giovedì 25 giugno 2020

28 Giugno 2020 – XIII Domenica del Tempo Ordinario


“Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me”. 
(Mt 10,37-42).

Il testo del Vangelo di oggi chiude il “discorso missionario” del capitolo 10 di Matteo.
Un testo duro, difficile da condividere, per certi versi assurdo! “Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me”. Siamo agli antipodi della nostra logica, del nostro buon senso. Sono parole, per noi “umani”, decisamente incomprensibili.
Ma cosa intendeva dire Gesù? Cosa voleva che i suoi discepoli portassero scolpita nella loro memoria? Non dobbiamo dimenticare che Egli parlava a persone semplici, persone non certo istruite; era gente pratica, realista, poveri lavoratori impegnati ad assicurare giorno dopo giorno la sopravvivenza alle loro famiglie.
Quindi a gente “concreta”, parole concrete: “Voi che avete accettato di seguirmi, dovete capire che Io valgo più di qualunque altra cosa voi possediate, anche la più preziosa; Io sono più importante dei vostri affetti, della vostra famiglia, della vostra stessa vita: sono insomma il vostro valore assoluto! Genitori, moglie, figli, vengono tutti dopo di me. Niente e nessuno può interporsi tra me e voi, nessuno può ostacolarvi nel servizio che voi mi prestate. La vostra scelta di discepoli, essenziale e obbligata, è una sola: Io, il vostro Dio”.
Dobbiamo riconoscere che, tradotta anche in termini semplici, la prospettiva per chiunque decida di seguire Gesù, non è certo semplice. Diciamo anzi che quel cammino è percorribile soltanto da poche persone, dagli eroi della fede, dai santi: da quanti cioè hanno messo in bilancio anche la morte violenta, il martirio, pur di vivere nella piena obbedienza al volere di Dio.
Si tratta di un percorso insolito, molto difficoltoso, molto selettivo, soprattutto per noi che ci professiamo “cristiani” nel mondo d’oggi: ma queste sono le parole che Gesù ha rivolto a tutti, e quindi anche a noi, per rianimare la nostra vita spirituale, troppo spesso asfittica e denutrita.
Nella vita, prima o poi, tutti devono affrontare un bivio decisivo: da un lato c’è la volontà di Dio, il sevizio di Dio, che però prevede quella croce che il Signore ci invita a prendere per seguirlo; dall’altro, una soluzione alternativa, più appetibile, più umana, più logica, più adattabile alla nostra mediocrità.
Ebbene: è esattamente in questi casi che la schiettezza del vangelo ci disorienta, ci spaventa.
Il Gesù che ci proponiamo di seguire non è un Dio che si accontenta di poco, che accetta compromessi, mezze misure: Egli è categorico: vuole tutto, chiede tutto. Ma ci dà anche tutto: con la stessa generosità con cui una volta ci ha dato sé stesso sulla croce, così continua in ogni istante a darsi ai suoi fedeli, a coloro che lo seguono, che lo amano: e lo fa in termini di conforto, di pace, di gioia, di amore.
Ecco: il punto nodale del nostro programma di vita è proprio questo: ricambiare questo suo amore con un amore che si trasformi in passione per Lui, che diventi un fuoco travolgente, un fuoco interiore che ci spinga a fare per Lui anche le scelte più difficili.
Questa è la logica dell’amore che Dio ci chiede. Non possiamo rispondere: “sì, Signore, io ti amo, ma fino ad un certo punto; più in là non posso andare, non ce la faccio”. Questo non è più amore. La vera misura, l’unica che dobbiamo raggiungere, è amare Dio “sopra ogni cosa”, perché solo così potremo ottenere da subito la vera felicità.
Ecco perché Gesù dice: “Chi perde la sua vita la ritrova e chi guadagna la sua vita la perde”. In pratica Egli vuol stabilire un principio fondamentale: se facciamo la volontà di Dio, ossia se lo amiamo al di sopra di tutto, non ci perderemo mai. Al contrario ci perderemo sicuramente se agiamo contro la Sua volontà, se lo amiamo svogliatamente o per niente.
Vivere pertanto il vangelo come vuole Gesù, in tutto il suo radicalismo, non è come andare a passeggio, non è uno stile di vita da prendere alla leggera, non è un passatempo piacevole: richiede invece un impegno totale, un autocontrollo permanente; non sono ammesse scorciatoie; c’è un’unica strada, quella tracciata da Gesù, quella che passa attraverso il Golgota.
