giovedì 3 ottobre 2024

06 Ottobre 2024 – XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Mc 10,2-16 
Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.

La gente corre da Gesù perché sente che le sue sono parole giuste e toccano nel profondo il loro cuore; corre da lui perché percepisce che tutto quanto dice è verità: e questo, per i capi, è pericoloso, perché se la gente ascolta Gesù, se lo segue, automaticamente si allontana dalla Legge che essi rappresentano.
A questo punto i sapienti farisei vanno da lui con l’intenzione di sconfessarlo: vogliono metterlo in difficoltà, e per questo gli tendono un vero e proprio tranello: “È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?”. Una domanda apparentemente semplice e innocua, ma che in realtà rivela il loro gioco “sporco”, poiché qualunque risposta Gesù avesse dato, lo avrebbe comunque compromesso: se favorevole al ripudio e alla legge mosaica, avrebbe ottenuto il consenso della folla e dei farisei, ma avrebbe rinnegato se stesso e gli insegnamenti dati nel discorso della montagna (Mt 5,31-32); se invece si fosse dichiarato contro il ripudio, e quindi contro la Legge di Mosè che lo permetteva, avrebbe contribuito ad aumentare le ostilità nei suoi confronti da parte di Erode e dei caporioni ebrei.
Gesù quindi la prende sapientemente alla lontana. Inizia col dire: “Che cosa vi ha detto Mosè?”. E loro sicuri: “Mosè ce l’ha permesso!”. “È vero”, replica Gesù; solo che “Mosè ve l’ha permesso non perché lui lo ritenesse positivo, ma l’ha dovuto permettere a causa della durezza del vostro cuore” (Mc 10,5). Che significa: “È vero che la legge permette il ripudio, ma Mosè, pur sapendo che esso non rientrava nel progetto iniziale di Dio, ve l’ha concesso esclusivamente per rimediare alla crudeltà ed ai trattamenti disumani che voi riservate alle donne; lo ha fatto, quindi, non perché il ripudio fosse una cosa buona e lecita, ma perché tutto sommato è il male minore. Tutto è riconducibile infatti alla vostra “durezza di cuore”, alla vostra totale insensibilità: a quella “depravazione del cuore”, per punire la quale Jahweh impedì l’ingresso nella terra promessa a ben seicentomila ebrei” (Sir 16,9-20).
Dio la considera una perversione molto grave: perché in sostanza è la mancanza totale di cuore, di amore; è l’irrigidimento, la sclerotizzazione, la pietrificazione, di ogni sentimento; una situazione di fronte alla quale Dio stesso non può fare nulla.
In sostanza Gesù volutamente non si esprime; al contrario prosegue il suo discorso rifacendosi al fine originale e profondo dell’esistenza umana: “All’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due ma una sola carne”.
Sono parole davvero rivoluzionarie per quel tempo: riconosce cioè pari dignità e diritti alle donne, ponendole sullo stesso piano del maschio. Pronunciate poi subito dopo il tentativo dei farisei di metterlo alla prova, di sconfessarlo, sono parole profonde, pesanti, programmatiche, che meritano anche una nostra più attenta lettura.
Prima di tutto Gesù non dice qui che i due sposi “saranno un’unica cosa”: perché se così fosse, se le due persone semplicemente si fondessero insieme come se fossero due pezzi di “creta”, per diventarne “uno solo”, è evidente che nella fusione una delle due scomparirebbe, verrebbe assemblata, annullata soffocata, nell’altra. Una “carne sola” (in ebraico “basar ehad”, cioè una carne “unita”) indica invece la completezza di una unione, una unione “totale” che raggiunge il “livello creativo” di Dio, che trascende di molto quello semplicemente materiale. Se i due non trovano questa unione profonda, significa che tra loro non c’è un vero rapporto, non c’è “legame”, non c’è quell’amore autentico, quell’incontro profondo tra i due, maschio e femmina, contemplato nel progetto iniziale di Dio.
“Essere uno”, “essere una sola carne”, non vuol dire “uni-formarsi” uno all’altro, nel senso di compiere le stesse cose, di fare le identiche scelte e per questo inibire la propria personalità; l’unione vera è tutt’altro, è “com-unione”, alleanza con l’altro; è vera “compenetrazione” di corpi, di sentimenti, di cuore: è l'unione totale di “due persone”. Perché solo così, maschio e femmina “uniti”, potranno realizzare, completare, dare un senso al naturale progetto umano di vita.
Che è anche il progetto di Dio. Tant’è che nei due ogni elemento è predisposto anche morfologicamente a questa unione, a questa integrazione, in modo da eliminare automaticamente qualunque sostituzione fantasiosa di genere, qualunque confusione di ruolo e di immagine: il maschio deve essere “maschio”, la femmina deve essere “femmina”. Solo così c’è una famiglia: ognuno con un suo ruolo insostituibile ma complementare, secondo le leggi immutabili iscritte nella natura umana.
Così per esempio nell’educazione dei figli: il papà non può essere la mamma e la mamma non può essere il papà. È quindi assurdo ipotizzare una “famiglia” con due “genitori” dello stesso sesso. La donna, nella famiglia, è colei che “c’è”, colei che è sempre presente, che avvolge, che custodisce, che ama, che protegge. L’uomo è invece colui che “fa”, colui che costruisce, che ha il compito di mettere il figlio davanti alle proprie decisioni, alle proprie responsabilità, alla gestione della propria libertà. Il padre inserisce il figlio nella società e lo costringe a confrontarsi con gli altri suoi pari; gli insegna le regole, il confronto, il rispetto per gli altri.
