giovedì 22 settembre 2016

25 Settembre 2016 – XXVI Domenica del Tempo Ordinario

«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe» (Lc 16,19-31).

Il vangelo di oggi non parla dell’oltretomba, della vita dopo la morte, ma parla dell’al di qua, di questa nostra vita: ci dice cioè come dobbiamo vivere ora, per non correre il rischio di finire poi, nell’al di là, come il ricco; ci dice in pratica che se ora ci disinteressiamo del povero che urla alla nostra porta, nell’altra vita finiremo sicuramente nei tormenti come il ricco della parabola.
Ci sono dunque due personaggi in primo piano: il ricco e il povero. Il ricco ha tutto: vestiti di porpora e bisso, segno di grande agiatezza e di alta posizione sociale, una casa, cibo a volontà per cui ogni giorno mangia lautamente e abbondantemente; ha fratelli, cioè amici, relazioni, amore; ha una sepoltura, cosa che solo i ricchi potevano permettersi a quel tempo. Non è cattivo, anzi si preoccupa dei suoi fratelli; non è malvagio; non fa niente di male. Egli ha tutto, non gli manca proprio niente. L’unica cosa che non ha è il nome.
Poi c’è Lazzaro. Lazzaro, non ha assolutamente nulla: non ha casa, non ha cibo, non ha amici, non ha sepoltura; è solo con i cani. Lazzaro è indifeso, è mendicante, bisognoso, affamato e solo, malato e ricoperto di piaghe. L’unica cosa che possiede è un nome.
Per la Bibbia, il nome riassume un po’ la vita della persona che lo porta, la rappresenta, è la sua immagine speculare; persona e nome sono la stessa cosa, coincidono. Allora conoscere il proprio nome, vuol dire conoscere se stessi, la propria identità, avere un programma preciso da realizzare, insomma, vuol dire essere vivi. “Lazzaro” è il nome del povero: il suo significato è “Dio aiuta”: un nome che sintetizza infatti la sua vita: egli ha bisogno che qualcuno lo aiuti, che qualcuno si prenda cura di lui e che lo salvi dalla sua condizione, ha bisogno di Dio.
Il ricco, invece, no. Quasi sempre i ricchi del vangelo di Luca non hanno nome: in questo caso il ricco non ha nome perché è incosciente, irresponsabile, vive le cose superficialmente, nulla lo interessa o attira la sua attenzione, neppure ciò che gli succede praticamente in casa; non ha insomma alcun potere sulla sua vita. Non si accorge neppure di Lazzaro: ma come avrà fatto a non vederlo? Egli era lì, tra i piedi, tutti i giorni; mendicava alla sua porta, chiedeva, si lamentava, gridava il suo disagio, il suo malessere. Ecco, questo è stato il suo problema, la causa della sua condanna: non accorgersi, non voler prendere coscienza di nulla.
Ebbene, questo, dice il vangelo, è quanto sicuramente ci capiterà, se vivremo ignorando il “Lazzaro” che è dentro di noi: non prestando cioè alcuna attenzione alla nostra anima, alle sue necessità, ai disagi profondi in cui la costringiamo a vivere, addirittura in casa nostra!
Viviamo pure come quel ricco: insensibili, indifferenti a ciò che reclama la nostra attenzione, il nostro intervento, le nostre cure; sicuramente ci condanneremo da soli, già in questa vita ma soprattutto nell’altra, eterna, a tormenti e disagi senza fine. Viviamo pure superficialmente, ignoriamo volutamente o per ignoranza le cose di Dio, e ci troveremo nelle sofferenze del nostro inferno.
L’inferno o il paradiso ce lo scegliamo noi: continuiamo a perderci in chiacchiere insulse, evitiamo furbescamente di porci domande che ci scombussolerebbero la “quiete”, non affrontiamo volutamente questioni profonde e vitali, non scaviamo dentro di noi, evitiamo le difficoltà, i problemi, sbarazziamoci di tutto ciò che è scomodo, che ci crea fastidio, non ascoltiamo mai la voce della nostra anima, del nostro cuore: poi vedremo cosa ci capiterà!
