Il vangelo di oggi è il seguito di quello di domenica scorsa: là annunciava la sua partenza per un’altra vita, per un altro luogo dove c’è posto per tutti. Oggi Gesù annuncia ai discepoli che se Lui se ne va, se non vedranno mai più il suo volto, Egli tuttavia sarebbe rimasto con loro sotto un’altra forma, in un altro modo, in maniera diversa: nello Spirito Santo: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità”.
Ebbene: entrambi i brani sono accomunati dalla tristezza dei discepoli, dal loro sentirsi soli, abbandonati, orfani, pieni di paura. E si chiedono preoccupati se da soli riusciranno mai a farcela.
Tutti noi abbiamo bisogno di padri, di maestri, di riferimenti, di leggi, di regole chiare e precise. Lo scopo di un maestro infatti è soprattutto quello di fare dei suoi discepoli altrettanti maestri. Chi ci ama vuol farci adulti, indipendenti, maturi, anche a costo che tutto ciò possa allontanarci da lui.
Ma non si può essere sempre discepoli: ciascuno deve diventare maestro, responsabile della propria vita.
Se Dio avesse voluto che non ragionassimo, che non fossimo responsabili di noi, non ci avrebbe dato il cervello. Invece se ci ha dato le gambe, vuol dire che dobbiamo camminare. Se ci ha dato gli occhi, dobbiamo osservare ciò che ci circonda. Se ci ha dato le orecchie, dobbiamo ascoltare. Così se ci ha dato un cervello, vuol dire che dobbiamo usarlo. Volare non significa soltanto muovere le ali, ma restare in aria senza alcun sostegno.
La gente crede che lo Spirito Santo sia un po’ come avere una radioricevente in testa. Basta accenderla e una voce ci fa sentire tutto quello che ci serve. Basta premere un pulsante e sapremo cosa esattamente dobbiamo fare. È senz’altro un’idea simpatica, ma non funziona così!
Il Cristianesimo non ci regala Dio: ci insegna invece a cercarlo, a meritare la sua amicizia, spesso anche con molta fatica, e questo delude molti. Così pure il Maestro, il Consolatore, lo Spirito, non è colui che ci guida meccanicamente, che ci offre la pappa sempre pronta, che mette continuamente Dio in noi; ma è colui che ci aiuta a scoprire prima di tutto noi stessi, a scoprire la realtà delle cose, e quindi ad “incontrare” Dio: sì, perché Dio c’è già dentro di noi; non serve che qualcuno ce lo metta un’altra volta: al massimo può aiutarci a scoprirlo, a riconoscerlo, ad amarlo.
La gente, nella vita, preferisce quelle guide che danno ordini, che stabiliscono loro tutto ciò che c’è da fare, come comportarsi, cosa è giusto o ingiusto, ecc. La gente ha bisogno di sentirsi sempre bambina, infantile, di trovare dei papà, dei miti, degli idoli da seguire, da imitare, da copiare; ha bisogno che qualcuno le indichi per filo e per segno la strada da seguire. Ma non va bene: per un po’ di tempo si può anche rimanere bambini, ma non per sempre. Dobbiamo assolutamente crescere ed essere autonomi!
Poi Gesù aggiunge ancora: “Fra un po’ non mi vedrete più”. Cioè: sto per morire, stanno venendo per prendermi e uccidermi. Ma – aggiunge – “voi continuerete a vedermi perché io vivo, vivo in voi, e voi vivrete”. Gesù sentiva che gli apostoli gli volevano bene. Anche se erano uomini pieni di paura, gretti, sclerotizzati, e a volte proprio duri a capire, tuttavia gli volevano bene, e questo bastava. Gesù sentiva che loro lo amavano, e sentiva che le sue parole facevano breccia nei loro cuori, sentiva che la sua vita li affascinava, che pur impauriti, erano innamorati del suo messaggio. Gesù sente che quello che i suoi dodici amici hanno visto, fatto, sentito, provato con lui, è entrato nel profondo del loro cuore, della loro anima; fa parte ormai di loro e non potranno più dimenticarselo. Non potranno più perderlo. Succede anche a noi: ci sono infatti esperienze che abbiamo vissuto nella nostra vita che conserviamo gelosamente. Ci sono persone, che ci hanno amato per davvero, che rimarranno per sempre con noi, vivranno in noi. Persone che ci hanno guarito dalle nostre miserie, che ci hanno aperto gli occhi, che ci hanno fatto vedere la verità, che ci hanno infiammato il cuore: sono persone che, come è successo agli apostoli con Gesù, rimarranno per sempre con noi. Nessuno potrà strapparcele via, neppure la morte.
Poi Gesù parla dello Spirito Consolatore. Consolatore, in greco, è Paraclito. Paraclito significa anche Avvocato, colui che è chiamato in causa per difenderci, che sta con noi quando siamo soli. Ma Consolatore vuol dire soprattutto uno che ci aiuta, che ci protegge, che ci sta vicino, che non ci lascia soli. Spesso anche noi ci ritroviamo soli, persi, in balia di un mondo che vive tutt’altre cose dalle nostre. Allora il Consolatore ci invita ad aver fiducia nel nostro cuore. Anche se ci sentiamo soli, anche se ci sentiamo non capiti, anche se ciò che viviamo è contrario a quello che fanno gli altri.
Il Paraclito metterà anche grandi consolazioni nella nostra strada: metterà cioè al nostro fianco qualcuno che ha la nostra stessa sensibilità, qualcuno che ci aiuterà, qualcuno che ci difenderà, qualcuno che ci proteggerà, qualcuno che entrerà nel nostro mondo con rispetto e che lo capirà. É sempre stato così. Dio ci consola mettendo nel nostro cammino i suoi angeli, persone che ci aiutano, che condividono la strada, la nostra passione, che ci aiutano. Lui non c’è più materialmente, ma ci sono i suoi angeli. Se ci fidiamo di questo, anche se in alcuni giorni ci sentiremo soli, non saremo mai soli. Allora: guardiamoci attorno! Dio non c’è, ma si nasconde sotto altri nomi. Si nasconde nelle persone che ci stanno accanto, nel nostro prossimo. Lo riconosciamo? Lo vediamo? Chi sono i nostri angeli? La lettera agli Ebrei ci ricorda che “alcuni hanno accolto gli angeli senza saperlo”. Ebbene, anche se non li conosciamo, accogliamoli questi nostri angeli "terrestri", perché Dio ci parla e ci si fa vicino proprio attraverso di loro. Amen.
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