venerdì 26 maggio 2017

28 Maggio 2017 – Ascensione del Signore

«Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato» (Mt 28,16-20).

Risurrezione, Ascensione, Pentecoste: tre prospettive di un unico, grandioso evento, il Dio con noi. Cristo risorge, ritorna al Padre e ci invia il suo Spirito per continuare a stare con noi.
Con il testo di oggi, Matteo conclude il suo vangelo: “sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. È la sintesi dottrinale della missione temporale del Figlio di Dio, il suo valore universale. Se prendiamo come unico riferimento l’ignominia della croce, ovviamente tutto si riduce ad un fallimento totale: il fallimento di Gesù come uomo, il fallimento della sua missione terrena. Ma è una visione riduttiva e parziale dell’evento pasquale: il punto focale è che l’unico mistero pasquale è costituito da passione, morte, resurrezione, ascesa al cielo e discesa su questa terra in Spirito di Amore, di Vita, di Verità. È da questa sorgente unitaria che sgorga l’acqua rigeneratrice, che, attraverso il battesimo, introduce nel genere umano la vita da redenti, da salvati, nuova realtà assoluta.
Gesù non c’è più, ora ci sono gli apostoli. Gesù non c’è più, ma c’è la chiesa. C’è questa Chiesa, la “nostra” Chiesa, presenza di Dio nel mondo. È dalle parole conclusive di Gesù, riportate dal vangelo di oggi, che nasce questa comunità cristiana. Lui se ne va in cielo e lascia qui in terra, fino al suo ritorno trionfale alla fine del mondo, la sua Chiesa : ci siamo noi, i “nuovi Gesù” in “experimentum”.
Oggi dunque è la festa del commiato di Gesù: egli saluta i suoi, affida loro le sue ultime raccomandazioni e sale in cielo, torna al Padre. 
Singolare è il fatto che la Liturgia abbia scelto per oggi un vangelo, quello di Matteo, che non fa alcun cenno all’Ascensione, non spende una sola parola per descrivere questo avvenimento. Molto succintamente dice solo che gli undici tornarono in Galilea, da dove erano partiti con Gesù, e salirono sul monte che Lui aveva loro indicato: e qui essi lo “vedono” e lo adorano. Punto. 
Qui però Gesù pronuncia le ultime parole terrene, quelle di congedo, le più importanti, le più preziose, quelle che concretizzano la nascita del nuovo organismo, per il quale Egli assicura la sua perenne assistenza. 
È chiaro allora che a Matteo interessa più di evidenziare, piuttosto che la partenza, l’ultimo messaggio terreno di Gesù, con il quale egli lascia intendere che il suo abbandono sarà solo formale: in sostanza, cioè, Egli continuerà a rimanere con noi, con la sua “Chiesa”, con i suoi apostoli, con tutti i popoli di ogni tempo e di ogni nazione. Quindi, a che pro descrivere un abbandono che abbandono non è?
In tale contesto merita la nostra attenzione quel duplice stato d’animo degli apostoli, che Matteo documenta con due verbi: “adorare”, “dubitare”; cioè: al vedere Gesù, tutti (gli apostoli) “lo adorarono”; alcuni invece “dubitarono”; in altre parole, essi riconoscono Gesù e si prostrano in adorazione davanti a lui, ma nello stesso tempo ci sono alcuni che “dubitano”, che diffidano di Lui.
Ebbene: sono due verbi che, oltre alla situazione di allora, documentano molto bene anche i due volti della nostra chiesa attuale, le posizioni contrastanti che convivono in essa fin dalla sua istituzione: la posizione cioè di quanti sentono Dio vicino, vivo, presente nella loro vita, e quindi lo pregano, lo adorano, e di quanti invece sono scettici, dubitano, sono diffidenti, e non si lasciano coinvolgere da Lui: una realtà innegabile, che tuttavia non ci deve scandalizzare.
La chiesa infatti, proprio come l’esperienza apostolica insegna, non potrà mai essere l’espressione di una fede in Dio uguale, identica per tutti: ci sono e ci saranno sempre degli alti e bassi, ci sarà sempre una fede diversa per intensità, quella cioè che ciascun uomo si “sente” di porre in Dio. Ce lo conferma anche la nostra personale esperienza di cristiani: in certi giorni noi crediamo in maniera decisiva, totale, passionale, travolgente; in certi altri, invece, la nostra fede è sfinita, stanca, svogliata; la nostra adesione a Dio, la nostra fiducia in Lui, improvvisamente crolla, si smorza, viene meno: la nostra forza, la nostra determinazione, il nostro entusiasmo, prima vacillano, poi crollano rovinosamente.
In certi giorni esclamiamo allegri, carichi, entusiasti: “Dio c’è, lo sento, lo vedo, è vero!”; in altri invece ci dibattiamo nell’incertezza, nel dubbio, nell’angoscia, nel dolore: “Dio dove sei? Perché mi tratti così? Che ti ho fatto di male? Perché non mi rispondi? Perché mi hai abbandonato?”.