“Lazzaro” infatti siamo noi, è la nostra anima, il nostro “io” più profondo. Quante volte ci siamo trovati anche noi a mendicare amore! Quante volte nella nostra vita abbiamo avuto bisogno di amore, di aiuto, di tenerezza, di comprensione e non ci sono arrivati! Non sentirci amati, aiutati, considerati, è stato sicuramente drammatico. Certo, sarebbe piaciuto anche a noi vivere come quel ricco nelle comodità, senza aver bisognoso di nessuno, autosufficienti in tutto! Fa così male stendere la mano per chiedere, per aprirsi, umiliarsi perché qualcuno ci presti attenzione, ascoltandoci, colmando il nostro vuoto abissale: c’è sempre il terrore di ricevere un no, di essere ancora ignorati, rifiutati!. E così viviamo schiavi della paura: di parlare, di uscire, di fare le nostre scelte, di gestire la nostra vita, perché temiamo il giudizio impietoso degli altri; e buttiamo la nostra vita nella ricerca irrazionale dell’effimero riconoscimento altrui, di apparire almeno esteriormente importanti, di sembrare qualcuno.
Ma “Lazzaro” sono anche quelli che ci stanno vicini: sono le persone che sono tristi, che ci gridano di star male, di aver bisogno di noi, della nostra attenzione: e noi spesso facciamo finta di nulla, di non sentirle: vediamole, queste persone, accogliamole, ascoltiamole! Se chi ci è vicino non parla mai, ammutolisce, è sempre chiuso in se stesso, vuol dire che ci sta urlando silenziosamente la sua paura. Se chi ci è vicino è sempre di malumore, non ci rivolge la parola, anzi ci evita, vediamolo, ascoltiamolo, cerchiamo di capire i motivi del suo urlo silenzioso. Come facciamo a non accorgerci che nostra moglie, nostro marito, i nostri figli, hanno bisogno del nostro amore, delle nostre parole, della nostra presenza? Come facciamo a non vedere che hanno bisogno di noi, del nostro apprezzamento, di sentirsi valorizzati, delle nostre dimostrazioni di stima? Come facciamo a non vedere l’angoscia di quanti ci vivono a fianco, i dolori, i pesi, le delusioni che si tengono dentro il loro cuore? Lazzaro ci è vicino, pressante nella sua discrezione, ma noi non lo vediamo, non lo sentiamo, siamo distratti, occupati nelle nostre cose, nei nostri affari privati, nei nostri passatempo.
E non ci accorgiamo, come l’uomo ricco, che viviamo già fin d’ora nell’inferno: perché il nostro inferno è la mancanza di amore, è la solitudine, è credere che nessuno mai potrà entrare in noi per chiederci e offrirci amore; inferno è chiudere con l’egoismo la porta del nostro cuore, della nostra mente, sbarrarla e impedire a chiunque di entrare. L’inferno è la chiusura a Dio: è non permettergli di entrare con la sua luce dentro di noi, dove c’è tormento, solitudine e sofferenza, per portare ascolto, liberazione, pace, perdono e misericordia.
L’inferno o il paradiso è dunque nelle nostre mani. Tocca a noi decidere se ospitare in casa nostra Lazzaro o se lasciarlo fuori.
La conversione è il momento preciso in cui smettiamo di ignorarlo, di resistergli e, con il cuore in lacrime, con dolore ma con un senso di liberazione, accettiamo che lui ci appartiene, che Lazzaro siamo noi: e proprio in quell’istante sperimenteremo su di noi il significato del suo nome: “Dio salva”.
Nella seconda parte della parabola poi, che si svolge in cielo, troviamo il ricco che rivolge al Padre Abramo l’accorata richiesta di mandare il povero Lazzaro dai suoi fratelli, su questa terra, per indurli a cambiare vita, per non fare la sua stessa fine.
Ma, dice Abramo, ciò non è possibile, oltretutto non serve a nulla; in altre parole: se uno ha il cuore indurito, se uno per principio non vuol credere, niente e nessuno potrebbe fargli cambiare idea, non crederebbe neppure se Cristo stesso ritornasse a predicare sulla terra. Del resto, prosegue Abramo, gli elementi, i segnali per credere, ci sono già tutti: chiunque può vederli, basta che lo voglia; chi invece testardamente non vuol vederli, non li vedrà mai!