Sono ruoli diversi che richiedono entità diverse. Ecco perché in casa, in famiglia, non possono esserci confusioni: né due papà né due mamme; ecco perché il riconoscimento legale in questo senso, sostenuto oggi anche da molti cristiani e cattolici, è puro squilibrio, coercizione della natura, incoscienza; è un “accostamento” di due entità uguali, mai una loro “unione”.
Inutile girarci intorno: il papà è il papà e la mamma è la mamma: nessun surrogato, nessun miscuglio contro natura, perché la differenza c’è, eccome!
Questa è l’unione che, come dice Gesù, l’uomo non deve “separare”: perché questa appartiene al progetto iniziale di Dio.
Se l’uomo separa il rapporto fisico, la propria soddisfazione sessuale e ideologica, dall’amore oblativo, dalla condivisione più profonda dei sentimenti, dalla stima, dalla comprensione, dal valore della fedeltà, dal progetto di procreare nuove vite, se altera insomma queste componenti essenziali dell’unione maschio e femmina, allora i due individui staranno anche insieme, ma non saranno mai “uno”, non saranno mai “uniti”; il loro innaturale e sterile progetto di vita contiene già “in nuce” una loro insanabile “divisione”, è cioè già minato in partenza da un mortale divorzio mentale. Perché se vengono a mancare questi elementi, tutto il castello umano crolla, tutto viene meno, non esiste più alcuna base su cui costruire: ci sarà solo uno “stare insieme” sterile, posticcio, vuoto, spiritualmente squallido, senza contenuti vitali.
Allora, contrariamente ai farisei che si preoccupavano soltanto di conoscere se c’erano motivi leciti per ripudiare la moglie, gli sposi cristiani devono lavorare continuamente sulla loro unione matrimoniale, devono costruirla, fortificarla, difenderla, in modo che il loro amore, curato e perfezionato, assomigli sempre più a quello vero, a quello di Dio, al suo Amore ineffabile.
L’amore di due creature, sinceramente dato e ricevuto, è meraviglioso! Vivere questo amore riempie il loro cuore, la loro vita, fa vibrare la loro anima; per amore sono pronti a rischiare tutto, a cambiare radicalmente l’esistenza, le proprie vedute, le proprie convinzioni; perché amare veramente significa lasciarsi travolgere da una spirale magnetica, potente, inarrestabile, che li attrae trasformandoli in una sola “unica carne”.
In questa nostra società mondana e trasgressiva dobbiamo essere convinti che l’amore vero esiste ancora: molti purtroppo lo ritengono impossibile, superato, e ricorrono a surrogati, si accontentano di compromessi. No: non solo è ancora possibile amare ed essere riamati veramente, ma è soprattutto possibile imparare ad amare sempre più e sempre meglio, come Gesù ci ha insegnato.
Il suo concetto di “amore” infatti necessita di un esercizio permanente: non è un dono, non cade spontaneamente dal cielo, ma deve essere quotidianamente conquistato, perfezionato, cresciuto, accudito, fortificato. Bisogna soprattutto imparare a riconoscerlo e a distinguerlo da quello illusorio e falso, da quell’amore che oggi, apertamente camuffato, viene contrabbandato da una mentalità deviata come genuino, lecito, decisamente intrigante.
Il vangelo di oggi infine ci porta ad un’ultima riflessione: “Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio”.
Dopo la catechesi sul matrimonio, il testo introduce dunque il tema dei bambini.
Forse è un caso, o forse no, ma l’aver inserito a questo punto il discorso su di essi, acquista un significato molto particolare: perché quando la simbiosi marito-moglie si spezza, sono sempre i frutti della loro unione, i figli, i bambini, a subirne le più drammatiche conseguenze.
Checché ne dicano gli esperti, sono essi che subiscono un trauma interiore difficilmente superabile: perché, nonostante le assicurazioni, nonostante le dimostrazioni d’affetto, essi si sentiranno sempre e comunque rifiutati, messi da parte, tagliati via, estirpati dal loro habitat naturale che è la famiglia, da una vita in comune col loro padre e la loro madre.
I bambini sono l’immagine emblematica della fiducia, della speranza, del bisogno di accoglienza, del potersi gettare tra le braccia materne e paterne, le uniche in grado di offrire loro attenzioni incondizionate, sicurezza, tranquillità, perdono, misericordia, dolcezza, amore vero. E Gesù ne approfitta per indicarceli come esempio da seguire, come innocenza da riconquistare.
Ridiventiamo allora anche noi come bambini: rifugiamoci anche noi, come loro, tra le braccia del nostro Padre celeste. Con Lui, ancorché “adulti” peccatori, disincantati e scettici, provati dalla vita, sofferenti, stanchi, delusi, non dobbiamo temere più nulla; con Lui saremo a casa, saremo accettati per quello che siamo, purificati dalle nostre miserie.
Lui ci aspetta con le braccia spalancate. Braccia che danno Vita, le sue; braccia che proteggono, che danno sicurezza, perdono, che allontanano ogni pericolo, ogni male, ogni nemico; braccia sempre pronte a sorreggere la nostra umana debolezza, a farci rialzare dalle nostre cadute; braccia tra le quali un giorno potremo trovare la Pace senza fine, la gioia dell’Amore eterno. Amen.

 

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