giovedì 15 giugno 2023

18 Giugno 2023 – XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Mt 9,36-10,8: 
In quel tempo, Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!». 
Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità. I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì. Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».

È una constatazione, quella di Gesù: la gente che lo segue per le strade della Palestina è cresciuta a vista d’occhio, è diventata “le folle”: egli tuttavia vede chiaramente in ciascuno dei presenti, le loro sensazioni, la loro stanchezza, il malessere, la delusione, la sfiducia. È gente che per qualche ragione si sente tradita, gente che per cui la vita non ha più un significato, gente che si sente inutile. Gesù vede tutte queste persone sofferenti, si rende conto delle loro necessità e, rivolto ai discepoli, scosso, preoccupato, si lascia andare dicendo: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi!”. Di fronte a quella povera gente, capisce che in futuro, per arrivare a tutto e a tutti, ha bisogno di collaboratori, di persone che continuino ciò che lui ha iniziato, che sostengano il suo progetto di “chiesa”.
A questo punto che fare? chiama il gruppo dei discepoli che già lo seguivano, e tra loro ne sceglie dodici, ai quali conferisce la nomina di “apostoli”, persone incaricate cioè a scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d'infermità. 
Nel vangelo di oggi Matteo, nel comunicare i loro nomi , cita anche sé stesso: quel pubblicano di nome Levi, esattore delle tasse per conto dei Romani, malvisto dal popolo per le tangenti che incassava con la sua attività; solo che, nel momento in cui scrive, Levi il pubblicano non esiste più, è diventato Matteo, l’apostolo: un giorno infatti egli aveva incontrato quel Nazareno, ospite di Pietro e Andrea, e aveva visto in Lui la possibilità di un suo riscatto, di condurre una vita diversa, libera, nuova, conquistato soprattutto dalla misericordia, dalla bontà, dall’amore, che trasparivano dallo sguardo sereno di Gesù. Quando inserisce il suo nome tra i dodici, sono passati trent’anni da quell'incontro, ma l’emozione a quel ricordo è ancora la stessa. 
La lista dei dodici “apostoli” è formata da nomi che in parte già conosciamo: “Pietro”, qualificato come “primo” come “capo” (ciò conferma che all’epoca in cui è avvenuta la stesura del Vangelo, Pietro ricopriva già il ruolo di guida, di responsabile del gruppo), e suo fratello “Andrea”; poi “Giacomo e Giovanni”, due fratelli dal carattere focoso, irascibile, soprannominati per questo i “Boanèrghes” cioè i “figli del tuono”. Queste due coppie di fratelli sono stati gli amici più intimi, i confidenti di Gesù, quelli che lui chiamava sempre al suo fianco nei momenti critici, decisivi. Quindi, anche Gesù, pur amando tutti indistintamente, aveva anche lui qualcuno con cui si trovava meglio, di cui si fidava di più, con cui si confidava maggiormente. Ancora: “Filippo” di Betsaida e “Bartolomeo” un ebreo. Quindi “Tommaso”, detto “Dìdimo”, cioè “gemello, duplice”, a causa del suo carattere: uno che non si fermava mai al primo sguardo, ma voleva vedere sempre il rovescio della medaglia. “Matteo” (l’ex pubblicano usuraio Levi). “Simone il Cananeo”, un nazionalista Zelota, antiromano per eccellenza; “Giacomo”, cugino di Gesù (figlio di Alfeo, fratello di san Giuseppe); “Taddeo” (detto anche Giuda di Giacomo) e infine Giuda Iscariota che sarà il traditore. 
Si tratta di un gruppo eterogeneo, formato un po' da tutti i tipi: nazionalisti, pubblicani, peccatori, incolti, istruiti, poveri, ricchi. Ma Gesù non si ferma in superficie, al semplice apparire, o addirittura al “si dice” della gente: egli vede e legge le persone nel profondo del loro cuore, della loro anima; conosce l’infinito bisogno di felicità che ogni uomo porta scolpito nel proprio cuore. È un po’ quello che succede anche oggi: Gesù conosce perfettamente anche tutti noi: le nostre preoccupazioni, la difficoltà di trovare risposte adeguate ai nostri problemi. Egli sa che siamo disposti a vendere anche l’anima per avere un po’ di amore, di serenità, di pace; per sentirci accolti, stimati, considerati, amati.
Ebbene: è proprio questo identico bisogno di felicità, di amore, di pace, innato in ogni uomo, che ci rende tutti simili, che ci unisce, in ogni tempo, in una fratellanza universale.
Gesù vede tutto questo, vede che siamo amareggiati, insoddisfatti, che, pur non ammettendolo, sentiamo un profondo bisogno di Lui, del suo amore, di quella felicità che solo Lui può dare. 
