«Non sia turbato il vostro
cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio
vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”?
Giovanni,
col Vangelo di oggi, ci riporta indietro all’ultima cena, nel momento in cui,
dopo aver lavato i piedi ai suoi, Gesù affida loro le sue ultime
raccomandazioni, il suo testamento spirituale. Il tempo a sua disposizione è ormai
molto poco: Giuda lo ha già tradito, e da un momento all’altro arriveranno le
guardie per arrestarlo: Gesù deve dunque cogliere quest’ultima occasione per parlare
privatamente con i suoi discepoli, con quelli che l’hanno seguito nel suo lungo
trasferimento a Gerusalemme. Essi sono disorientati, non sanno quello che sta
per accadere, ma sentono che sarà qualcosa di molto grave. Le domande che
pongono al Maestro esigono risposte rassicuranti: non hanno ancora ben chiaro
il significato delle sue catechesi, ma in qualche modo si preoccupano del
domani; impauriti, hanno il presentimento che ormai l’avventura con Gesù è
giunta alla fine, e temono per la propria vita: “Che ne sarà di noi? Cosa ci
accadrà? Dove andremo a finire? Non è che ci siamo sbagliati a credere in Te?”.
Pietro,
come leggiamo nei versetti immediatamente precedenti, non ha dubbi: lui,
qualunque cosa succeda, sarà sempre al suo fianco: “Darò la mia vita per te”. E Gesù, pazientemente, lo mette di
fronte al suo imminente tradimento: “In
verità ti dico: non canterà il gallo prima che tu non mi abbia rinnegato tre
volte” (Gv 13,36-38): paura e debolezza lo renderanno protagonista di
questa disavventura che Pietro piangerà amaramente per il resto della sua vita.
Tommaso dal canto suo vuol sapere: “Signore
non sappiamo dove vai, come possiamo conoscere la strada?” (Gv 14,5).
Filippo, invece, sembra avere le idee più chiare: “Signore mostraci il Padre e questo ci basta” (Gv 14, 8).
Vorrebbero
certezze, i poveri discepoli, il loro cuore inquieto le esige. Il verbo greco “atarasso” (turbare), indica appunto una
profonda agitazione, sono decisamente preoccupati: “Gesù tu eri tutto per noi,
ci avevi appassionato il cuore... avevamo puntato tutto su di te, e adesso?”.
E Gesù
li rassicura: “Non abbiate paura. Abbiate fiducia in me e in Dio. Vado a
prepararvi un posto!”. Che significa: “Tranquilli, ci rivedremo. Non abbiate
timore! Vi ho mai traditi? Vi ho mai lasciati?”.
Possiamo
capire lo stato d’animo degli apostoli: anche per noi, di fronte a certe
vicende, è decisamente arduo sottrarci alla paura. Non possiamo evitare il
dolore. Possiamo però affrontarlo confidando in Gesù, perché ogni amarezza, nel
suo profondo, nasconde una sua verità, ogni dolore ha in sé il germe di una grande
gioia. Ecco perché in ogni momento difficile della nostra vita, dobbiamo
ricordarci sempre chi siamo, chi è nostro Padre.
Quando
non siamo capiti e veniamo attaccati da ogni parte, rassicuriamoci,
tranquillizziamo il nostro cuore, la nostra anima, affidandoci a Lui: “Anche se
gli altri non mi capiscono, il mio Dio mi capisce e mi ama”. E questo ci
tranquillizzerà.
Quando
ci guardiamo allo specchio e ci vergogniamo di quello che siamo, di quello che facciamo,
e ci consideriamo irrecuperabili, diciamoci: “Non aver paura, abbi fiducia, sei
figlio di Dio!”. E sentiremo in cuor nostro che la nostra dignità non verrà né rovinata
né offuscata; avremo la certezza di poter comunque ripartire, di poter
ricominciare, di poterci dare un’altra possibilità, un’altra chance.
Quando
dentro di noi infuria la tempesta e ci sentiamo soli in balia delle onde, sbattuti
qua e là, e non sappiamo dove andare o cosa fare; quando dobbiamo sostenere una
prova impegnativa, un incontro particolarmente difficile, e ci sentiamo
inadeguati; quando nella nostra vita dobbiamo affrontare un cambiamento che
taglierà tutti i ponti col nostro passato, diciamoci: “Non aver paura, abbi
fiducia in Dio, abbandonati alla sua provvidenza; Egli ti aiuterà; non ti
lascerà mai solo, è sempre stato tuo amico”. Sono parole semplici che comunque ci
infonderanno energia, pace, serenità.
