questa in sintesi, è la correttezza che Gesù pretende dalle nostre risposte, l’onestà
della nostra vita.
Evitiamo
allora di indossare davanti a Dio il nostro vestito bello, del perfetto devoto,
del perfetto cristiano evoluto; indossiamo invece quello modesto del sincero
cercatore di Dio, del discepolo che con la propria esistenza cerca di
rispondere positivamente alla sua chiamata. Senza questa integrità, senza
questa consapevole adesione, finiremo col perdere la strada, col tradire la
fiducia che Egli ha riposto in noi; finiremo col costruirci un altro Dio da
adorare, uno che ci assomiglia troppo; una religione fine a sé stessa, che si
esaurisce nella esteriorità della preghiera e del culto, nella menzogna e nel disinteresse!
Non celebriamo il Dio della vita con azioni di morte! Siamo autentici con Lui.
Non lo blandiamo: soprattutto non temiamo di presentarci a Lui nella imbarazzante
nudità dell’essere come siamo: figli umili, fragili, peccatori ma, consapevoli
del suo aiuto e del suo amore, armati di tanta buona volontà. Amen.