Sì, perché nella delirante e disonesta epoca in cui viviamo, la felicità che cerchiamo è rara, introvabile, viene venduta a prezzo esorbitante, assurdo, incalcolabile; e noi, instupiditi, spaesati, confusi, ingannati, ci adeguiamo all'offerta, finendo col seguire purtroppo le prospettive più seducenti, più luccicanti, più immediate, quelle che sembrano poter appagare il nostro incolmabile bisogno di bene e di verità.
Gesù è lì, fermo, immobile, guarda le folle di allora, le folle di oggi, di domani, e si commuove vedendo quanto devono faticare tutti, per trovare la vera felicità. Il Padre stesso, forse, è stato preso da qualche “perplessità”: in effetti, non era questo il suo progetto quando ci ha donato la libertà, dono molto difficile da gestire, superiore alle nostre forze, per cui troppo spesso deleghiamo le nostre scelte all’imbonitore, all'incantatore di turno.
Pecore senza pastore”: è così che vede le folle il Maestro, commuovendosi. E nel suo amore infinito decide di agire. E come al solito ci spiazza: la pagina del vangelo finisce nel modo più inatteso, più incredibile. Tutti ci saremmo aspettati un Gesù che, mosso dalla compassione, si sarebbe immediatamente offerto Lui, come Buon pastore, come solutore di ogni problema.
Invece no: Gesù, commosso per lo stato precario degli uomini, dispersi nel mondo, inventa la Chiesa! Sceglie cioè dodici persone per iniziare la costruzione del Regno di Dio: dodici che, istruiti da Lui, siano in grado, durante la sua assenza materiale, di condurre i greggi del mondo, a quei pascoli erbosi, nei quali loro stessi per primi, desiderano entrare.
Non sono perfetti, sono purtroppo degli uomini. Ma Egli vede in ognuno di essi, oltre le inevitabili deficienze, la determinazione, la voglia, di trasformarsi in combattenti, in autentici eroi, per la Sua causa. Nella loro poliedrica diversità, nella loro sgangherata unione, rappresentano infatti l'intera umanità.
Nessuno mai si sarebbe sognato di mettere insieme dodici persone così radicalmente diverse per realizzare un progetto divino così impegnativo: riportare al Padre l’umanità peccatrice! Nessuno, eccetto Gesù. E sarà poi Lui, che li illuminerà, li unirà, li indirizzerà, li compatterà in quell’unica realtà della Chiesa nascente, destinata a proiettarsi nel tempo, fino alla fine dei secoli.
Questa è, e rimane, la Chiesa, il paradosso di Cristo! All'umanità ferita e fragile che necessitava di una guida sicura, inflessibile, inossidabile, Gesù ha posto un condensato di umanità, altrettanto fragile e ferita. Ma nonostante le sue carenze, i secoli bui, i suoi alternanti alti e bassi, la barca di Pietro è giunta fino ad oggi, con l’immutata determinazione di continuare il suo mandato nei secoli futuri, grazie all’assicurazione del suo Fondatore e sposo, che l’avrebbe protetta contro ogni ostilità della cattiveria umana.
Questo sicuramente è il suo punto di forza, questo il segreto della sua immortalità, della sua invulnerabilità.
Oggi, però, con rammarico, dobbiamo riconoscere che la Chiesa voluta da Cristo ha cambiato fisionomia: il tentativo di rinfrescarle il volto, di farle rinnovare l’antica veste nuziale, ha prodotto purtroppo degli strappi sostanziali non solo al suo incedere, ma anche alla sua sostanza: ha perduto la sua brillantezza, la sua autorità, la sua intoccabilità magisteriale; si presenta disunita, superficiale, incoerente: troppe le fragilità, troppe le contraddizioni, troppe le omissioni, troppe le svalutazioni dottrinali, troppe le infedeltà. In essa folle intere di cristiani vivono ignorando cosa significhi “credere”. Sono troppi quelli che non condividono certe sue iniziative, apertamente disallineate dall’originale mandato di Cristo, di insegnare, promuovere, difendere con carità ma con fermezza tutti i valori fondanti del suo Vangelo.
I suoi “apostoli”, inoltre, di fronte alla crescita esponenziale dei greggi, sono oggi numericamente insufficienti, burocratizzati, stanchi: si sta riproponendo in maniera più tragica, la stessa situazione lamentata da Gesù: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi!”.
E ripropone anche a noi quel suo pressante invito: “Rogate Dominum messis”, implorate il Padrone del raccolto, perché mandi operai che se ne prendano cura!
In questo particolare periodo di smarrimento, di opacità e sofferenza, la Chiesa ha realmente bisogno di nuovi operai, nuovi “apostoli”, nuove guide: ha urgente bisogno di testimoni “credibili”, di pastori motivati per poter radunare tutti i greggi dispersi nel mondo e ricondurli compatti all'ovile del Padre. È un dato incontrovertibile.