In
certi momenti della vita, sentiamo un assoluto bisogno di pregare: facciamolo
con queste semplici espressioni: confermiamo a Dio la nostra fedeltà,
esprimiamogli la nostra totale fiducia, assicuriamogli il nostro amore. Forse
non risolveremo granché, i nostri problemi rimarranno insoluti, perché la
preghiera non risolve i problemi: in cambio però, sentiremo il nostro cuore invaso
da una grande pace; una nuova forza ci conforterà: e sentiremo dentro di noi la
certezza che se anche dovessimo sbagliare tutto, se anche tutto dovesse finire,
se tutto dovesse crollare, Lui è sempre con noi: in Lui e con Lui non dobbiamo
mai nulla da temere. Diamogli solo voce, diamogli spazio, perché Lui solo può
rassicurarci, calmarci, consolarci, rafforzarci.
“Nella casa del Padre mio ci
sono molti posti” (Gv 14,2).
Un “molti posti” che vale “c’è un posto per tutti”. Allora perché
temere? Perché aver paura? In Dio c’è spazio per tutti. Non alla rinfusa, non a
nostra scelta, a nostro comodo, ma ognuno al “suo” posto. Ognuno deve
raggiungere quel posto che Dio gli ha assegnato fin dall’eternità.
Noi in
genere ci sentiamo in regola, ci sentiamo “a posto”, se ci comportiamo come
tutti gli altri, se ci adeguiamo alla massa. E invece no: pensare una cosa del
genere significa non aver capito una verità fondamentale: che Dio non crea, e
quindi non gradisce, nessun doppione, nessun duplicato, nessuna fotocopia. Ognuno
di noi è “singolo”, è l’originale, unico nella sua realtà. Ogni “imitazione” è
una vita sbagliata, non realizzata, non osata. Volendo fare la “controfigura”
sbagliamo indirizzo, non arriveremo mai al nostro impareggiabile “posto”. Di
più: noi dobbiamo impegnarci a diventare non “come” Gesù, ma “altri”
Gesù; non dobbiamo copiarlo, dobbiamo diventare altrettanti “Lui”. In altre
parole dobbiamo reincarnarci in Cristo, diventare Cristo, per realizzare con la
nostra vita quel progetto che Dio ha da sempre pensato esclusivamente per noi,
per realizzare l’unico motivo valido per cui ciascuno di noi esiste: quello di
“instaurare omnia in Christo”, di
riportare, cioè, di ricostruire, di restituire la dignità iniziale, con Cristo
e per mezzo di Cristo, a tutte le creature. Le nostre vite quaggiù non sono infatti
“frutto del caso”, ma corrispondono allo specifico disegno di amore profondo,
generato dalla mente eterna di Dio. Egli, operando in ciascuno di noi, in modo
personalissimo, ci permette di ridiventare nuovi, unici, autentici, creativi, innamorati
di Lui come all’origine.
Ecco
perché sbagliamo grossolanamente quando guardiamo gli altri “più fortunati” con
invidia, con rivalità, con malanimo; sbagliamo quando vorremmo “immedesimarci”
in loro, perché il modo con cui Dio vuol crescere in noi, con cui vuole manifestarsi
in noi, è “altro” dal loro, è diverso da quello di tutti gli altri. Per molte
persone una pluralità di cammini vocazionali significa “divisione”, disgregazione,
separazione, quando invece è solo “diversità” di percorrenza del medesimo percorso.
Per esse, uniformità, unanimità, identità, uguaglianza, significa “comunione”,
invece no: è solo “omologazione”.
Lo
slogan di Dio è pertanto: “Ciascuno deve percorrere la sua strada per raggiungere
il posto che Io gli ho assegnato”. Vero. Perché ciascuno ha il suo posto, ciascuno
ha la sua strada.
Per
tanto tempo invece ci siamo sentiti ripetere con insistenza: “Per andare a Dio
c’è una strada sola: o percorri questa o non ci arriverai mai... ”, e giù tutta
una serie di indicazioni puntigliose, di leggi, di regole, di precetti minuziosi.
Ma con ciò significa affermare che tutti siamo uguali, identici, tutti abbiamo le
stesse esigenze, le stesse caratteristiche: per cui tutti dobbiamo percorrere
la stessa identica strada, tutti dobbiamo avere lo stesso identico modo di
vivere e di credere. Ma ripeto: nulla di più sbagliato; basta osservare la
natura, guardarsi intorno: non c’è una foglia, un fiore, una pianta che sia
uguale ad un’altra. Non c’è un volto, una persona, una storia, che sia identica
ad un’altra: tutto è assolutamente unico, originale, diverso.
Tanti
posti, quindi, quanti sono i ruoli che ciascuno deve svolgere nel grande
progetto divino, e tante le strade per attuarli. C’è chi arriva a Dio
attraverso la totale dedizione a Lui e chi arriva attraverso la propria
famiglia; c’è chi arriva con una vita contemplativa e monastica e c’è chi arriva
passando per una vita mondana; c’è chi arriva a Dio attraverso molti colloqui,
molti discorsi, molte parole, attraverso la confusione, e chi invece ci arriva nel
silenzio, nella solitudine, nella meditazione. C’è chi arriva ascoltando la
“voce” che sente dentro di sé, e chi arriva ascoltando la voce, i suggerimenti
di altri. L’importante è passare attraverso Cristo, perché “Io sono la via... la verità... la vita” (14,6).