Dobbiamo avere sempre presente infatti che la Chiesa (tutti noi) non è una “organizzazione” composta da gente perfetta, virtuosa, inattaccabile : è formata purtroppo da elementi umani, deboli, contraddittori, pieni di problemi, che esprimono la loro fede come possono, con tanta o poca buona volontà, ma sempre nella piena libertà; gente insomma che nonostante i loro limiti, nonostante le loro deficienze, sono comunque alla ricerca di un loro cammino ideale per vivere come possono il regno di Dio su questa terra.
È dunque per tranquillizzare ogni incertezza, per rassicurare ogni dubbio dei discepoli, che Gesù esclama: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra”. In altre parole: “Se io vi dico: andate, predicate, battezzate, insegnate a tutte le genti, non dubitate, state tranquilli, perché io ho pieno potere per darvi queste disposizioni, per affidarvi questa missione tra i popoli. Io sono il Signore della storia, con me ogni restrizione di tempo, di spazio, di persona, cade, viene meno. Non dubitate, quindi, non abbiate timore. Perché io sarò con Voi fino alla fine dei secoli!”.
In pratica Gesù fa loro capire, in maniera inconfutabile, che la salvezza è destinata a tutti, nessuno escluso. Dio è di tutti, Dio è per tutti. Nessun movimento, nessuna chiesa, nessun gruppo può dichiararsi esclusivo amministratore della salvezza di Dio. Anche gli Ebrei pensavano questo, anche i farisei dicevano: “Noi abbiamo Dio per Padre”; al punto che, convinti di essere nel giusto, hanno ucciso Dio. È Dio che salva chi ne ha titolo, qualunque sia la sua estrazione sociale, la sua origine, la sua razza, la sua cultura. 
In questo consiste la missione della Chiesa: questa è la missione che Gesù ha conferito a noi, Chiesa, a me, a te, a tutti indistintamente, forte dell’indiscussa autorità concessagli dal Padre.
Una responsabilità non indifferente per noi: una responsabilità che non deve mai essere disattesa né travisata. Ecco perché dovremmo continuamente chiederci: “Siamo fedeli a questo mandato di Cristo? Facciamo vedere veramente Cristo? Lo annunciamo veramente? Veramente la nostra vita, i nostri comportamenti, i nostri gesti parlano di Lui, lo testimoniano a tutto il mondo?”.
È importante, fondamentale essere consapevoli di ciò; dobbiamo avere le idee chiare su come comportarci: perché se vogliamo obbedire alla chiamata di Cristo, se vogliamo essere persone veramente “spirituali”, persone cioè che annunciano e vivono lo Spirito del vangelo, non significa che dobbiamo vivere “fuori” dalla realtà, non significa che dobbiamo rifugiarci in un misticismo asettico, privato, elitario: vuol dire invece che dobbiamo essere “operativi”, essere concreti; vuol dire che dobbiamo prenderci cura di questo mondo in prima persona, vuol dire impegnarsi concretamente in questa missione, vuol dire insomma “sporcarsi” le mani, offrendole amorevolmente ai rifiuti della società.
Ovviamente il mondo, i nemici di Dio, i faccendieri, i falsi umanitari, coloro cioè che traggono profitti dalla carità, fanno di tutto perché noi, la Chiesa, rimaniamo chiusi tra le nostre mura, cantiamo le nostre lodi, celebriamo le nostre liturgie, perdiamo il nostro tempo a eleggere i nostri papi, i nostri vescovi, a predicare al vento; per loro l’unica cosa importante è che la Chiesa, noi cristiani, non ci permettiamo mai ad entrare a gamba tesa nelle loro vicende “temporali”, nei loro affari “mondani”, nelle loro ideologie, sul loro metodo suicida con cui intendono risolvere, prescindendo da Dio e dal suo vangelo, gli attuali squilibri della società.
Se poi Chiesa e cristiani faremo i “bravi”, se saremo silenziosi, accondiscendenti allo stravolgimento morale della società, potremo anche ottenere dei riconoscimenti economici, saremo “accolti” molto bene dai potenti della terra, saremo adulati dai media internazionali ancorché essi siano completamente asserviti alle potenti lobby finanziarie; verremo perfino “premiati” con la loro partecipazione in pompa magna alle nostre feste, alle nostre liturgie. Ma a quale costo tanto mercimonio? Che farebbe Gesù di fronte a questi mercanti del tempio, che continuano ad insozzare la Sua Chiesa?
Ecco: è questo l’interrogativo, l’unico interrogativo, che dobbiamo porci misurandoci con le varie situazioni, con le varie persone: “Che faresti tu Gesù?”. Sì, perché quello che noi dobbiamo fare è esattamente quello che Lui ha fatto; e ora che Lui non c’è più, non dimentichiamocelo mai, i Gesù del nostro tempo siamo noi!