Per questo l’autenticità cristiana è vista da molti come semplice utopia; un progetto inavvicinabile, inattuabile.
Del resto, anche noi che ci diciamo cristiani, arriviamo a viverne solo le briciole, ci fermiamo purtroppo al più semplice “apparire”, alle pratiche esteriori, alle pie esibizioni, alle visibili commozioni, ai pubblici “mea culpa”; ci accontentiamo cioè di salvare la faccia, di essere considerati dagli altri “persone per bene”, osservanti, timorate e innamorate di Dio.
Ma per seguire veramente Gesù, per essere veri cristiani, non basta l’entusiasmo di un momento, non bastano le buone intenzioni, i grandi propositi.
Il vangelo di oggi è estremamente chiaro in questo. La “conversione” che Gesù vuole da noi deve essere profonda, totale, continua: dobbiamo cioè mettere Dio sempre e comunque al primo posto: tutto il resto viene dopo.
“Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta…”: tremendo! Quante volte anche noi riusciamo a mortificare la nostra fede! Quanti di noi, per esempio, vanno alla messa domenicale, non per celebrare il Sacrificio Eucaristico, non per rendere gloria a Dio, ma per ascoltare il “profeta” di turno, il facondo oratore che sfoggia gigionescamente la sua arte omiletica (“vado a quella messa perché c’è Caio che predica così bene!”): e non pensiamo che in questo modo barattiamo scioccamente una misera “ricompensa” elocutoria, con quella vitale e insostituibile della reale presenza di Dio in noi, portatore di Grazia e benedizioni vitali!
Ecco perché è necessario scendere nel profondo del nostro cuore, porci di fronte alla nostra coscienza e chiederci umilmente: “Quanto conta Dio nella mia vita? Amo veramente Gesù e il suo Vangelo? Voglio appartenere sul serio a Dio? Gli ho mai chiesto di farmi diventare santo?”.
Proprio così: perché il radicalismo evangelico ci porta tutti obbligatoriamente ad essere santi, cioè a “vivere di Dio”, ad essere innamorati persi di Dio. Uno stile di vita che tutti dobbiamo fare nostro, non solo i preti, i frati, le suore!
Ogni cristiano che vuol seguire la chiamata di Cristo, infatti, proprio perché “umano”, è debole, pieno di difetti, di tentazioni, di cadute. Seguire fedelmente Gesù è difficile per tutti, ci vuole tanta buona volontà, tanta umiltà, tanta perseveranza. I momenti bui, i mari in burrasca, le strade in salita, i precipizi, sono i nostri “pesi” quotidiani, con cui tutti dobbiamo fare i conti, nessuno escluso. Neppure i santi: i quali non sono persone “speciali”, impeccabili, ineccepibili; sono persone normalissime, che però vogliono a tutti i costi amare Dio: per Lui riescono a superare qualunque ostacolo, sono pronti a rialzarsi sempre, dopo ogni caduta, pronti a ricominciare ogni giorno il difficile percorso in salita che è l’imitazione di Cristo: l’unico percorso che, passando attraverso la croce, ci porta alla gioia della Risurrezione finale.
I santi sono insomma coloro che si affidano a Dio, che rinnovano continuamente i loro propositi di fedeltà, che vivono nell’amore a Dio e al prossimo. Sono l’esempio da seguire.
Perché solo imitandoli, anche noi “indecisi”, ritroveremo” l’entusiasmo, la voglia di realizzare in pieno la vita: una conquista che non avviene, come siamo soliti pensare, con la carriera, con le ricchezze, coi divertimenti; ma soltanto “perdendo” questa nostra vita, impiegandola cioè per la causa di Cristo, per il bene concreto dei fratelli.
Un percorso quindi che non prevede false affermazioni personali, forme di egoismo, sopraffazioni per il proprio tornaconto; un percorso però che ci assicura una tale quantità di amore e di gioia, da rendere stupenda, meravigliosa, straordinaria la nostra vita e quella degli altri.
“Cristo non toglie nulla, Cristo dà tutto!”, ama dire papa Benedetto, richiamando l’insegnamento di Gesù: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”. È dunque questo, condensato in pillole, il messaggio “nuovo”, il messaggio “bello” del Vangelo. È la grande novità di Gesù. Amen.




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