Ma noi cristiani della domenica, che possiamo fare? Certo, non mancano i soliti adulatori idioti, che, forti di tale situazione, ci blandiscono: “Tu, uomo o donna, puoi essere un grande animatore nella chiesa; sei intelligente, preparato, se vuoi, puoi risolvere tanti problemi, datti da fare! Insegui le tue aspirazioni, realizzati, vai e raccogli tutti quegli onori e riconoscimenti che meriti!”. 
Non cadiamo in così false, sciocche, e stupide fantasticherie! Il nostro filiale, rispettoso, personale disappunto sull’attuale cammino della Chiesa, è ben lontano dall’essere motivato da un ipotetico inserimento in una delle tante sue nuove iniziative pastorali molto ambite, ma spiritualmente inutili, religiosamente aride! 
Noi cristiani dobbiamo ascoltare una voce soltanto, quella di Cristo, il buon Maestro: Egli solo riesce a vedere in noi quelle potenzialità operative che noi non possiamo vedere e neppure immaginare: attività che, con determinazione, Lui sfida i suoi nuovi collaboratori a praticare: “Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date!”. 
È evidente che per il nostro “nulla”, tali “operazioni” sono non solo impossibili, ma addirittura improponibili. È però altrettanto vero che, sempre a questo proposito, Gesù ha detto anche che “tutto è possibile” a chiunque abbia un minimo di fede, grande almeno “quanto un granello di senape” (Lc 17,6)
Che fare allora? Nulla, facciamo come il giovane Samuele, che nella solitudine della sua camera alla chiamata di Dio risponde: “Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta!” (1Sam 3,10). Abbandoniamoci alla Sua Parola, buttandoci alle spalle ogni nostro dubbio, ogni perplessità: e come Pietro, dopo una nottata di lavoro inutile, obbediamo, prendiamo il largo e gettiamo anche noi le reti! (Lc 5,8).
Se lo hanno fatto gli “apostoli”, trasformati dalla fede, lo possiamo fare anche noi cristiani, chiamati da Dio e guidati dallo Spirito: possiamo cioè anche noi, nel nostro piccolo, correre in aiuto a questa Chiesa debilitata e spoglia; possiamo anche noi rassicurare e “radunare” da ogni angolo della terra, tutte le sue pecore lontane, non con fiumi di parole, ma con una esemplare vita cristiana: perché in realtà è sempre Lui che opera servendosi di noi, è sempre Gesù, l’unico e vero Pastore, che sul nascere del nuovo giorno guiderà le sue pecore ai pascoli erbosi della salvezza: sarà sempre Lui, lo sposo, che condurrà la Chiesa, sua sposa, alla vittoria finale sul male: quella stessa Chiesa che, nel frattempo, noi a gran voce continueremo a proclamare al mondo, con orgoglio e senza timori di “
autoreferenzialismo”, Una, Santa, Cattolica e Apostolica! 
Dio non ha mai “obbligato” nessuno a coprire il ruolo di “pastore” nella sua Chiesa: Egli chiede, chiama, invita, e attende. Siamo noi che accettiamo di diventare degli “strumenti” nelle Sue mani; non ha mai chiesto a nessuno dei suoi “apostoli”, dei suoi collaboratori, interventi gravosi, eccessivi, impossibili; per cui, se un giorno decidesse di chiederci qualche piccola collaborazione, asteniamoci anche noi dal fargli in contropartita richieste impossibili; non pretendiamo mai nulla in cambio. Stare al suo servizio è un dono, un dono elettivo! Non cerchiamo riconoscimenti, pubblicità, onori, non chiediamo corrispettivi! In particolare, se nella piccola comunità in cui viviamo, già prestiamo una nostra modesta collaborazione, evitiamo di primeggiare, di esibirci, di trasformarci in promotori, moderatori, guide di “gruppetti scelti”: perché tali realtà, qualunque sia il loro settore di impiego, grazie ad un loro connaturale spirito elitario, finiscono puntualmente col diventare invalidanti per la normale attività comunitaria della Chiesa. 
Ascoltiamo invece, e mettiamole in pratica, le sagge parole che Pietro, il primo Papa, rivolgeva alla giovane Chiesa nascente: “Chi parla, lo faccia con parole di Dio; chi esercita un ufficio, lo compia con l’energia ricevuta da Dio, perché in tutto sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo” (1Pt 4,11). 
Sempre e in ogni caso, continuiamo il nostro cammino spirituale con grande responsabilità, perché il “servizio” con cui ci siamo obbligati con Cristo e la Chiesa mediante il battesimo, costituisce già da solo un grande impegno: esso infatti riassume l’intera nostra missione di cristiani, la passione, la gioia, l’amore per la nostra vita di fede. Dio non ci chiede nient’altro: viviamola, dunque, questa nostra umile disponibilità con Dio, facendo il bene, con semplicità e fedeltà, come Lui ci ha insegnato; e soprattutto continuiamo a pregarlo insistentemente, perché mandi nella sua Chiesa dei “veri” operai, gente innamorata di Lui, valida, esperta, e soprattutto santa. Amen

 

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