Se poi questo ruolo non ci sta bene, se preferiamo pensare solo a noi stessi, evitiamo almeno di definirci “discepoli” del Maestro: perché facendolo, inganneremmo noi stessi e gli altri!
Il nostro posto di combattenti è dunque in prima linea. Gesù ci ha rivolto un invito chiaro, esplicito: “Andate”, cioè “muovetevi, uscite!”. Una fede tenuta al chiuso, rinchiusa nei “cenacoli”, è una fede morta. Una fede viva al contrario “va, si muove, cammina” per le strade del mondo. Conservare integra la propria fede non significa essere statici, rinchiusi nei fasti temporali del passato. Fede autentica è aprirsi, cambiare mentalità, evolvere nei metodi, negli approcci.
Pensiamo a quanto succede ad un padre o ad una madre: un buon padre, una buona madre, non provano sempre lo stesso amore nei confronti dei figli: sanno amare in maniera diversa in funzione dell'età, delle esigenze dei loro anni. Ad un anno li coccolano, li baciano, sono tutti lì per loro. Ma a quindici anni li devono amare in maniera diversa: concedendo loro un po’ di libertà, discutendo con loro, litigando magari con loro, ma riconoscendo loro gradualmente la loro autonomia. Guai se i genitori continuassero ad amare i figli quindicenni allo stesso modo con cui li amavano quando avevano soltanto cinque anni. Essi sono sempre il loro padre e madre, ma guai se rimanessero sempre gli “stessi” padre e madre.
Tutto ciò che vive si sviluppa nel tempo, cambia, matura, invecchia. Noi siamo tutti figli del tempo: siamo sempre noi, ma nulla di noi resta uguale, invariato.
Eppure Dio ha sempre fiducia in noi: anche se siamo stracarichi di difetti, di deficienze, di falsità. Noi non ci conosciamo del tutto, ma Lui sì, Lui ci conosce a fondo, Lui ha fiducia in quello che siamo. Lui sa chi siamo! Lui sa bene chi ha creato!
Per questo ci invita a non tirarci indietro, per questo ci mette di fronte alle nostre responsabilità, al nostro essere degni figli di Dio, per questo ci invita ad accorgerci di questa nostra dignità, a fidarci anche noi di ciò che Lui ha creato.
“Io sono con voi tutti i giorni”, ci rincuora Gesù. Egli è il nostro alimento quotidiano. È come se ci dicesse: “Nutritevi di me sempre, continuamente!”. Noi abbiamo bisogno di Lui! La nostra fede ha bisogno di Lui: perché essa si rigenera, cresce, si irrobustisce, soltanto se noi viviamo in Lui, ci nutriamo di Lui.
A volte la gente si chiede: “Perché andare in chiesa tutte le domeniche? A che serve pregare tutti i giorni?”. Ma è come se si domandasse: “Perché mangiare ogni giorno? Perché parlarsi in famiglia continuamente?”. Perché questo è il nostro vivere quotidiano: se non ci alimentiamo, se non ci nutriamo spesso, moriamo. Se in famiglia non ci parliamo di continuo, diventiamo degli estranei. Se non ci rapportiamo ogni giorno con i figli, cresceranno senza sapere che li amiamo. Inutile lamentarsi, poi. 
Se non nutriamo il nostro cuore, i nostri sentimenti, la nostra anima, moriamo. Se noi non preghiamo, se alla domenica non andiamo mai a messa, il male più grande lo facciamo a noi stessi, non a Dio: perché se non preghiamo, se non ci alimentiamo di Dio, è il nostro cuore, il nostro animo, la nostra fede che perdono gradualmente vigore, fino ad infiacchirsi e a morire. Tutto qui.
Siamo pronti a fare a fare un sacco di cose, mille sacrifici per i vestiti, le vacanze, l’auto, la casa, il giardino, ma a volte non facciamo nulla per il nostro cuore, per la nostra anima. È come costruire una casa sulla sabbia. A che serve? Prima o poi cade. Prima o poi tutti i nodi vengono al pettine. A che serve?
Facciamo in modo allora di avere ogni giorno con il Signore un rapporto vitale, forte, intimo, e tutto il resto verrà da sé. Lui sta con noi in ogni momento della nostra giornata: consultiamolo! Se lo sentiamo lontano, affrettiamoci, corriamo, raggiungiamolo! Se abbiamo bisogno del suo conforto, ascoltiamo la sua Parola! Se brancoliamo nel buio, illuminiamo con la sua luce il nostro cammino! Di una cosa dobbiamo essere certi: che Lui è sempre nostro complice. Lo era ieri, lo è oggi, lo sarà domani. Amen.



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