Tutti abbiamo a disposizione “Mosè e i Profeti”; ma molte persone vivono una vita insensata, da sordi; si tappano le orecchie per non udire, vivono ignorando volutamente i richiami di Dio, i suoi inviti alla conversione. Hanno in questa vita tutte le possibilità per imparare, per fare esperienza, per crescere, per coltivare la loro sensibilità, per prestare attenzione non soltanto al loro “Lazzaro”, alla loro anima, ma anche per soccorrere tutti i “Lazzaro” che soffrono accanto a loro. Hanno tutto, ma non fanno nulla! Altri profeti, altri miracoli per salvarsi? No: è la fede che ci indica il come, e la carità che lo mette in pratica! È credere in Dio, vivere alla sua presenza, credere e confidare nella sua bontà, nel suo Amore misericordioso, nella bontà e nella perfezione delle sue creature, nella bellezza del creato intero.
I miracoli li viviamo ogni giorno: esseri vivi, risvegliarsi al mattino, è già da solo un miracolo strepitoso che Dio compie ogni giorno per noi; i computer, i robots, le conquiste tecnologiche più estreme, fanno semplicemente ridere di fronte al miracolo della Vita. Ma questo pensiero neppure ci sfiora; siamo immersi in un continuo e meraviglioso miracolo che si chiama vita, che si chiama amore di Dio, e questo non ci impressiona, non ci stupisce, non ci commuove.
È proprio vero: chi non vuol credere, chi pensa di sapere tutto, chi vive orgogliosamente nella sua ostinazione, nel suo isolamento, non crederà mai, neppure se vedesse un morto alzarsi e camminare!
Noi su questa terra siamo esseri di luce e di ombra: siamo spiritualmente i poveri “Lazzaro” e materialmente i ricchi gaudenti; siamo cioè i bisognosi, i nullatenenti, i sofferenti, i prediletti di Dio, quelli che godono della Sua luce divina, ma siamo anche, e forse più, quelli che non guardano nessuno in faccia, quelli che si chiudono nel loro egoismo rifiutando gli altri, quelli che sprecano la vita non facendo nulla, i gaudenti di questo mondo, quelli insomma che non vogliono impegni né con Dio né col prossimo. È vero, siamo divini ma anche terribilmente umani.
Il grande compito della nostra vita è pertanto portare luce dove c’è buio, dove c’è il diavolo, il male, perché egli ama il buio, l’oscurità, la notte, il sotterfugio, il nascondersi, l’anonimato.
Ma chi vuol scendere nel buio? Nessuno. Il buio ci spaventa, ci angoscia, ci fa terribilmente paura. Chi vuole proiettare un raggio di luce in certi inferni della vita? Nessuno, ovviamente; per quanto ci riguarda, il più delle volte preferiamo seguire la soluzione del ricco, la più semplice: chiudere gli occhi e far finta di nulla; negare cioè l’esistenza del male, dei malesseri interiori, delle sofferenze: non li vediamo, quindi non ci sono! Ma siamo degli illusi! Non abbiamo bisogno di altre profezie per saperlo! Quante volte abbiamo provato, noi personalmente, l’esperienza del buio, del nostro inferno: viviamo immersi nel niente; non abbiamo più riferimenti, il nostro spirito è smarrito, ci sentiamo perduti, il dramma della nostra anima che brancola nell’oscurità più totale, ci destabilizza. Ma se ad un tratto una persona pia riesce a far filtrare in queste nostre tenebre, in questo nulla, anche una piccolissima scintilla di Luce, ci accorgiamo immediatamente che il nostro inferno si attenua, diventa sopportabile, vivibile. Come mai? L’importanza della nostra missione! Perché noi, nonostante la nostra inadeguatezza, siamo figli della Luce, siamo figli del Dio che ha creato la luce; siamo figli destinati a vivere nella luce di quel Padre che ci ama e che pazientemente ci aspetta per introdurci un giorno, come Lazzaro, nello splendore dell’Amore eterno. Amen.


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