Parole
che Gesù non pronuncia in ordine casuale: Gesù è infatti la Via che conduce alla
Verità; e solo nella Verità, la Vita sarà piena, sensata, realizzata. Vediamo
meglio.
Gesù
non dice: “Io ho la strada”. Ma: “Io sono la strada”. Gesù non “ha” regole, non
ha norme, leggi, indicazioni, da seguire e basta. Gesù “è” un cammino che ci
coinvolge continuamente. A quanti gli chiedevano cosa fare per avere la vita
eterna, cosa fare per essere felici, cosa fare per andare al Padre, a tutti rispondeva:
“Seguimi”. Punto! La fede non è un
possesso, un punto di arrivo, una conquista, un qualcosa di “statico” e basta: “Sono
battezzato, sono a posto!”. La fede è un cammino senza soste, una progressione dinamica,
una conquista in continua espansione.
Gesù
non dice: “Io ho la verità”. Ma: “Io sono la verità”. Ci sono molte chiese,
molte organizzazioni, molte religioni che si arrogano questo diritto e dicono: “Noi
abbiamo la verità”. Ma la verità non è un oggetto che possiamo possedere, possiamo
solo “viverla”. Non possiamo “avere” la verità, possiamo solo “essere” veri. Per
molte persone la verità è la concordanza di una serie di dati certi. Per Gesù invece
“verità” (in greco “aleteia”, togliere il velo) è scoprire la realtà così com’è;
in pratica è scoprire ciò che noi siamo realmente.
Gesù
non dice: “Io ho la vita”. Dice: “Io sono la vita”. Non dice “vi assicuro” una
vita felice, tranquilla, senza sorprese o problemi. Gesù è la vita: “Vuoi
vivere veramente? Vuoi realizzarti? Vivi!”. Non ci sono altre possibilità, per provare
la ricchezza della vita, che buttarci dentro, dobbiamo vivere la Vita, dobbiamo
vivere Cristo. Nessuno lo può fare per noi. O lo facciamo noi o non vivremo mai.
Vogliamo conoscere il mare? Dobbiamo immergerci dentro; vogliamo conoscere l’amore?
Non basta un libro e neppure centomila trattati: dobbiamo amare ed essere amati;
solo così lo conosceremo.
Molte
persone confondono “vivere la vita”, con il cercare freneticamente le novità,
con il fare qualunque esperienza, con il viaggiare continuamente, con l’interessarsi
di tutto e provare qualunque cosa. Ma “vivere”, per il vangelo, significa solo sentire,
percepire, sperimentare, apprezzare, la Vita che è in noi. Perché la Vita è già
presente in noi, vive già dentro di noi, ci appartiene, ci anima fin dal primo
istante del nostro concepimento. “Vivere” allora non è nient’altro che
esprimere, concretizzare, dare voce, dare corpo a quella Vita, a quel soffio
vitale che vive in noi, che ci fa vivere, e che noi dobbiamo “umanizzare”.
Il
Vangelo si conclude infine con alcune parole di Gesù, pronunciate in tono
solenne e decisamente profetico: “Chi
crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più
grandi di queste, perché io vado al Padre”. Parole piuttosto oscure,
enigmatiche, difficili. Parole irrealizzabili, perché nessuno di noi può pensare
di essere tanto potente, tanto importante, tanto carismatico nelle sue opere, da
emulare Gesù. Non ci crediamo perché, se ci guardiamo dentro, quello che ne
emerge sono soprattutto le nostre miserie, le nostre debolezze, i nostri tradimenti,
il nostro egoismo, il nostro niente.
Ma
Gesù non ci guarda come noi; ciò che Lui vede è molto diverso da quello che
vediamo noi: lui vede soprattutto quanto possiamo essere forti, quanto possiamo
essere fedeli, quanto possiamo amare, quanto possiamo essere altruisti: diventare
Lui, dipende allora da noi, dal nostro volerlo con tutte le forze, dal nostro
credere in Lui, alle sue parole, dal nostro credere in noi, nel nostro potenziale.
Diceva
un saggio: “L’uomo si trasforma in ciò che crede”: se crediamo veramente in
Dio, noi possiamo tutto: possiamo sconvolgere, rivoluzionare, trasformare la
nostra vita; possiamo non solo fare quanto Gesù ha fatto, ma compiere
addirittura opere più eclatanti, più sensazionali. Perché possiamo diventare effettivamente
altrettanti Cristo: quel Cristo che una volta incontrato nella nostra vita, non
ci permetterà più di essere quelli di prima. Amen.
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